Creato da: a.benassi il 10/08/2006
Esplorazioni speleologiche nei monti lepini

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Messaggi del 24/08/2006

 

Post n°10 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi
Lepinia é un sogno ed allo stesso tempo un idea possibile. Lepinia è il
nome che alcuni speleologi del Lazio diedero negli anni '90
all'immaginario complesso che doveva esistere sotto i monti Lepini. Se
la maggior parte delle grotte della regione sono in questo massiccio
doveva esistere anche qualcosa di importante e probabilmente si sarebbe
dovuto solo insistere abbastanza. Il tempo comincia a darci ragione.
Attualmente la maggior parte delle più importanti grotte del Lazio sono
sui Lepini: La Rava Bianca (-800) l'abisso Consolini (-555) l'occhio
della Farfalla (-451), l'Erdigheta (oltre -350) L'inghiottitoio di
Campo di Caccia (-610) il Fato (-336) l'Ouso di Passo Pratiglio (oltre
-580) il Faggeto (-301) il Due Bocche (-221) l'Abisso del sacco (-220)
e molte altre. In modo particolare si trovano tutte concentrate in due
grandi macro aree poste a cavallo della valle di Carpineto Romano.
Questo blog tratta in particolare le esplorazioni del secondo gruppo,
concentrato nell'area orientale dei monti Lepini, a cavallo tra Pian
della Croce e l'altopiano di Gorga, tra i comuni di Carpineto Romano,
Supino, Gorga e Morolo. Qui un piccolo gruppo di speleologi, riunitisi
negli ultimi anni come sezione speleo dell'associazione ARSDEA, sta
portando avanti da oltre dieci anni il sogno di creare Lepinia. Dal
2000 abbiamo cominciato a vedere oltre la singola grotta e ad intravede
tracce e frammenti del sistema. Il lavoro è ancora enorme, e siamo
convinti che le sorprese saranno tante. Ogni nuova scoperta invece di
semplificare le cose, complica la nostra visione dell'insieme e delle
sue potenzialità. I Lepini sono senza dubbia l'area carsica più
importante della regione, ma è ormai chiaro che non regalono nulla a
nessuno. Profondità e sviluppi anche modesti per altre regioni, vengono
qui strappati con estrema fatica in ambienti mai banali; ma ormai il
sogno ci ha definitivamente conquistato e proprio le sue difficoltà ci
spingono ad immaginare di poter un giorno tracciare il grande rilievo
della Lepinia.
 
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Primi appunti sulla circolazione dell’aria nel sistema:

