Creato da lostinblog il 21/05/2008

Lost in Blog

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CAPITOLO I

Post n°2 pubblicato il 22 Maggio 2008 da lostinblog
 

Sotto un piccolo gazebo una donna seduta a un tavolo di cristallo dipingeva uova e ritagliava fiori di carta increspata; poco più in là l'aia di una casa bianca con le persiane azzurre, ombreggiata da un grande glicine rampicante e abbracciata da tutta la bellezza della campagna. Intingeva il pennello, lo scuoteva sull'erba punteggiandola di colore, e disegnava curve, fiocchi e simboli pasquali pensando al clima di pace che la circondava. Tutto era natura, serena solitudine, piacevole, rassicurante silenzio. Poi d'improvviso il fragore di un boato e il cupo suono di un tonfo frantumarono terribilmente la quiete. La donna sobbalzò spaventata e lasciando cadere il pennello si mise a correre verso la casa.
Anche una vecchia signora che abitava non molto lontano, in una casetta di un giallo acceso con due alti comignoli simile a quelle raffigurate nei libri di fiabe, aveva udito il terribile frastuono ed era accorsa. " Non ci posso credere: un'altra volta?" chiese l'anziana affannata. " Così pare.", sospirò cupa la donna, " Ormai accade sempre più spesso, a intervalli di tempo quasi regolari... Eppure non mi ci sono ancora abituata: guardi qua", disse malinconica indicando delle macchie rosse e arancio sui pantaloni, " stavo dipingendo in giardino e mi sono rovesciata tutto addosso per lo spavento!". " Poverina...Bisognerà pur fare qualcosa però!", le suggerì manifestando un misto di biasimo e compatimento. " Già", assentì sconsolata, " intanto entriamo a vedere i danni", ma, accorgendosi che sul viso della vicina si era disegnata una piccola smorfia di paura, soggiunse " Sarebbe opportuno che lei restasse qui, è più sicuro". " Ma nemmeno per sogno!", ribattè energicamente la vecchia signora, lasciando trasparire l'indignazione di essere ritenuta un'inutile codarda. Fu così che avanzarono insieme con la stessa espressione grave e doverosa di un soldato diretto al campo di battaglia. La porta d'ingresso era socchiusa e, come è tipico delle case di una volta, immetteva direttamente in un'ampia cucina: tutto appariva in ordine; la tavola, apparecchiata per due, era ricoperta da una tovaglia rosso scuro che richiamava il colore del pavimento, con al centro un vaso di coloratissimi fiori di campo; le stoviglie e tutti i suppellettili sembravano al loro posto. Un silenzio inquietante turbava la vecchia che se ne stava cautamente alle spalle della padrona di casa. " Guardi!" , le sussurrò questa indicando un filo di fumo che proveniva dal salone. Le due donne si avvicinarono, stringendosi per farsi coraggio: il salone era avvolto da una nuvola di polvere, così densa che solo dopo alcuni attimi, l'anziana si accorse, senza riuscire a trattenere lo sgomento, che la parete dinnanzi a loro era completamente danneggiata, come se una scossa di terremoto avesse staccato gran parte dell'intonaco e qualche pezzetto di muro. D'istinto afferrò il braccio della donna che dinnanzi a quello sfacelo si limitò a scuotere il capo, rimandendo in silenzio, senza manifestare alcun turbamento; l'anziana, al contrario, non riusciva a smettere di ripetere in modo sempre più plateale " Che disastro!" e la sua agitazione accrebbe ancor di più, quando, scendendo con lo sguardo le scale, interamente coperte dai frammenti di parete, fino all'ultimo gradino scoprì che questo era sovrastato dalla parte superiore di un enorme quadro, dalla massiccia cornice di legno dorato. "E' come l'altra volta" osservò fredda e ben poco rassicurante, la più giovane, "ha buttato giù il muro e ha fatto ruzzolare il quadro dagli scalini". " Senta...ma perchè non lo brucia?" azzardò a suggerire la vecchia, mentre l'aiutava a capovolgere la pesante tela; ma, cogliendo sul viso dell'altra un'epressione di meravigliata indignazione, soggiunse " magari non distruggerlo, ma almeno cambiargli di posto, che so, posizionarlo lontano dalle scale e un pochino più in basso, così non provocherebbe ogni volta questo disastro!". " Non lo so..." , rispose la donna con insolita dolcezza, poi soggiunse melliflua e trasognata " A lui piaceva tanto che stesse lì: non capisco perchè continui a farlo cadere ". L'anziana le lanciò un'occhiata malinconica e, con delusione, capì che in quel momento era troppo assorta per prestarle attenzione; scosse il capo e iniziò a cercare qualcosa per rassettare. La donna invece rimase china sul quadro sorridendo con tenerezza e lasciando che i suoi occhi si perdessero in quelli austeri e impietosi dell'uomo che vi era raffigurato.
