SOS LINFEDEMA

IL LINFEDEMA: DEFINIZIONI E PROBLEMATICHE CORRELATE


Il linfedema è un accumulo di liquido (linfa) nei tessuti molli e generalmente si verifica in uno o più dei quattro arti in seguito ad un difetto della circolazione linfatica che può essere primitivo (congenito o costituzionale, precoce o tardivo) o secondario (generalmente a chirurgia resettiva linfatica, infezioni o infestazioni, traumi o infiltrazione neoplastica dei linfonodi).I linfedemi primari sono dovuti ad una ipo- aplasia del circolo linfatico dell’arto affetto, o ancora a una insufficienza dei collettori linfatici, che sono sì presenti, ma non sono capaci di veicolare la linfa al loro interno e allora si dilatano e trasudano il loro contenuto. Le forme primarie interessano soprattutto le regioni declivi del corpo, quindi gli arti inferiori e i genitali esterni (con quadri talora mostruosi) o possono dare sindromi complesse interessanti gli organi addominali o toracici (chiloperitoneo, chilotorace, sindromi da malassorbimento, chiluria quando la linfa proveniente dall’intestino e detta chilo, ricca di chilomicroni, stravasa con meccanismo antigravitazionale).I linfedemi secondari nel mondo occidentale seguono, nella stragrande maggioranza dei casi, interventi chirurgici di asportazione di linfonodi a fine oncologico (es. linfoadenectomia ascellare nella chirurgia del cancro mammario) o comunque una infiltrazione neoplastica delle stazioni linfonodali di un arto (es. melanoma) con congestione della linfa a monte. La loro distribuzione interessa, con percentuali simili, sia l’arto superiore che quello inferiore. Nel terzo mondo, invece, la prima causa di linfoedema degli arti inferiori secondario è l’infestazione da filaria.Come conseguenza immediata del mancato circolo della linfa si ha l’aumento di peso e dimensione dell’arto affetto, che peggiora nel tempo se la malattia non è trattata adeguatamente, con ripercussioni articolari e, nel caso del linfedema degli arti inferiori, posturali.La stasi linfatica, inoltre, può complicarsi con la sepsi della linfa stagnante dovuta ad una immunodepressione locale (v.oltre) ed allora si ha il quadro della linfangite acuta erisipeloide: l’arto diviene arrossato, caldo, fortemente dolente ed aumenta ancora in dimensione. L’infezione linfatica causa una ulteriore sclerosi dei collettori linfatici colpiti, peggiorando ancora il circolo linfatico dell’arto e aumentando quindi il rischio di sviluppare una nuova linfangite. Si instaura così un circolo vizioso che, nel giro di alcuni anni, porta ad una progressione della malattia linfatica fino allo stadio di elefantiasi.Epidemiologia del linfedemaE’ molto difficile stabilire, oggi, quante persone nel mondo sono affette da linfedema . Questo non solo per la difficoltà di studiare statisticamente il problema in molti paesi, per ostacoli di natura economica o geopolitica, ma anche perché la WHO preferisce focalizzare la sua attenzione su patologie più conosciute e con più alta mortalità, quali il cancro o l’aids.Tuttavia basta osservare la diffusione del linfedema nell’ambito della popolazione, sia nelle classi sociali più alte, che nei ceti più poveri, per capire quanto sia elevato il coinvolgimento sociale e il carico economico sulla salute mondiale.Infatti anche il linfedema , come le più conosciute patologie che causano invalidità, promuove la riduzione della capacità lavorativa del soggetto affetto, nonché implica una serie di cure costose da eseguirsi cronicamente per tutta la vita.A ciò si aggiunga che nei casi più gravi la presenza di tali malattie può portare a gravi difficoltà nella vita di relazione, finanche a un vero e proprio isolamento sociale.Dati del 1994 della WHO indicano la presenza, nel mondo, di ben 65 milioni di pazienti affetti da primario.Per quanto concerne il linfedema secondario, ben 120 milioni di persone sono affette, tra India e Sud America da filariasi, che provoca gravi deformità agli arti colpiti e la totale incapacità lavorativa, nonché costi elevati per il suo