Creato da LorenaBianconi il 30/01/2008
Titolo liberamente tratto dall'opera omonima di Claude Lévi-Strauss, che identifica un particolare approccio alla ricerca, un certo modo di guardare l'Altro, l'Altro-da-sé, lontano nel tempo e nello spazio...
 

 

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Considerazioni a margine di un ricettario di famiglia

Post n°22 pubblicato il 20 Giugno 2009 da LorenaBianconi
 

Casa Artusi ha di recente avviato un bellissimo progetto riguardante i ricettari di casa e/o di famiglia, cioè quei quaderni sui quali, nell’arco di diverse generazioni, le donne di casa (più raramente gli uomini) annotano le loro ricette. Casa Artusi ritiene infatti che questi quaderni siano documenti molto importanti: essi [cito dal sito internet] “ci dicono molto più di quello che prescrivono nelle ricette. Attraverso quelle preparazioni, ci dicono come vivono coloro che le hanno fissate su carta: quali sono le occasioni speciali, cosa considerano importante e “tradizionale”, cosa fa parte del retaggio della loro famiglia e della società della quale fanno parte, che cosa riconoscono come loro “identità”.

Mia nonna, la mamma di mio padre, si chiamava Lina. Originaria della campagna bolognese, classe 1914, ha vissuto per buona parte della sua vita in una tipica famiglia mezzadrile, molto numerosa, dove tutti, donne e uomini, avevano il loro compito. A mia nonna, che non aveva mai mostrato troppo entusiasmo per il lavoro nei campi, spettavano i lavori domestici, la cura dell'orto, del giardino e degli animali da cortile, infine la cucina. In altre parole, era il braccio destro dell'arzdoura, la reggitrice. Ma c'era una cosa in particolare che, stando alle sue parole, nessuno sapeva fare meglio di lei: le tagliatelle.
Di questa sua particolare abilità in cucina, io sono stata una testimone diretta: per tutta la vita, ogni domenica, l'ho vista preparare pranzi per 8-12 persone, a base di tortellini, lasagne, arrosti, cacciagione, sformati, e dolci. Faceva tutto da sola, con le sue mani, soltanto con l'ausilio di un piccolo forno a gas. Ma mia nonna aveva un segreto. In un mobiletto del soggiorno, dove conservava tutte le copie della rivista Grandhotel che comprava puntualmente ogni settimana, c'era un grosso quaderno, molto malandato, dove lei, con la sua calligrafia incerta e tremolante (aveva solo la quinta elementare) aveva appuntato tutte le sue ricette.
Io, durante i miei giochi di bambina, sicuramente l'avrò sfogliato qualche volta, senza mai dare troppa importanza a quel quaderno, che lei, tra l'altro, estraeva molto raramente dal cassetto. Come me, nessuno della mia famiglia aveva mai compreso fino in fondo quale valore potesse avere quel quaderno per mia nonna, tant'è vero che, un giorno, in occasione di un trasloco, qualcuno, scambiandolo per una inutile massa di cartacce, lo buttò. Mia nonna, ormai ultraottantenne, già provata dalla fatica dei lavori, una volta resasi conto della perdita, ebbe un forte shock e da allora non si riprese più.
Quello per lei era molto più di un ricettario. Era qualcosa che aveva a che fare con la sua stessa identità di donna, di moglie, di madre e di nonna. Attraverso il cibo che preparava, lei esprimeva se stessa e la sua competenza.  "Fare da mangiare" era sempre stato il suo compito ed era lo scopo di ogni sua giornata. Quel ricettario ne era il primo testimone, oltre ad essere la massima autorità in caso di dubbio. Perdere quello, equivaleva a perdere l'esperienza di una vita. E così, anche lei da quel giorno, si smarrì dentro sé stessa.

A tutti coloro che avessero tra le mani un ricettario di famiglia, brutto, sporco, malandato, sgrammaticato, rivolgo un appello: non buttatelo. Piuttosto, regalatelo a Casa Artusi. Là sapranno certamente trarne qualcosa di buono.

 
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Bolognese, laureata in Scienze dell'educazione, mi occupo di storia e cultura dell'alimentazione, tradizioni popolari e catalogazione museale.
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