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La Forma e le Sostanze

Post n°26 pubblicato il 19 Aprile 2005 da LuvelioJUSA
Foto di LuvelioJUSA


Nuovi assetti sorreggono la rappresentanza politica dopo il cataclisma Mani-pulite.

Un bipolarismo “apparente” da allora è stato citato come legittimo successore di quel Moloc cui la storica Democrazia cristiana sacrificava - coi tripli, quadri, penta partiti e parallele convergenti-, la sana alternanza rappresentativa.

Nella seconda Repubblica, d’altro canto, la polverizzazione degli storici riferimenti valoriali ha determinato una politica che tradisce il suo significato d’origine nel vocabolario della rappresentanza: chi/cosa dovrebbero rappresentare i partiti nella società orfana delle ideologie? Che funzioni restano ai partiti storici all’indomani dell’ultimo “breve” e “sterminato” XX secolo? Quali valori o idee riusciremo a conservare oltre quello spartiacque che per Francis Fukuyama si chiama “fine della Storia”?

Oggi sembra che la lineare rappresentazione dell’elettorato, sulla base di una “condivisione” di Valori, stia estinguendosi, determinando una politica sempre più incapace di rappresentare se stessa: costretta a commissionare il volto - immagine e contenuti dei propri programmi-, a terzi.

Attraverso questa “traslitterazione”, gli anni ’90 hanno favorito il ricorso alla chirurgia estetica, trapiantandola dalla sfera individuale alla sfera pubblica. Il  bisturi simboleggia la crisi d’identità della politica, allegorizzandola con la crisi intima (e estetica) dell’individuo novecentesco. Conseguenza pure di questo generazionale disagio –o “disturbo del comportamento”- è la confusione fra “jet set” e tribune politiche; fra “vetrina” e sede di partito. Fra cortina e contenuto.

Una decadenza da fa rimpiangere per assurdo l’era Tangentopoli, le cui aberrazioni –se non altro-, erano l’estrema ratio di dirigenti che non riuscivano a far quadrare il cerchio: l’ingerenza degli imprenditori nella politica – come degenerazione delle “rappresentanze d’interessi”-, trovava il suo “perché”, nell’idea –storicamente fallita ma originariamente nobile- di un’armonia sociale di memoria “corporativista”; in tal senso Tangentopoli potremmo considerarla come un corporativismo fascista, degenerato dall’egoismo utilitarista, e sterilizzato fino all’antisocialità.

Tra gli altri responsabili del declino del sistema rappresentativo, un ruolo decisivo gioca la crisi del “vivaio” nei partiti politici. La politica soffre lo stesso deficit “d’allevamento” che vede le squadre di calcio versare capitali all’estero per l’acquisto di personale specializzato. Rimpingua i propri scranni dal mercato del “real Tv”, sacrificando idee e valori non alla trasversalità (che sarebbe d’auspicio), ma ad una neutralità spesso  insipida e disorientante per gli elettori. E nella Babele della polis, un ruolo importante giocano i media in genere, la televisione in particolare: esasperando e rimescolando i simulacri dei rapporti politici cosicché non è possibile nessun distinguo fra “elettore” e “spettatore”, fra “politico” e “intrattenitore”.

Molti dichiarano impropriamente Silvio Berlusconi emblema di questa nuova èra, quando la sua esperienza è più quella di un deus ex machina, di qualcuno che ha agito sulla trama politica imponendo se stesso dall’alto. Da sinistra, il meccanismo si presenta all’inverso: la classe dirigente commissiona a “terzi” – “ha mandato Marrazzo” -, declassando al baratro la politica.

E Francesco Storace requiescat in pace. Colpevole di merito e… d’orbace.

 
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