trattamento.Nel mondo occidentale, invece, oltre 25 milioni di persone sono affette da conseguenze a terapia chirurgica e/o radioterapia per motivi oncologici.Per di più, parallelamente alla diminuzione dell’aggressività chirurgica per il trattamento del cancro mammario, si assiste ad un incremento del ricorso a radioterapia post-operatoria (“QUART”), con aumento dell’incidenza di linfedema all’arto superiore (fino al 25% delle pazienti operate).Si pensi al disagio psicologico di una donna che lavora come commessa in un negozio o come impiegata in un pubblico ufficio, che ogni giorno deve rapportarsi alla sua clientela mostrando il suo arto deforme.Infine, un gran numero di casi di sono classificati come “funzionali” o “da disuso” (in arti paretici), ovvero ancora conseguono a disordini di natura venosa (sindrome post-flebitica). Secondo la WHO sono circa 10 milioni ed il loro numero è in costante aumento.Costi socialiOltre alle ore di lavoro perdute, per curarsi e in seguito alle complicanze, da un paziente affetto da linfedema, dobbiamo considerare la frequente necessità di spostarsi dalla propria città per raggiungere i centri di cura di tale patologia, per la quale sono previsti cicli di trattamento che possono durare anche tre settimane e da ripetersi nel tempo.Solo dopo lunghi cicli di “terapia combinata”, con l’utilizzo di contenzioni elastiche costose, si arriva alla riduzione dell’arto ed il paziente può riprendere le sue attività quotidiane.Le cure possibiliLa terapia del linfedema , sia primitivo che secondario, sulla guida di quanto stabilito a partire dal Consensus Document della Società Internazionale di Linfologia, pubblicato sulla rivista “Lymphology” nel 1996, comporta l’adozione, a seconda degli stadi di malattia, di diversi procedimenti di tipo igienico-farmacologico, fisico-riabilitativo e chirurgico e viene pertanto detta “combinata”.1. Misure igieniche.La linfa imprigionata nei tessuti si comporta come l’acqua stagnante, e cioè tende ad imputridire. In altre parole, il non corretto funzionamento del sistema linfatico in un arto comporta una immunodepressione locale con riduzione della capacità di difesa dei tegumenti dovuta alla mancata o diminuita veicolazione dei batteri e delle tossine ai linfonodi, dove dovrebbe avvenire la risposta del nostro sistema immunitario. Il risultato è l’accumulo e la virulentazione di tali germi che danno adito a frequenti infezioni linfangitiche, con febbre alta, iperemia cutanea, dolore, peggioramento dell’edema e, nei casi non trattati, frequenti setticemie.Va da sé, dunque, che è fondamentale per il paziente attuare tutte quelle misure igienico-comportamentali volte a ridurre il rischio di infezioni:6. pulizia quotidiana della cute e protezione della stessa da traumi, calore e punture di insetto;7. cura delle unghie;8. divieto assoluto di usare indumenti stretti che possano ostacolare la già precaria circolazione della linfa (ad esempio nelle pazienti con linfedema secondario a chirurgia per cancro mammario si consiglia di usare un reggiseno con spalline larghe in modo da ridurre la pressione di queste in regione sopraclaveare, dove passa una via di drenaggio di compenso per l’arto superiore);9. divieto assoluto di indossare anelli, bracciali o altri oggetti che possano decubitare o macerare la cute, favorendo l’infezione linfangitica;10. limitazione dell’esposizione al sole alle prime ore del mattino e a quelle della sera;11. limitazione dell’esposizione ad altre fonti di calore (evitare ad esempio le docce calde);12. necessità di frequenti esercizi di ginnastica specifica per movimentare la linfa dopo prolungato ortostatismo o dopo prolungata immobilità (es. durante un viaggio in auto il paziente dovrà fermarsi di frequente per favorire la circolazione linfatica e venosa agli arti inferiori);13. necessità di dormire con l’arto affetto in posizione acclive (ad es. ponendo un cuscino sotto l’arto superiore affetto, o, se si tratta di un linfedema all’arto inferiore, alzando i piedi del letto con degli appositi