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Il dono di Natale


Donatella De Bartolomeis Il dono di Natale
Prefazione Ho letto tutto in un fiato il “Dono di Natale”, ed ho provato, giunta alla fine, il sottile desiderio di poter prolungare la piacevole e tiepida sensazione di benessere: ‘…il calore avvolge le membra e, soffusamente, aleggia nell’io e lascia pian piano penetrare stille concentrate di amore che, a mò di terapia, sviluppano dolci emozioni…’ Dal ‘buon sapore’, il Dono di Natale, non è il racconto di un sogno, non è una favola per romantici; suggerisce, invece, un modo per interpretare la vita: vivere ogni momento, aprendo una finestra su se stessi, spalancata sulla realizzazione di sé, cui dedicare uno spazio atemporale che non priva gli altri della normale quotidianità, avvincente o angusta, col peso di concrete responsabilità , vissuta nella consapevolezza di rinunce, abbandoni ed assenze. E, per scenario, quale connubio migliore se non la magia del Natale coniugata al dono magico delle emozioni vibranti, vissute positivamente, e non esasperate? Anche il ‘ritmo’ colpisce: non è affannoso, agitato; è l’espressione di un lento assaporare lo star bene, del ‘gustoso’ piacere di una pietanza consumata in compagnia di quanti sono in sintonia con noi. I personaggi, poi, non sono quelli ‘colorati’ o particolari, ‘vistosi’, per benessere fisico od economico;  sono i simboli  di pacate normalità, di uomini e donne alle prese con problematiche che, in qualche modo, ci vedono partecipi; hanno colori forti o tenui, con sfumature caratteriali e morali che solo il pennello saggio di un pittore saprebbe cogliere ed interpretare senza dover ricorrere ad esaltanti o ricercate aggettivazioni. Siamo noi, personaggi o sagome della vita con tutte le sue contaminazioni, attori di contraddizioni che ci allontanano dall’io e ci costringono solo all’essere, comunque, ad ogni costo, in qualunque ruolo. Il percorso narrato in questo racconto, ci spinge, dunque, a non  rifugiarci nei sogni, per sopravvivere, ma, piuttosto, ad interpretare il quotidiano in modo da non fingere più con se stessi né con gli altri. In fondo ‘la quadratura del cerchio’ non è difficile da realizzare: basta convincersi che esiste il modo per non rinnegare se stessi, per continuare a coltivare emozioni e passioni, senza farsi aggredire da voluminosi sensi di colpa o da irresolubili conflitti morali. Il senso più giusto della vita sta nel non soffocare l’io che si nutre di passione, di emozioni, di armonia, per poter, così, affrontare meglio il ‘divenire muto e silenzioso’ dell’esistenza. Basta un gesto semplice : varcare la soglia del concreto e librarsi nella dimensione pura del vivere per riuscire ad essere quello che non sempre ci permettono di mostrare: anime alla continua ricerca della condivisione pura ed esaltante della verità vissuta sul filo delle emozioni.