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Giovani: apolitici metafisici

Post n°19 pubblicato il 12 Marzo 2005 da LuvelioJUSA

“Giovani e politica” è un binomio che assomiglia sempre più ad un ossimoro.

Senza includere quelle minoranze impegnate in ranghi costituiti, ad hoc, dai vari partiti, l’interesse della gioventù di massa verso le cose della polis, appare evidentemente trascurato.

Ad oggi, gli appassionati apparentemente spontanei di politica, nella realtà della gioventù per così dire “senza tessera”, sono rappresentati per la maggiore dai famigerati centri sociali che, invero, travalicano la suddetta ipotesi dell’ossimoro, per raggiungere un’antinomia delle più aberranti: cosa svolgono di “socialmente” utile i cosiddetti centri “sociali”, non è chiaro a nessuno.

La destra, di contro, ha i suoi “Giovani”, che, pur nella legalità delle proprie manifestazioni, non riescono a bucare mai la coltre della invisibilità, e il fascino sui media è determinato con grave sbilanciamento dai gruppi di sinistra, spesso gauchisti ma non meno sfruttati all’uopo dalla sinistra di palazzo. Si guardi solo alle ultime vicende di giovani sciacalli che, defraudando a viso coperto centri commerciali del nord Italia, non soltanto non  hanno subìto una requisitoria mediatica adeguata alla gravità del caso, ma sono diventati - per l’arcano potere di quella “scatola magica” che li presenta al mondo come tenebrosi paladini della Libertà -, esempi per migliaia di giovani. Il web affollato da esternazioni di plauso verso questi delinquenti sociali, ne è la testimonianza esplicita; teppisti quindi, impropriamente ridipinti anche a mezzo (cattiva)informazione, come eroi del sogno rivoluzionario, romanticamente dannati e demagogicamente terzomondisti.

Di qui, tutto l’aspetto negativo dell’avvicinamento dei giovani alla politica, per altro già episodica, che dimostra di esserci non senza una pericolosa fascinazione mistificatoria, e retta dall’avallo indegno del sistema mediatico.

Tutta l’iconografia di sinistra, del resto –dal Guevara al marchio Feltrinelli - è uno degli emblematici e contraddittori esempi di “cocacolonizzazione” di quei principi e di quelle strutture  note sotto “marchio registrato” No-Global.

Ma andando oltre questo esempio certo poco augurabile di “giovani per la politica”, non si può fare a meno di constatare l’assenza, quasi “omertosa”, di una “politica per i giovani”.

Le cause di una disaffezione tale devono essere addebitate ad alcuni vettori che hanno agìto sinergicamente dalla fine degli anni di piombo ad oggi, e che davvero rischiano di determinare nei giovani d’Italia, una sorta di quint’essenza dell’ “Uomo Qualunque”, assolutamente distante, incapace di evitare il “ torchio mosso da mani ignote che schiaccia i semplici cittadini”, secondo quanto scriveva Guglielmo Giannini.

Georg Simmel invece aveva utilizzato, nel suo “Filosofia del Denaro”, l’aggettivo blasé per dipingere l’individuo novecentesco che, anestetizzato in ogni sua facoltà patetica dal vortice dell’iper-consumismo, perdeva capacità di appassionarsi per ogni cosa non rientrasse in quel che Marx chiamava il “feticismo delle merci”.

Se in parte, la diagnosi simmeliana del blasé è omologabile alla condizione dei giovani nel rapporto con la politica, è pur vero che il  problema non si esaurisce affatto nella retorica marxista, come del resto non può nella tesi qualunquista.

Gravi responsabilità pesano sul capo di quanti hanno governato il paese dalla fine degli anni ‘70 ad oggi, e, soprattutto, nei pressi di quei ministeri dell’Istruzione Pubblica che mai hanno saputo incidere nel fornire un’adeguata sensibilizzazione degli studenti  verso la politica e la cronaca socio-culturale; di quanti dalla stanza dei bottoni della cultura hanno preferito, per decenni,  “dogmatizzare” una “certa” visione politica, attraverso la mistificazione dei libri di testo, evitando con vera “omertà” lo studio sistematico e continuativo della politica come fatto e “coagulo” sociale. Il “quotidiano in classe”,  come da più parti giustamente suggerito è ad oggi una realtà ancora lontana.

Qualora non volessimo davvero avallare la ipotesi papiniana di “scuola” come “inutile casamento”, sarebbe doveroso investire nella crescita di un’istituzione, qual è la scuola appunto, in perenne declino, oggi tentata in una riforma troppo attenta alla “professionalizzazione”, ma imperdonabilmente restia a sottrarre i “suoi” giovani ad altri ufficiosi istituti (centri sociali, gruppo dei “pari”, media di massa), i quali s’arrogano indisturbati il ruolo di forgiare le gioventù, magari non a propria immagine e somiglianza, certamente a proprio uso e consumo.

L J

 

 
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