Andrea Liponi

IL BUIO NELL'ACQUA


LUISE DOUGHTY, IL BUIO NELL’ACQUA, BOLLATI BORINGHIERI, 2017 Questo romanzo si presenta come un thriller spionistico, ma anche psicologico: alla base della paura del protagonista di essere ucciso da un momento all’altro c’è la sua vicenda passata, una colpa da espiare, oltre che una vita intera intessuta di esperienze tragiche.  Nato in Indonesia, a Giava, in un campo di prigionia giapponese, il protagonista affronta una vita avventurosa in giro per il mondo fin dalla più tenere età: dall’Indonesia all’Olanda, alla California, all’Indonesia stessa.   Qui vive l’esperienza, da emissario di una misteriosa società che si occupa di fornire informazioni utili a chi investe in zone del mondo a rischio, di sanguinose repressioni delle opposizioni da parte di regimi militari che prendono il potere.   Si tratta di stragi che spesso colpiscono a caso, intrecciandosi con conflitti e risentimenti tribali, e investono per lo più persone innocenti o scarsamente politicamente impegnate.  Gli eventi storici che le provocano sono l’ascesa al potere di Suharto, nel 1965, e la sua caduta, nel 1998.  Proprio nel 1998 si colloca l’azione principale del romanzo: Harper, messo da parte dalla sua società per non aver saputo prevedere in tempo la caduta del regime, vive in un luogo isolato, nel terrore di essere ucciso.  Per fortuna, tuttavia, incontra una donna, Rita, che gli ispira nuova fiducia nel futuro, al punto di sognare di ricostruirsi con lei una vita proprio in quell’isola dell’estremo oriente in cui è nato.   Un sogno? Il romanzo non ce lo dice.  Dopo averci raccontato l’infanzia di Harper con i nonni americani, un periodo felice, ma funestato da una tragedia, e il primo ritorno a Giava, con l’avventurosa fuga attraverso le risaie e le foreste che gli consente di salvare la vita (ma a prezzo di quali compromessi con la sua coscienza?), il romanzo si chiude con una concreta prospettiva di salvezza, malgrado proprio alla fine si sveli la ragione che turba  profondamente il protagonista, il suo pesante senso di colpa per un evento del passato.   Ma la chiusura è ambigua, aperta, e lascia il lettore in sospeso.  Questa autrice, insomma, un po’ subdolamente, non vuole proprio lasciarci gustare un “happy end” dopo averci proposto tante traversie dolorose.