DAR FRUTTAROLO

FLASHBACK: IL TEATRINO DEI BURATTINI


 C’è un evento che arriva puntuale ogni anno nel mio paese natale e porta con sé l’estate. Sopraggiunge quando le giornate sono calde ma non soffocanti e va via portandosi dietro il caos della stagione, le giornate passate sulla spiaggia, profumate di olio al cocco e creme solari, le fresche fette di cocomero e le passeggiate serali. Questo evento è destinato ai bambini ma fa sorridere anche i più grandi, i genitori che accompagnano i loro figli, le coppie di ragazzi che, mano nella mano, passano da quelle parti lasciando un sorriso, adolescenti e anziani che si lasciano sfuggire una risata di fronte a quello spettacolo. È il teatrino dei burattini. Ogni anno sempre uguale, con i suoi colori familiari - giallo e marrone -, con la vecchina dello zucchero filato vestita di tutto punto; ogni anno con le stesse rappresentazioni con Pulcinella che fa da protagonista e tutti gli altri personaggi, bizzarri e bislacchi – in particolar modo i personaggi femminili con le loro voci vagamente transessuali – che  fanno da contorno offrendo agli spettatori un momento di pura e spassosa evasione.È proprio passando vicino al teatrino del burattini che quest’oggi un piacevole ricordo è affiorato nella mia mente. La memoria ha fatto un salto all’indietro, volando sulle estati dei tardi anni ottanta, quando le giornate non erano soffocanti come quelle di oggi, o almeno così sembrava a un bambino biondo di nemmeno dieci anni. Ricordo l’attesa spasmodica di quel giorno in cui, con la mano in quella di mia nonna, me ne andavo saltellando, nelle prime ore del pomeriggio, verso il teatrino dei burattini. Aspettavo quel giorno impazientemente tutto l’anno perché per me aveva il sapore di un rito, di qualcosa che contraddistingueva ogni estate, contribuendo però a renderla identica a quelle precedenti. Quel che però più mi dava adrenalina, e che forse aspettavo con maggiore apprensione (la mia preoccupazione era di ritornare a casa a mani vuote), era l’acquisto, al termine dello spettacolo, di un burattino, un personaggio tutto per me che potevo portare a casa per fargli vivere storie surreali, di quelle che io non avrei mai potuto avere. Il burattino, con le sue manine di cartone, era un regalo che mia nonna mi faceva ogni anno, quando con la sua enorme borsa nera a un braccio e il fazzoletto bianco in mano per asciugarsi il sudore dalla fronte, mi faceva vivere una giornata unica e irripetibile nel suo genere. Nel momento stesso però in cui il burattino (uno solo all’anno) finiva tra le mie mani, la mia attesa frenetica ricominciava e non vedevo l’ora che passasse un altro anno per acquistare un nuovo personaggio; in fondo i bambini sono un po’ così, scalciano per ottenere quello che vogliono e nel momento stesso in cui lo ottengono orientano immediatamente la loro insoddisfazione verso qualcos’altro.Da ragazzino piuttosto strano com’ero non potevo che scegliere personaggi altrettanto “particolari”; eccezion fatta per Pulcinella, i miei occhi cadevano inesorabilmente su personaggi fantasiosi come la Fatina (che avevo obbligato a recitar la parte dell’amante del bianco-vestito personaggio partenopeo), la Morte (sotto forma di scheletro dal vestito nero) e il Diavolo. Ricordo ancora il peso delle marionette della mia infanzia, con le loro teste di creta che puntualmente cadevano a terra scheggiandosi e perdendo frammenti di colore. Le mie dita a volte facevano fatica a tenere su le marionette ma di lì a breve la creta avrebbe lasciato il posto alla plastica, regalando alle mie mani sì minori sforzi ma dando al burattino minor fascino; in fondo quelle teste realizzate a mano erano diverse l’una dall’altra e questo contribuiva ad alimentare la sensazione di possedere qualcosa di davvero unico.Oggi quei burattini non li posseggo più, vittime dell’usura e della necessità di eliminare le cose inutili. Posseggo qualcosa di più prezioso però: il ricordo dei momenti vissuti, del piacere dolce e mai infantile provato di fronte a quel regalo.Grazie nonna…