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Un blog creato da Linfedema il 11/05/2007

SOS LINFEDEMA

storia di sanità negata

 
 

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Ci auguriamo che la speranza di Franco
si realizzi in una rapida soluzione dei problemi
connessi al suo stato, ricordando a tutti
che questa speranza non può appartenere ad un
solo uomo, ma a tutti noi
almeno per un solo motivo, quello del
rispetto della vita umana.

 

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Cimmagineiao Franco, non ci siamo conosciuti di persona all' 11 maggio a Roma ma visto che anche la nostra associazione "c'era" (Naevus Italia) sulla patologia rara del Nevo Melanocitico Congenito Gigante, volevo significare a te e alla tua associazione tutta la nostra solidarietà in termini di associazionismo perchè solo così.....tanti riusciremo a non rimanere....RARI!!! Grazie. Il nostro sito è  www.nevogigante.it
Tedoldi Stefania
 

 

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IL LINFEDEMA: DEFINIZIONI E PROBLEMATICHE CORRELATE

Post n°2 pubblicato il 11 Maggio 2007 da Linfedema

Il linfedema è un accumulo di liquido (linfa) nei
tessuti molli e generalmente si verifica in uno o più dei quattro arti
in seguito ad un difetto della circolazione linfatica che può essere
primitivo (congenito o costituzionale, precoce o tardivo) o secondario
(generalmente a chirurgia resettiva linfatica, infezioni o
infestazioni, traumi o infiltrazione neoplastica dei linfonodi).
I
linfedemi primari sono dovuti ad una ipo- aplasia del circolo linfatico
dell’arto affetto, o ancora a una insufficienza dei collettori
linfatici, che sono sì presenti, ma non sono capaci di veicolare la
linfa al loro interno e allora si dilatano e trasudano il loro
contenuto. Le forme primarie interessano soprattutto le regioni declivi
del corpo, quindi gli arti inferiori e i genitali esterni (con quadri
talora mostruosi) o possono dare sindromi complesse interessanti gli
organi addominali o toracici (chiloperitoneo, chilotorace, sindromi da
malassorbimento, chiluria quando la linfa proveniente dall’intestino e
detta chilo, ricca di chilomicroni, stravasa con meccanismo
antigravitazionale).
I linfedemi secondari nel mondo occidentale
seguono, nella stragrande maggioranza dei casi, interventi chirurgici
di asportazione di linfonodi a fine oncologico (es. linfoadenectomia
ascellare nella chirurgia del cancro mammario) o comunque una
infiltrazione neoplastica delle stazioni linfonodali di un arto (es.
melanoma) con congestione della linfa a monte. La loro distribuzione
interessa, con percentuali simili, sia l’arto superiore che quello
inferiore. Nel terzo mondo, invece, la prima causa di linfoedema degli
arti inferiori secondario è l’infestazione da filaria.
Come
conseguenza immediata del mancato circolo della linfa si ha l’aumento
di peso e dimensione dell’arto affetto, che peggiora nel tempo se la
malattia non è trattata adeguatamente, con ripercussioni articolari e,
nel caso del linfedema degli arti inferiori, posturali.
La stasi
linfatica, inoltre, può complicarsi con la sepsi della linfa stagnante
dovuta ad una immunodepressione locale (v.oltre) ed allora si ha il
quadro della linfangite acuta erisipeloide: l’arto diviene arrossato,
caldo, fortemente dolente ed aumenta ancora in dimensione. L’infezione
linfatica causa una ulteriore sclerosi dei collettori linfatici
colpiti, peggiorando ancora il circolo linfatico dell’arto e aumentando
quindi il rischio di sviluppare una nuova linfangite. Si instaura così
un circolo vizioso che, nel giro di alcuni anni, porta ad una
progressione della malattia linfatica fino allo stadio di elefantiasi.

