LA LUCE DOPO IL BUIO

Post N° 559


La non separatezza Innanzi tutto vorrei  spiegare perché parlo di "non separatezza" invece che di "unità". La Unità è insita nella nostra essenza ed è stata solo offuscata da un modello di pensiero di separatezza, quindi, credo che se si smantella il concetto di separatezza ci avviciniamo sempre più all'unità che tanto auspichiamo, all'essenza della Divinità. Il famoso peccato originale che ci ha condotti fuori dal paradiso terrestre, potrebbe essere proprio il concetto di separatezza che abbiamo instillato nella nostra mente. La suddivisione in sé e per sé non ha affatto una connotazione negativa, però la separazione netta dalla quale scaturisce una contrapposizione forte può portare alla guerra di posizione che è madre di tutte le guerre, alla sofferenza, al non Amore, alla disperazione, alla insoddisfazione, alla lacerazione interiore insomma a tutte quelle sensazioni che ci fanno sentire separati, appunto. Se, per esempio, attribuiamo un aggettivo qualunque anche a noi stessi, verifichiamo che in fondo raramente può essere del tutto categorico, perché constatiamo che in circostanze diverse potremmo essere l'opposto dello stesso aggettivo. Questo vuol dire che, se separiamo tutto in maniera netta e contrapposta, corriamo il rischio di abituarci a staticizzare non solo il pensiero ma soprattutto la realtà, a catalogarla, a schematizzarla tanto da rimanere imprigionati in celle mentali e reali da noi stessi create.Convenendo che i nostri pensieri creano la nostra realtà, che nulla è propriamente oggettivo, che tutto è una percezione della nostra mente, vuol dire che la realtà siamo noi a crearla con i nostri pensieri, convinzioni, sensazioni, credenze ecc. Per questo credo che se riusciamo a vedere le cose in modo divino diventeremo divini. Riflettiamo su quanto la nostra vita è costellata di separazioni, qualsiasi aggettivo o sostantivo ha il suo opposto che contrapponiamo in modo forte, netto e preciso senza nessun collegamento tra gli estremi, anzi.Se, invece, cerchiamo di collegare gli opposti, armonizzarli in un unicum, saremo capaci di unire i buoni ai cattivi, i poveri ai ricchi, il paradiso all¹inferno, il male al bene, la vittima al carnefice e via dicendo.E' vero, può sembrare paradossale, però non è più paradossale questa realtà che ci costringiamo a vivere, questo mondo di fandonie, di amore distorto, di verità distorte, di dolore quasi connaturato nel nostro DNA, di disperazioni, di guerre millenarie, di un Dio che sembra essersi dimenticato di noi?Come domanda di partenza, mi sono sempre chiesta per quale motivo abbiamo  delle sensazioni così antitetiche rispetto a una vita che nasce e a una che muore. Quando una vita si manifesta in questa dimensione non sappiamo già che la stessa un giorno andrà via? Quello che vorrei mettere in evidenza é che noi abbiamo un brutto  concetto della morte, anzi ne abbiamo uno molto tragico, tetro e distorto. Questo modo di vedere e di sentire ci fa vivere tragicamente una faccenda che fa parte del circuito divino, ci fa perdere la bellezza anche della morte e ci fa vivere male anche la cosiddetta vita. E se la morte fosse la nascita in un'altra dimensione? Perché ci disperiamo tanto? Certo, è comprensibile che la morte di una persona cara lasci un vuoto indicibile, però perché non accompagnare serenamente un'anima verso il suo cammino divino?Perché opporsi fino alla disperazione?Perché siamo così ostinati a separare la razionalità dall'emotività? Dov'è la linea di demarcazione? E se fossimo razionalmente emotivi ed emotivamente razionali?  Perché Dio è fuori e lontano da noi? Perché ci siamo relegati in questa valle di lacrime? E se Dio risiede in ogni atomo, noi tutti siamo Dio, no? Credo che se impariamo a unire la separatezza, saremo capaci di assumerci la responsabilità della vita, del pensiero, della bellezza e della bruttezza che tutti noi abbiamo contribuito a creare. Potremo smetterla di additare qualsiasi elemento esterno per giustificare ciò che non va, saremo in grado di sostenere l¹onere delle nostre scelte, del nostro passato e del nostro futuro. Potremo far emergere la nostra divinità senza l'ausilio di religioni, potremo interagire con il creato con la purezza divina che risiede nel nostro essere e non nelle scritture, scritte da chi?Il Vero dovremo imparare a cercarlo dentro di noi per poter assaporare il divino, altrimenti rimarremo imprigionati in questa valle di lacrime alla continua ed estenuante ricerca di un colpevole esterno, senza neanche la soddisfazione di trovarlo, perché ci siamo illusi, non è fuori bensì dentro.Siamo noi gli artefici di ciò che scegliamo di percepire, la realtà non è una questione oggettiva bensì un¹interpetrazione della nostra mente.