sostegni);14. dieta ferrea, con pesante limitazione della assunzione di grassi, che vanno ad aumentare la formazione di chilo intestinale, con ingorgo del circolo linfatico a monte.Come si può facilmente intuire, alcune delle misure sopra elencate oltre a favorire il circolo della linfa limitano notevolmente il malato di linfedema, peggiorandone la già di per sé scarsa qualità di vita.2. Terapia farmacologiaI farmaci utilizzati per la terapia del linfedema appartengono a varie categorie: anti-infiammatori, antibiotici, diuretici, antiedemigeni, linfotropi-linfocinetici.6. Anti-infiammatori: si tratta in primo luogo di FANS e il loro impiego si attua soprattutto in corso di linfangite acuta o per il controllo del dolore in taluni pazienti con improvviso aumento di volume dell’arto o episodi di artralgia legata alle alterazioni degli equilibri articolari per il peso degli arti affetti.7. Linfotropi: comprendono i benzopironi, efficaci nel favorire il riassorbimento della parte proteica macromolecolare dell’edema e quindi, secondariamente, della componente acquosa trattenuta dalle cariche elettrostatiche.8. Linfocinetici: sono spesso farmaci naturopatici, derivati da piante quali la centella, il meliloto o i mirtilli (flavonoidi). Essi favoriscono la peristalsi dei vasi linfatici a parete muscolare e delle vene, e quindi il drenaggio di linfa e sangue dagli arti, anche in senso antigravitario.9. Diuretici: talora possono venire utilizzati, in alcuni tipi di linfedema, al fine di contrastare la tendenza del paziente a ritenere liquidi per motivi metabolici (ad es. nel periodo pre-mestruale).10. Antibiotici: sfortunatamente per il malato di linfedema, non considerando i diuretici che sono indicati in pazienti selezionati, solamente tale categoria è mutuabile; essi vengono utilizzati nel trattamento delle complicanze settiche (derivati della penicillina o chinolonici) e per la loro prevenzione (Penicillina G benzatina con cadenza mensile o bi-settimanale).Tutti gli altri farmaci, a cominciare dagli anti-infiammatori e dai linfotropi-linfocinetici, sono a totale carico del (si fa per dire) assistito. E talora si tratta di prodotti efficaci ma drammaticamente costosi, in relazione alla necessità di assumerli long life.3. Terapia fisicaLa terapia fisica del linfedema rappresenta l’arma più importante nella battaglia contro tale malattia.Accanto al linfodrenaggio meccanico, da attuarsi con appositi macchinari va sempre associato il linfodrenaggio manuale, il quale favorisce il riassorbimento non solo della componente acquosa dell’edema, ma anche di quella proteica, che perpetua la malattia con meccanismo idrostatico e osmotico.Tali trattamenti, persistendo la causa dell’edema (insufficienza linfatica primitiva o secondaria) devono necessariamente essere ripetuti nel tempo, con cicli di almeno 10 sedute ogni tre mesi. Infatti alla fine di ogni trattamento, al paziente affetto da linfedema viene applicato un bendaggio elastico funzionale e consigliata una idonea contenzione elastica, in modo da esercitare dall’esterno dell’arto una contropressione volta a ritardare l’accumulo di liquido per meccanismo idrostatico. Le contenzioni dovrebbero essere portate sempre dal paziente in quanto la causa della malattia difficilmente viene risolta.In rapporto a quanto sopra detto vanno segnalati diversi problemi:6. I costi della terapia fisica a seduta, moltiplicati per almeno 10 sedute, da ripetersi a cicli in rapporto alla fase della malattia, per tutta la vita. Va da se che dei pazienti affetti da tale invalidante e progressiva patologia, ben pochi possono permettersi una cura adeguata per motivi squisitamente economici.7. I costi delle contenzioni elastiche: queste andrebbero rinnovate ogni 3 mesi e possibilmente essere confezionate su misura. Ma tali costi ancora una volta sono a totale carico dell’ammalato e sono elevatissimi (150-200 euro per una guaina standard, fino a 500 euro per le contenzioni su misura, da spendersi ogni 3-6 mesi per consunzione del tessuto elastico).8. La