Epidemiologia del linfedema

E’
molto difficile stabilire, oggi, quante persone nel mondo sono affette
da linfedema . Questo non solo per la difficoltà di studiare
statisticamente il problema in molti paesi, per ostacoli di natura
economica o geopolitica, ma anche perché la WHO preferisce focalizzare
la sua attenzione su patologie più conosciute e con più alta mortalità,
quali il cancro o l’aids.
Tuttavia basta osservare la diffusione del
linfedema nell’ambito della popolazione, sia nelle classi sociali più
alte, che nei ceti più poveri, per capire quanto sia elevato il
coinvolgimento sociale e il carico economico sulla salute mondiale.
Infatti
anche il linfedema , come le più conosciute patologie che causano
invalidità, promuove la riduzione della capacità lavorativa del
soggetto affetto, nonché implica una serie di cure costose da eseguirsi
cronicamente per tutta la vita.
A ciò si aggiunga che nei casi più
gravi la presenza di tali malattie può portare a gravi difficoltà nella
vita di relazione, finanche a un vero e proprio isolamento sociale.
Dati del 1994 della WHO indicano la presenza, nel mondo, di ben 65 milioni di pazienti affetti da primario.
Per
quanto concerne il linfedema secondario, ben 120 milioni di persone
sono affette, tra India e Sud America da filariasi, che provoca gravi
deformità agli arti colpiti e la totale incapacità lavorativa, nonché
costi elevati per il suo trattamento.
Nel mondo occidentale, invece,
oltre 25 milioni di persone sono affette da conseguenze a terapia
chirurgica e/o radioterapia per motivi oncologici.
Per di più,
parallelamente alla diminuzione dell’aggressività chirurgica per il
trattamento del cancro mammario, si assiste ad un incremento del
ricorso a radioterapia post-operatoria (“QUART”), con aumento
dell’incidenza di linfedema all’arto superiore (fino al 25% delle
pazienti operate).
Si pensi al disagio psicologico di una donna che
lavora come commessa in un negozio o come impiegata in un pubblico
ufficio, che ogni giorno deve rapportarsi alla sua clientela mostrando
il suo arto deforme.
Infine, un gran numero di casi di sono
classificati come “funzionali” o “da disuso” (in arti paretici), ovvero
ancora conseguono a disordini di natura venosa (sindrome
post-flebitica). Secondo la WHO sono circa 10 milioni ed il loro numero
è in costante aumento.

Costi sociali

Oltre alle ore di
lavoro perdute, per curarsi e in seguito alle complicanze, da un
paziente affetto da linfedema, dobbiamo considerare la frequente
necessità di spostarsi dalla propria città per raggiungere i centri di
cura di tale patologia, per la quale sono previsti cicli di trattamento
che possono durare anche tre settimane e da ripetersi nel tempo.
Solo
dopo lunghi cicli di “terapia combinata”, con l’utilizzo di contenzioni
elastiche costose, si arriva alla riduzione dell’arto ed il paziente
può riprendere le sue attività quotidiane.

Le cure possibili

La
terapia del linfedema , sia primitivo che secondario, sulla guida di
quanto stabilito a partire dal Consensus Document della Società
Internazionale di Linfologia, pubblicato sulla rivista “Lymphology” nel
1996, comporta l’adozione, a seconda degli stadi di malattia, di
diversi procedimenti di tipo igienico-farmacologico,
fisico-riabilitativo e chirurgico e viene pertanto detta “combinata”.

1. Misure igieniche.

La
linfa imprigionata nei tessuti si comporta come l’acqua stagnante, e
cioè tende ad imputridire. In altre parole, il non corretto
funzionamento del sistema linfatico in un arto comporta una
immunodepressione locale con riduzione della capacità di difesa dei
tegumenti dovuta alla mancata o diminuita veicolazione dei batteri e
delle tossine ai linfonodi, dove dovrebbe avvenire la risposta del
nostro sistema immunitario. Il risultato è l’accumulo e la
virulentazione di tali germi che danno adito a frequenti infezioni
linfangitiche, con febbre alta, iperemia cutanea, dolore, peggioramento
dell’edema e, nei casi non trattati, frequenti setticemie.
Va da sé,
dunque, che è fondamentale per il paziente attuare tutte quelle misure
igienico-comportamentali volte a ridurre il rischio di infezioni:
6. pulizia quotidiana della cute e protezione della stessa da traumi, calore e punture di insetto;
7. cura delle unghie;
8.
divieto assoluto di usare indumenti stretti che possano ostacolare la
già precaria circolazione della linfa (ad esempio nelle pazienti con
linfedema secondario a chirurgia per cancro mammario si consiglia di
usare un reggiseno con spalline larghe in modo da ridurre la pressione
di queste in regione sopraclaveare, dove passa una via di drenaggio di
compenso per l’arto superiore);
9. divieto assoluto di indossare
anelli, bracciali o altri oggetti che possano decubitare o macerare la
cute, favorendo l’infezione linfangitica;
10. limitazione dell’esposizione al sole alle prime ore del mattino e a quelle della sera;
11. limitazione dell’esposizione ad altre fonti di calore (evitare ad esempio le docce calde);
12.
necessità di frequenti esercizi di ginnastica specifica per movimentare
la linfa dopo prolungato ortostatismo o dopo prolungata immobilità (es.
durante un viaggio in auto il paziente dovrà fermarsi di frequente per
favorire la circolazione linfatica e venosa agli arti inferiori);
13.
necessità di dormire con l’arto affetto in posizione acclive (ad es.
ponendo un cuscino sotto l’arto superiore affetto, o, se si tratta di
un linfedema all’arto inferiore, alzando i piedi del letto con degli
appositi sostegni);
14. dieta ferrea, con pesante limitazione della
assunzione di grassi, che vanno ad aumentare la formazione di chilo
intestinale, con ingorgo del circolo linfatico a monte.
Come si può
facilmente intuire, alcune delle misure sopra elencate oltre a favorire
il circolo della linfa limitano notevolmente il malato di linfedema,
peggiorandone la già di per sé scarsa qualità di vita.

