Le ragioni del mare

Gli elefanti volanti


"Gli antenati, che avevano creato il mondo cantandolo" scrisse nel 1987 il romanziere-viaggiatore Bruce Chatwin in Le vie dei canti, "erano stati poeti nel significato originario di poiesis, cioè di creazione...". Il fotografo canadese Gregory Colbert oggi, poeticamente, narra: "Un tempo i cieli erano popolati di elefanti. Troppo pesanti per il volo, spesso urtavano le cime degli alberi, spaventavano gli altri animali. Un giorno alcune di queste creature gentili decisero di rinunciare alle proprie ali e di stabilirsi sulla terra. Un branco di elefanti color cenere atterrò a nord dell'India. Quando la neve cominciò a cadere, le loro ali si sciolsero e sorse l'Himalaya. Gli elefanti blu scelsero l'acqua, e le loro ali si tramutarono in pinne: erano nate le balene, gli elefanti senza proboscide degli oceani. I loro cugini sono i lamantini che vivono nei fiumi. L'elefante camaleonte, lui non ha mai abbandonato le sue ali, rinunciando per sempre a scendere sulla terra. Il colore delle sue piume cambia ogni giorno: oggi è azzurro, ma se piove diventa color perla. Le stelle che vediamo brillare nella notte sono elefanti che sognano: anche nel sonno tengono l'occhio spalancato per meglio vegliare su di noi".
Quando l'artista canadese contrappone nelle sue fotografie l'esile fanciullo e il mastodontico pachiderma, apparentemente accumunati nella lettura di un arcaico spartito musicale, sembra proprio rievocare il canto della notte dei tempi, attraverso cui avvenne il miracolo della creazione. Forse è lo stesso canto intonato, sul ritmo battuto dalla coda di un immenso capidoglio, dall'uomo solitario che appare in un'altra immagine di Colbert. "Come un uccello, del cui volo non resta traccia nell'aria", il fotografo, nato in Canada nel 1960, nell'aprile del 1992 sparì. Inquieto per vocazione e vagabondo per scelta professionale, Gregory Colbert si accingeva, infatti, a intraprendere un grande viaggio. Anzi, uno via l'altro, ventisette viaggi in paesi diversi: fra i quali India, Burma, Sri Lanka, Tailandia, Egitto, Azzorre.
Colbert ci rende emozionanti immagini stampate su carta vegetale dove lamantini e balene nuotano nel canale antistante isoletta lagunare, aquile e falconi volano alti sopra le teste, in un silenzio che avvince per l'incanto da favola antica, ricca di suggestione. Colbert, nelle sue peregrinazioni, ha voluto cogliere la delicata liaison che unisce l'uomo all'animale, in quella corrispondenza armoniosa in cui si fondono piccolo e grande, uno e tutto, finito e infinito. Ma in questo mondo straordinario non mancano i contrasti. La rarefatta atmosfera del sogno sembra incrinarsi quando si avverte il minaccioso fremere delle ali del falco che sfiora, in picchiata, la testa di un giovane monaco dal mistico volo, rapito in meditazione. Poi come sempre il silenzio riconduce all'ordine il creato.
"Quando tentiamo di dialogare con gli esseri umani una sorta di muro si erige tra noi e gli altri. Con gli animali, invece, se ci presentiamo nudi davanti a loro, se abbandoniamo la volontà di dominio e prevaricazione e se usiamo il linguaggio del corpo, possiamo essere in armonia. E gli elefanti sono maestri in questo. Acuti, sensibili e intuitivi, riescono a cogliere benissimo quando gli esseri umani gli si avvicinano. Sono in grado di leggere le sfumature, quelli che io chiamo i sottotitoli degli uomini. Quindi, in sostanza, quello che ho cercato di realizzare è molto semplice, direi naturale. Ciò che è innaturale è la nostra incapacità a comunicare", Gregory Colbert.Buon venerdì.