Le ragioni del mare

Lettera del passato


Parigi, 07 agosto, 1906 “Ninsia, mio amore…""Una lettera è una gioia terrena non concessa agli dei” Dickinson Emily
Nel mondo antico, scrivere era un’attività di rilievo riservata a pochi specialisti, quale gli scribi a Roma e in Egitto, gli scrivani nei conventi dell’Europa medievale e poi negli uffici pubblici fino all’Ottocento. Nel passato la lettera era formata da un foglio scritto ripiegato (la lettera vera e propria) che poteva essere spedito tal quale oppure dopo averlo inserito in un secondo foglio ripiegato denominato “sovraccoperta”; per preservare il segreto epistolare tutte le lettere venivano sigillate  a caldo con ceralacca o con ostie di gomma arabica (i primi adesivi a fusione). Quando si modernizzò il sistema postale verso la metà dell’Ottocento (coincidente con l’invenzione del francobollo) si diffusero le buste più eleganti e pratiche e la carta da lettera diventò più leggera.
La civiltà delle lettere tradizionalmente scritte a mano è ormai agonizzante e non ci sarà, è facile prevederlo, una resurrezione. Le vecchie generazioni possedevano ben nascoste, in un cassetto o in un libro, le proprie lettere. Erano pagine piene di sentimento, risalenti al periodo del fidanzamento, del servizio militare, della lontananza, ed esprimevano desideri umani ed eterni.
Accingersi a scrivere una lettera era già un gesto di attenzione e di amore più della stessa lettera: si ritagliava del tempo alla propria giornata, quasi sempre al crepuscolo, quando le ombre lunghe cancellano il mondo, per soffermarmi sui propri sentimenti. Si cercavano le parole per comunicare qualcosa che doveva essere interpretato per quello che era senza fraintendimenti. La lettera consentiva di dire tutto, anche quello che a voce sarebbe parso sciocco, troppo sentimentale, troppo audace o troppo aggressivo: ma soprattutto poteva essere letta più volte finché i pensieri non fossero scesi nel profondo del cuore, mentre le parole, per belle che siano, si fermano prima, si logorano rapidamente e solo se hanno fortuna, si trasformano in musica. La vita delle lettere è lunghissima, talvolta più del sentimento che le ha espresse: conservate ne facevano affiorare l’incanto e la tenerezza a distanza di molti mesi, anni. La lettera d’amore, nello specifico, era il messaggero alato dei propri pudori, dei pensieri più intimi, più nascosti. Ad essa si affidavano, con candore e tenerezza, le verità mai dette, le emozioni, le speranze, i sogni di vivere la propria fetta di paradiso, di felicità.      
Le lettere che si raccontano, parlano, si confessano, nelle quali ci si rivolgeva a un amico come a un diario, consegnandogli con fiducia piccoli pezzi di vita fatta di gioie e delusioni. La lettera: da aprire e ripiegare migliaia di volte, da fare ingiallire nella scatola dei ricordi più belli, uno strumento capace di rendere eterno un sentimento; la lettera, con il suo francobollo timbrato, contenente affetti, sogni, dolori, nostalgia, amore, rabbia, vita. Oggi noi, che siamo i protagonisti di questo tempo che ci condanna  al ruolo di fruitori veloci, non scopriremo mai l’ emozione che può regalarci una lettera presa nelle mani, negandoci  così la più raffinata forma di comunicazione. Oggi tutto è cambiato. Il mondo è cambiato. La penna è stata sostituita con i tasti, il foglio di carta con il monitor. E forse anche le parole del cuore.Lettera del passato Parigi, 07 agosto 1906Ninsia, mio amoreogni volta le mie lettere sono senza nome, ma Tu sai sempre chi sono. E’ il metodo più stupido per lasciarmi immaginare. L’amore non ha bisogno di nomi, e il mio diventerebbe superfluo se io Te lo ricordassi. Lascio voce eclatante al Tuo ricordo, in un forziere lucente di tenere parole..Ah! l’attesa.I giorni si dissolvono ed io bramo lucentezza dal Tuo sguardo..Solo tra qualche settimana sarò da Te, e le emozioni, sciolte al vento, vibrano come rose in attesa di essere odorate e sfiorate con gentilezza.Oggi lavoro come sempre, il mio è un vizio che non riesce a distogliere la Tua mancanza. Ti amo, e l’amore per me è un dono, un volto da ritrarre, una castità alle mie peggiori intenzioni. Amo tutto ciò che mi circonda, e Tu, folle ebbrezza di distanza mi assorbi anche nella Tua assenza, mostrando in me un velo inquieto di malinconia.Ti amo! Ti amo! Ti amo!Ti amo mille volte ancora di quelle che posso scrivere e non è mai abbastanza; la solitudine di Te mi rende orfano..mai ho compreso me in Tua assenza!Non esiste ritratto che possa dipingere che eguagli la tua bellezza, talvolta, non esigo perfezione dai miei quadri, solo perché non vivo Te, il Tuo consiglio esigente e la Tua formula eccentrica nella critica. Mi chiedo:“Può, la mia inconscia veduta della moralità, aleggiando in similitudini, dimostrarsi indecente nelle mie opere?Può, il mio stanco pensiero, dirigersi in un’alcova, mentre dipingo il mio ricordo di Te?Perché mutare le mie tentazioni in parole, quando i colori, corrotti dalla mia audacia, ne dimostrano le stesso valore ?”Scusami, talvolta mi fregio della fragilità più emotiva, che, a maldicenza della gente è mostrata con blasfemia. Io dalla mia ho la creatività e il mio amore per Te, e non possiederò altro affinché la vita mi negherà altro.Ti amo Ninsia.Anonimo Pittore.“Riflettendo sul contenuto delle vostre lettere, mi sono procurato una grande agonia, non sapendo come interpretarle, se a mio svantaggio, come si può vedere in alcune righe, o a mio vantaggio in altre…” Da Enrico VIII ad Anna Bolena   1491.“Vieni, Sophie, che io possa torturare il tuo cuore ingiusto  al fine, che io, da parte mia, possa essere spietato nei tuoi confronti. Perché ti dovrei risparmiare, visto che tu mi derubi della ragione, dell’onore, e della vita?”  Da Jean Jacques Rosseau a Sophie d’ Houdetot,     Ermintage, Giugno 1757.“Avendovi detto questa mattina che vi amavo, mia vicina di ieri sera, provo ora meno vergogna a scrivervelo.” Da Guillaume Apollinaire a Lou, Nizza, 28 Settembre 1914.“In questa notte nera, la corona delle tua braccia m’è come una costellazione indelebile. Perché oggi in quei pochi attimi di sogno, ho avuto dalle tue giovani braccia una sensazione luminosa, come se tu avessi cinto d’un fuoco bianco la mia tenerezza e la mia tristezza?” Da Gabriele D’Annunzio a Jouvence, Mezzanotte, 24 Aprile 1923.