Post n°8 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi

L’ingresso attualmente conosciuto
dell’Ouso di Passo Pratiglio, si comporta da bocca aspirante in estate, quindi
apparentemente da ingresso alto, il che vista la quota di 1353, su una cresta
che culmina nella cima di 1480 della Malaina, appare normale. Le cose cambiano
nella parte profonda della cavità. Nell’area appena precedente il Meandro delle
Murge, ad una profondità di circa -220/-245 si assiste ad una decisa inversione
della corrente, con un’aria  che si
avverte decisamente uscente. La zona interessata presenta almeno un camino
importante, che in questa prospettiva sembra comportarsi da ingresso basso
rispetto a q.1353. Ma andando avanti le cose si complicano. Al passaggio del
primo lago nel meandro delle Murge, è evidente che l’aria è uscente,
confermando la perdita nei camini, ma appena giunti nei pressi del grande
arrivo denominato l’Affluente, si riscontra che una parte importante dell’aria
risale lungo questo ramo, attualmente inesplorato, che sembra costituire il
vero tratto a monte del sistema, e che si comporta decisamente da ingresso
basso. A questo punto ci troviamo con una decisa corrente d’aria che sale dal
fondo, particolarmente violenta nel passaggio a Nord Ovest o nella Foce del
Vento, che porta ad immaginare l’esistenza di un importante ingresso alto-relativo
di quota superiore rispetto al precedente ingresso basso assoluto, quindi da
stimare ad una quota tra i 1250 ed i 1350. L’attuale conoscenza della montagna
ci porterebbe ad escludere l’esistenza di un tale ingresso aperto, ed è più che
probabile che si tratti di una importante area di assorbimento ricoperta da
terra e sassi sul modello dell’area del 5° Elemento, ma considerato che
non è assolutamente chiaro dove possa
trovarsi questo ingresso, non è da escludere nulla. Di sicuro c’è che si tratta
di una corrente d’aria particolarmente forte, che non sembra reagire minimamente
alle differenze di temperatura giorno-notte, o alle temperature medie, come
fanno invece altre correnti nella zona. Si ritiene quindi che si possa
immaginare un dislivello altimetrico importante tra i due ingressi: basso
assoluto e alto relativo, forse di anche 200 metri, tale da giustificare una
circolazione stabile. All’interno della grotta è evidente che l’aria percorre
l’unica via esistente, la stessa che percorriamo noi, il che esclude per ora
l’esistenza di ambienti fossili, mentre la stessa conformazione fortemente
acquatica delle parti profonde è dovuta proprio a questa forte circolazione
d’aria, che abbassando l’acidità dell’acqua costringe ad una continua
sedimentazione di calcite sotto forma di latte di monte che a sua volta crea
dighe e sbarramenti che si trasformano in laghi e pozze. La vecchia teoria del
collegamento dell’Ouso di Passo Pratiglio con il sistema Fato-Campo di Caccia,
appare attualmente sorpassata e da escludere anche in presenza di eventuali
errori di rilievo, in ragione della attuale profondità raggiunta, ormai già
intorno alla q.760 slm, ritenuto il livello del sifone di monte (Fonte della Giovinezza)
di Campo di Caccia ad una distanza di ancora oltre 1,5 km in linea d’aria. Viene quindi ad essere scartata anche l’ipotesi che la forte corrente d’aria
sia da mettere in relazione con quella presenta all’abisso di monte Fato, che
appariva concorde comportandosi da ingresso alto con aria in entrata. In
ragione della colorazione tra Fato e Campo di Caccia, risultata positiva, un’eventuale
collegamento di queste due correnti d’aria, risulterebbe estremamente anomalo e
dovrebbe avvenire attraverso una rete di condotti fossili ormai completamente
svincolati dalla circolazione idrica.

 
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Prima descrizione dell’Ouso di Passo Pratiglio -299/-580 (circa)

