Catallaxy

Sul lavoro.


Lavoro da qualche anno. Mi faccio le mie ore, spesso più, meno mai - se ne faccio più non mi pagano, se ne faccio meno pago io con le ore della busta paga. Riporto il mio stipendio che difficilmente decolla sopra le tre cifre e sono un precario. Non mi sento un discriminato, ma tanto meno mi sento realizzato!Ieri è stato il primo maggio. Lo studio era chiuso, quindi mi sono alzato con comodo alle nove - lusso che, dato la rigidità dell'orario, di solito non mi posso permettere -, ho fatto un abbondante colazione e mi sono immerso nelle mie letture. Una giornata di relax, coronata da una cenetta al ristorante messicano (alla faccia dell'epidemia) con la mia morosa e un concertino in centro niente male.Festeggiato? In pratica si, ma non sposo la causa del dogma "lavoro". In primis per me lavorare non è una scelta o uno stile di vita: è la vita. Grazie alla ricchezza della nostra società, abbiamo il lusso di poter dedicare meno tempo dei nostri nonni e comunque decisamente meno di ere precedenti alla nostra, al lavoro. La vita personale ha quindi acquisito una dimensione tutta sua e prevalente nella nostra esistenza. Ma in principio lavorare, procacciarsi la sussistenza, era attività totalizzante. Oggi, diciamolo con chiarezza, il "capitalismo", l'accumulo e l'investimento di valori, ci ha dato un sistema razionale con cui creare ricchezza e quindi permettere a tutti un vita più agiata. Molti operai oggi, hanno privilegi sconosciuti a molta aristocrazia dei secoli scorsi.In Italia, l'articolo 1 della nostra Costituzione recita: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro". Che vuol dire? Che centra il lavoro con il sistema istituzionale? Niente, se non seminare il principio di una delle più importanti religioni civili: il lavoro.Personalmente io non voglio essere "dipendente" da nessuno, non voglio legare il mio destino alla responsabilità di un altro, voglio essere io responsabile di me stesso! Cosa c'è di bello nel festeggiare il "lavoro dipendente"? I morti sul lavoro sono qualcosa di tragico; ferirsi, menomarsi, è purtroppo il rischio del "fare". Ma non si può delegare a poche persone la responsabilità di molti. Tutti dobbiamo essere responsabili per noi stessi e bisogna rispondere in prima persona quando le regole non vengono rispettate. Allora alleggeriamo il carico fiscale per il lavoro che appesantisce, direttamente l'imprenditore, indirettamente la nostra busta paga, e riserviamoci le risorse per tutelarci! Caschetti, tute, conoscere ciò che andremo a toccare: non deleghiamo nessuno, facciamoci partecipi in prima persona dei rischi legati al nostro lavoro.Solo prendendoci il carico delle proprie responsabilità, mettendo in gioco se stessi e le proprie capacità, insomma diventando imprenditori della propria persona, smettendo di far rappresentare i propri bisogni e le proprie prospettive dal sindacato (legato a doppio filo col potere), si potrà pretendere ciò che ci spetta. Facendoci pagare profumatamente per il nostro lavoro, creando le condizione che ci aggradano, pretendendo di essere considerati per quello che siamo! Uguali! Senza reverenziali verso datori, capi o che so io, ma semplicemente istaurando rapporti tra persone libere che vogliono creare, produrre e offrire servizi.Insomma, io credo che non sia tanto il lavoro, ma quella " fonte meravigliosa" che ci permette di realizzarci e dar forma alla natura secondo la nostra idea, a dover essere celebrata. Ecco cosa volevo dire sul "lavoro".