formazione di medici e fisioterapisti preposti al trattamento delle malattie del sistema linfatico, con adeguata preparazione sia dal lato diagnostico che terapeutico. Ben pochi medici e in centri altamente specializzati conoscono a fondo il linfedema, che del resto è una malattia ignorata anche nei corsi universitari, cosicché si arriva a diagnosticare come flebiti (ahimé) delle linfangiti su arti palesemente patologici.9. La mancanza di un adeguato programma di prevenzione dei linfedemi secondari: rivolto soprattutto a chirurghi e radioterapisti e volto a identificare, ancor prima di sottoporre i pazienti all’intervento terapeutico oncologico, quelli con rischio medio-alto di sviluppare linfedema post-oncologico (basterebbe una linfoscintigrafia!) per sottoporli a prevenzione secondaria (ad es. contenzione elastica prima che si sviluppi l’edema dopo una mastectomia con linfoadenectomia ascellare) e quindi abbattere i costi di gestione di tali pazienti!4. Terapia chirurgicaIl ruolo della chirurgia nel trattamento dei linfedemi è controverso. Accanto agli interventi di cutolipofascectomia totale o alle fasciotomie multiple, considerati ultima ratio per la cura di gravi elefantiasi, e comunque con risultati funzionali ed estetici discutibili, si è andata affermando nel tempo la microchirurgia dei linfatici, che prevede il confezionamento di anastomosi linfatico-venose negli arti affetti con “sblocco” funzionale della circolazione linfatica. In altre parole si vanno ad aprire delle porte nelle vie linfatiche ostruite in modo da far defluire la linfa nel circolo venoso. Tuttavia, se la linfa non viene spinta attraverso queste porte dall’esterno con il linfodrenaggio e le contenzioni elastiche, l’efficacia di tali interventi è nulla, come è nulla se l’operazione microchirurgica viene effettuata su un arto con un linfedema di vecchia data a grande componente fibrotica. In altre parole, anche una volta operato, il paziente deve sottoporsi a cicli ripetuti di terapia fisica e deve portare le contenzioni, altrimenti il volume dell’arto operato è destinato ad aumentare. I tre tipi di intervento non devono essere considerati antitetici tra di loro, ma complementari l’uno all’altro, per il raggiungimento del risultato migliore, più duraturo e stabile possibile. Per ogni caso clinico, poi, a seconda dell’eziologia e dello stadio evolutivo dell’edema, solo la razionale associazione delle varie metodiche può fornire nel tempo i risultati migliori.ConclusioniIl linfedema è una malattia più frequente di quanto si pensi nella popolazione, soprattutto quello secondario a chirurgia oncologica. Almeno il 25% delle operate di cancro mammario, soprattutto se sottoposte a radioterapia, sviluppa un certo grado di stasi linfatica che, non trattato, porta inesorabilmente a quadri elefantiasici nel giro di alcuni anni. Per gli interventi oncologici che implicano il coinvolgimento dei linfonodi inguinali non vi sono al momento studi epidemiologici significativi, ma sono molto frequenti i linfedemi degli arti inferiori conseguenti a chirurgia per cancri della sfera urologia o ginecologica, tanto da ipotizzare una frequenza sovrapponibile a quella dell’arto superiore.La prevenzione quindi, da un lato, e la diagnosi precoce con la precisa stadiazione del linfedema dall’altro, in modo da iniziare il suo rapido trattamento, sono fondamentali nella lotta contro tale condizione e nell’abbattimento dei costi sociali intesi come giornate lavorative perdute in seguito a complicanze settiche, o invalidità sviluppate nel tempo; e come costi di prestazione (un linfedema lieve ha un costo terapeutico sicuramente minore di una elefantiasi che richiede il ricorso ad un maggior numero di risorse).Solo formando medici al fine di trattare le malattie dei vasi linfatici ed aprendo Centri dedicati, tale scopo potrà essere raggiunto, abbattendo anche i costi, per il paziente, legati agli spostamenti dalla propria città alla sede del Centro specialistico di riferimento, spesso molto lontano.Dott. Angelo Zilli