2. Terapia farmacologia

I
farmaci utilizzati per la terapia del linfedema appartengono a varie
categorie: anti-infiammatori, antibiotici, diuretici, antiedemigeni,
linfotropi-linfocinetici.
6. Anti-infiammatori: si tratta in primo
luogo di FANS e il loro impiego si attua soprattutto in corso di
linfangite acuta o per il controllo del dolore in taluni pazienti con
improvviso aumento di volume dell’arto o episodi di artralgia legata
alle alterazioni degli equilibri articolari per il peso degli arti
affetti.
7. Linfotropi: comprendono i benzopironi, efficaci nel
favorire il riassorbimento della parte proteica macromolecolare
dell’edema e quindi, secondariamente, della componente acquosa
trattenuta dalle cariche elettrostatiche.
8. Linfocinetici: sono
spesso farmaci naturopatici, derivati da piante quali la centella, il
meliloto o i mirtilli (flavonoidi). Essi favoriscono la peristalsi dei
vasi linfatici a parete muscolare e delle vene, e quindi il drenaggio
di linfa e sangue dagli arti, anche in senso antigravitario.
9.
Diuretici: talora possono venire utilizzati, in alcuni tipi di
linfedema, al fine di contrastare la tendenza del paziente a ritenere
liquidi per motivi metabolici (ad es. nel periodo pre-mestruale).
10.
Antibiotici: sfortunatamente per il malato di linfedema, non
considerando i diuretici che sono indicati in pazienti selezionati,
solamente tale categoria è mutuabile; essi vengono utilizzati nel
trattamento delle complicanze settiche (derivati della penicillina o
chinolonici) e per la loro prevenzione (Penicillina G benzatina con
cadenza mensile o bi-settimanale).
Tutti gli altri farmaci, a
cominciare dagli anti-infiammatori e dai linfotropi-linfocinetici, sono
a totale carico del (si fa per dire) assistito. E talora si tratta di
prodotti efficaci ma drammaticamente costosi, in relazione alla
necessità di assumerli long life.

3. Terapia fisica

La terapia fisica del linfedema rappresenta l’arma più importante nella battaglia contro tale malattia.
Accanto
al linfodrenaggio meccanico, da attuarsi con appositi macchinari va
sempre associato il linfodrenaggio manuale, il quale favorisce il
riassorbimento non solo della componente acquosa dell’edema, ma anche
di quella proteica, che perpetua la malattia con meccanismo idrostatico
e osmotico.
Tali trattamenti, persistendo la causa dell’edema
(insufficienza linfatica primitiva o secondaria) devono necessariamente
essere ripetuti nel tempo, con cicli di almeno 10 sedute ogni tre mesi.
Infatti alla fine di ogni trattamento, al paziente affetto da linfedema
viene applicato un bendaggio elastico funzionale e consigliata una
idonea contenzione elastica, in modo da esercitare dall’esterno
dell’arto una contropressione volta a ritardare l’accumulo di liquido
per meccanismo idrostatico. Le contenzioni dovrebbero essere portate
sempre dal paziente in quanto la causa della malattia difficilmente
viene risolta.
In rapporto a quanto sopra detto vanno segnalati diversi problemi:
6.
I costi della terapia fisica a seduta, moltiplicati per almeno 10
sedute, da ripetersi a cicli in rapporto alla fase della malattia, per
tutta la vita. Va da se che dei pazienti affetti da tale invalidante e
progressiva patologia, ben pochi possono permettersi una cura adeguata
per motivi squisitamente economici.
7. I costi delle contenzioni
elastiche: queste andrebbero rinnovate ogni 3 mesi e possibilmente
essere confezionate su misura. Ma tali costi ancora una volta sono a
totale carico dell’ammalato e sono elevatissimi (150-200 euro per una
guaina standard, fino a 500 euro per le contenzioni su misura, da
spendersi ogni 3-6 mesi per consunzione del tessuto elastico).
8. La
formazione di medici e fisioterapisti preposti al trattamento delle
malattie del sistema linfatico, con adeguata preparazione sia dal lato
diagnostico che terapeutico. Ben pochi medici e in centri altamente
specializzati conoscono a fondo il linfedema, che del resto è una
malattia ignorata anche nei corsi universitari, cosicché si arriva a
diagnosticare come flebiti (ahimé) delle linfangiti su arti palesemente
patologici.
9. La mancanza di un adeguato programma di prevenzione
dei linfedemi secondari: rivolto soprattutto a chirurghi e
radioterapisti e volto a identificare, ancor prima di sottoporre i
pazienti all’intervento terapeutico oncologico, quelli con rischio
medio-alto di sviluppare linfedema post-oncologico (basterebbe una
linfoscintigrafia!) per sottoporli a prevenzione secondaria (ad es.
contenzione elastica prima che si sviluppi l’edema dopo una mastectomia
con linfoadenectomia ascellare) e quindi abbattere i costi di gestione
di tali pazienti!