Post n°7 pubblicato il 24 Agosto 2006 da a.benassi

Il termine conosciuto del meandro
delle murge era fino al 1996 rappresentato da un ennesimo tratto
allagato, dove rimanevano non più di 4-5 cm d’aria libera. L’imbocco si
presentava oltretutto come un tratto meandriforme non particolarmente largo, e
non era visibile nessun allargamento. Attraversato per la prima volta con l’uso
di un boccaglio per sfruttare la lama d’aria, nonostante la testa immersa, il
tratto si è scoperto essere lungo circa 10 metri, completamente diritto, e con
il fondo abbastanza alto da camminare comodamente. Il tratto è stato chiamato Passaggio
a Nord Ovest. Al termine la volta si rialza ed il meandro piega
bruscamente a destra. Si percorre quindi un tratto di circa 20 metri di
condotta 1 x 1,5 completamente ricoperta di latte di monte ed in parte
allagata, fino ad un saltino di meno di 2 metri. Grazie a questo dislivello, è
stato possibile durante la seconda punta scavare nel deposito di latte di monte
e abbassare considerevolmente il livello di piena dell’intera condotta e del
sifone. Attualmente il passaggio presenta non meno di 20-25 cm d’aria e permette il transito con la testa completamente
fuori dall’acqua, senza l’uso di boccaglio, ed al più respirando con il naso.
Si ritiene inoltre possibile che a seguito dell’abbassamento dell’acqua, l’aria
che circola nel sistema sia aumentata. Questo passaggio non dovrebbe presentare
nessun rischio particolare in caso di piena, ed è difficile che i depositi di
fango e latte di monte si riformino in breve. Appena dopo il primo saltino
s’incontra subito un P6 (1s) quindi uno scomodo laminatoio inclinato che
presenta solchi e marmitte d’erosione. Si giunge quindi all’imbocco del Pozzo
dei Sifonauti, un P20 terrazzato. Appena dopo la partenza (1s + 1n) si
traversa l’imbocco ingombro di lame fino ad una partenza più comoda (1s) che
permette di scendere i primi 12 metri, passando da un terrazzo e poi in un
colatoio battuto dall’acqua fino al frazionamento (1n) che porta al fondo.
Seguono una serie di due salti P4 e P5 (2n) e quindi un breve tratto di meandro fino alla partenza del successivo P10.
Il pozzo (1n+1s) porta nella saletta Tomba di Guido. (-350 circa). Qui si
dipartono due vie, quella seguita dall’acqua scende un paio di salti P8+P10 e
termina su un sifone, Sifone Morto, ma la stessa si
ricongiunge all’altra via che funge da Bypass. Dalla saletta si imbocca invece un
breve cunicolo che immette direttamente su un P10 (1n+1n). Alla base di questo
si sente l’acqua della via attiva che scorre dietro in fragile diaframma di
roccia. Sulla sinistra invece una stretta condotta percorsa da una furiosa
corrente d’aria, (uscente in estate) Foce del Vento, porta in alcuni
metri ad affacciarsi sul successivo P30 Pozzo dei Gorgonauti.  Il pozzo parte direttamente dall’uscita della
condotta, (1n+1n), ma essendo in parte appoggiato su una grande colata non si
presenta particolarmente scomodo. Segue un primo frazionamento (1n) quindi
proseguendo sempre contro colata si arriva sul primo gradone a circa metà del
pozzo. Qui da una stretta cengia di concrezioni e lame parte la seconda tratta (2n) che in libera permette di atterrare
nel lago sottostante. Gli ambienti in questa parte sono più ampi, ma costantemente
battuti dall’acqua e privi di qualsiasi spazio dove sostare. Segue quindi un
saltino P3 (1n) con partenza stretta e scomoda; s’incontra a questo punto
l’unico arrivo attualmente conosciuto: una bella condotta di apre sulla
sinistra a non più di 3-4 metri d’altezza, apportando una discreta quantità
d’acqua. Segue immediatamente un P7 (1s+1n) con arrivo sul solito lago e quindi
una serie di brevi salti arrampicabili fino all’imbocco del P55 Pozzo
delle Meteoriti. Questa
verticale è composta da tre salti interrotti da cenge, ed appare impostata su
ambienti più grandi e con roccia pulita, anche qui l’aria che sale è sempre
forte. La partenza (1s+1s+1s) porta subito a traversare sulla sinistra per
evitare il getto della cascata, quindi nuovamente a sinistra (1s) fino ad una
calata di circa 15 metri che permette di atterrare sulla prima cengia. A questo
punto sempre ruotando a sinistra (1s) si scende fino alla seconda cengia per
altri 15 metri. Da questo terrazzo (1s+1n) una partenza esposta su un grande ponte
di roccia a sinistra permette di scendere in libera per altri 20 metri circa,
evitando l’acqua. L’intero pozzo è comunque molto bagnato, anche considerato
l’uso delle mute.(-450/470) Dallo stato delle corde, non sembra comunque che
questa parte della grotta risenta di piene particolarmente violente durante
l’inverno, e considerata l’assenza di grandi arrivi la cosa appare credibile.
Il pozzo termina sull’ennesimo lago da attraversare più o meno a nuoto. La via,
sempre evidente, continua lungo un meandro in discesa che porta subito ad un
P10 (1s), segue un P15 (1s+1s) e quindi in successione un P5 (1s) e un P10 (1n)
e quindi un P15 (?) Anche lungo questa seri di salti, denominata Via
dell’Acqua Marcia, non s’incontrano tratti asciutti, ma solo grandi marmitte
allagate, e brevi tratti di gallerie piene di latte di monte. La sequenza di
salti è questo punto interrotta da alcune decine di metri di meandro in ripida
discesa, fino alla partenza del successivo P17 (1n), (-530/550) che in due
salti permette di affacciarsi infine su un ambiente più grande, forse un P30.
L’aria è sempre forte e si avverte distintamente.

 

 

 
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