La luce delle pennellate sembrava ancora viva sulla tela come se fosse stata appena dipinta e la lucidità dell’olio ravvivava i colori rendendoli così brillanti da apparire violenti. Le tonalità, però, erano cupe: i capelli neri, la carnagione olivastra e un abito altrettanto scuro facevano apparire ancor più tenebroso il ritratto; profonde rughe sulla fronte e sugli zigomi scavavano la tela; gli occhi, verde scuro, dal taglio malinconico, erano resi vivi da due minuscoli punti di luce e dal rosso delle venuzze che irroravano i bulbi bianchi e giallastri. In ogni dettaglio si coglieva un’esasperata ricerca di realismo; si scorgevano persino i piccoli peli delle narici, e le labbra sottili, serrate come se anche respirare fosse stato per quell’uomo un eccesso, accentuavano un’espressione rigida e l’austerità di una figura che incuteva un leggero senso di inquietudine. Persino l’anziana evitava di soffermarvisi con lo sguardo e si limitava a lanciare occhiate di riprovazione alla donna che ancora contemplava il dipinto in una sorta di infantile adorazione; poi, trascorsi alcuni minuti, si avvicinò per porle una mano sulla spalla: “ Forza Angelica, si alzi”, la incoraggiò come rivolgendosi a una bambina. Inizialmente la donna non sembrò nemmeno sentirla; poi, accorgendosi che la mano raggrinzita la scuoteva più forte, accettò di alzarsi e, a poco a poco, la dolcezza le svanì dal viso.
Per parecchio tempo le due donne cercarono di rimettere in ordine il salone fino a quando l’anziana si congedò da Angelica con la promessa di tornare.
Lasciata la casa la vecchia si soffermò a rivivere l’accaduto pensando di capire quanto si potesse essere legati così intensamente al ricordo di una persona al punto di lasciarsi turbare da un semplice ritratto.
Camminava piano, verso il suo giardino, con gli occhi socchiusi per il sole, affaticata dal lavoro e dalla calura estiva che sbiadiva i contorni delle cose e faceva ardere la natura, puntellando di giallo e di luce le foglie, i fili d’erba e i petali di quei pochi fiori che ancora resistevano all’afa. Quando fu a pochi passi dalla sua casa che sembrava sbocciare dalle selvagge macchie di colza spuntate tutte attorno, alzò il capo e, con meraviglia, vide che un uomo la stava aspettando proprio davanti alla porta. Aveva i capelli scuri, la carnagione un poco abbronzata e indossava un abito nero: in tutta quella luce, in quei colori nitidi, non sembrava una persona, ma un’ombra.
Anche se il sole le impediva di tenere alto lo sguardo, si rese conto che la stava fissando, tristemente immobile. “Albert”, sussurrò impaurita.
Il profilo d’uomo avanzava con passo solenne e, con un sorriso smorzato sulle labbra, rivolgendosi alla vecchia disse: “ Sì, Lidia, sono proprio io, il pittore maledetto, quello che da ragazza ti incatenava davanti ai suoi dipinti, quello che fra danze di chiaro-scuri scandiva il ritmo dei pensieri alterni e estremi di te adolescente. Le luci e le ombre dei tuoi grandi occhi erano nelle mie pennellate ora vigorose, ora molli e sensuali che trattavano la tela come una giovane amante desiderosa di essere colta. I neri, i grigi delle mie angosce si aprivano a quei leggeri squarci di bianco e azzurro nei quali tu leggevi i tuoi fragili sogni e le tue attese. Sono io, quello che ha alimentato le tue fantasie, che ha nutrito i tuoi anni crudi di emozioni violente e dolci. Ti ho rubato la leggiadria, la spensieratezza; ti ho messo negli occhi la nudità bianca del dolore, il freddo ghiaccio della morte, il grigio delle tempeste, l’alabastro delle mareggiate invernali. Quante colpe ho avuto nei tuoi confronti mia ora avvizzita fruitrice e… quanto è bello vederti oggi qui fra splendidi soli…”, la figura com’era giunta, si congedò.
Lidia scosse nervosamente il capo: “ Ah! Questo sole deve avermi dato alla testa” pensò “ vedo persino le ombre. Saranno le cateratte dei miei poveri occhi”.
Accelerò il passo e rientrò in casa. Ancora un po’ frastornata, vuoi per il quadro caduto con tutto quello scompiglio e per la fatica di riassettare il salone, vuoi per l’ombra di quell’uomo che per un attimo le era parso di conoscere, ritrovò la lucida serenità vedendo il figlio seduto allo scrittoio, con l’abito grigio totalmente immerso nelle sue letture, con il crocefisso argento al collo che teneva, ormai per abitudine, sempre stretto fra le lunghe dita diafane della mano destra. “ Un figlio, voluto da Dio e donato a Dio”, così pensava sempre del suo Mario, ormai da tutti amato e rispettato come Don Mario. L’orgoglio che sentiva ora per il suo ragazzo era pari alla vergogna che aveva provato quando ancora giovanissima era rimasta incinta di un tormentato uomo che era vissuto per anni, e, dopo la morte sigillato nel suo cuore com’era sigillato nella cornice del suo autoritratto caduto.
Mario si voltò, e i suoi occhi chiari incontrarono affettuosamente quelli della madre: “ Sei stata ancora da lei, vero?”, le chiese con tono di lieve rimprovero. Lei annuì. “ E’ ammirevole che tu voglia aiutarla nonostante ciò che hai sofferto per causa sua e di mio padre, ma non posso nasconderti la mia preoccupazione. Ogni volta che esci da quella casa sei triste, turbata e oggi più del solito…Che è successo? ”. Lidia gli si avvicinò e appoggiando la mano sulla sua spalla sussurrando gli rispose: “Ho visto tuo padre”. “ Vuoi dire il suo ritratto”, la corresse, un po’ scosso. Lei strinse le labbra; poi gli sorrise tanto dolcemente che il suo viso, per un attimo, sembrò libero dall’ingiallito velo di un precoce invecchiamento e soggiunse: “Ho visto che non hai ancora pranzato. Vieni, ti preparo qualcosa da mangiare”.
Lidia uscì dalla stanza, e il giovane prete rimase in silenzio, pallido e pensieroso, con il crocefisso stretto nella mano.

 

 
 
 




 

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