4. Terapia chirurgica

Il ruolo della
chirurgia nel trattamento dei linfedemi è controverso. Accanto agli
interventi di cutolipofascectomia totale o alle fasciotomie multiple,
considerati ultima ratio per la cura di gravi elefantiasi, e comunque
con risultati funzionali ed estetici discutibili, si è andata
affermando nel tempo la microchirurgia dei linfatici, che prevede il
confezionamento di anastomosi linfatico-venose negli arti affetti con
“sblocco” funzionale della circolazione linfatica. In altre parole si
vanno ad aprire delle porte nelle vie linfatiche ostruite in modo da
far defluire la linfa nel circolo venoso. Tuttavia, se la linfa non
viene spinta attraverso queste porte dall’esterno con il linfodrenaggio
e le contenzioni elastiche, l’efficacia di tali interventi è nulla,
come è nulla se l’operazione microchirurgica viene effettuata su un
arto con un linfedema di vecchia data a grande componente fibrotica. In
altre parole, anche una volta operato, il paziente deve sottoporsi a
cicli ripetuti di terapia fisica e deve portare le contenzioni,
altrimenti il volume dell’arto operato è destinato ad aumentare.

I
tre tipi di intervento non devono essere considerati antitetici tra di
loro, ma complementari l’uno all’altro, per il raggiungimento del
risultato migliore, più duraturo e stabile possibile. Per ogni caso
clinico, poi, a seconda dell’eziologia e dello stadio evolutivo
dell’edema, solo la razionale associazione delle varie metodiche può
fornire nel tempo i risultati migliori.

Conclusioni

Il
linfedema è una malattia più frequente di quanto si pensi nella
popolazione, soprattutto quello secondario a chirurgia oncologica.
Almeno il 25% delle operate di cancro mammario, soprattutto se
sottoposte a radioterapia, sviluppa un certo grado di stasi linfatica
che, non trattato, porta inesorabilmente a quadri elefantiasici nel
giro di alcuni anni. Per gli interventi oncologici che implicano il
coinvolgimento dei linfonodi inguinali non vi sono al momento studi
epidemiologici significativi, ma sono molto frequenti i linfedemi degli
arti inferiori conseguenti a chirurgia per cancri della sfera urologia
o ginecologica, tanto da ipotizzare una frequenza sovrapponibile a
quella dell’arto superiore.
La prevenzione quindi, da un lato, e la
diagnosi precoce con la precisa stadiazione del linfedema dall’altro,
in modo da iniziare il suo rapido trattamento, sono fondamentali nella
lotta contro tale condizione e nell’abbattimento dei costi sociali
intesi come giornate lavorative perdute in seguito a complicanze
settiche, o invalidità sviluppate nel tempo; e come costi di
prestazione (un linfedema lieve ha un costo terapeutico sicuramente
minore di una elefantiasi che richiede il ricorso ad un maggior numero
di risorse).
Solo formando medici al fine di trattare le malattie
dei vasi linfatici ed aprendo Centri dedicati, tale scopo potrà essere
raggiunto, abbattendo anche i costi, per il paziente, legati agli
spostamenti dalla propria città alla sede del Centro specialistico di
riferimento, spesso molto lontano.

Dott. Angelo Zilli

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