AVE CAESAR MORITURI

Libertà economica, ITALIA 60° posto.


Secondo una classifica dell "Index of Economic Freedom" che misura la libertà economica di un Paese, l'Italia risulta essere in modo sconcertante SESSANTESIMA (60°). Un dato ed un risultato che parla molto chiaro sulla situazone precaria dell'economia italiana che ormai è critica da oltre 25 anni dopo l'ultimo boom economico (artificiale) determinato da un INCOSCIENTE aumento della SPESA PUBBLICA ed un conseguente aumento del Debito Pubblico.Ad elaborare questa classifica è stato l'Heritage Foundation di Washington DC e il Wall Street Journal con la collaborazione di alcuni Istituti europei sulla ricerca e la statistica dell'economia europea tra cui il nostro "ISTITUTO Bruno Leoni"I primi dieci posti sono occupati rispettivamente da: Hong Kong, Singapore, Australia, U.S.A., Nuova Zelanda, Regno Unito, Irlanda Lussemburgo, Svizzera e Canada, tutti con una media percentuale attorno all'85%.Per Alberto Mingardi, Direttore Generale dell'Istituto Bruno Leoni, "la cosa grave è che non c'è nulla da segnalare: l'Index of Economic Freedom ci vede sostanzialmente 'galleggiare' da anni, senza capacità di trasformare le necessarie riforme da slogan elettorale in politica di governo. La posizione dell'Italia continua a scivolare, in classifica - al di là degli aggiustamenti metodologici - sostanzialmente perché il resto del mondo invece non resta al palo, e sa migliorare il proprio grado di libertà economica e sa dunque mettersi in condizione di far crescere la propria prosperità". L'Indice registra infatti un "generale miglioramento delle condizioni della libertà economica, nel mondo. Dimostrazione del fatto che la ricetta della crescita e della libertà non è poi così difficile. Ma a noi continua a mancare un cuoco", conclude Mingardi.Infatti nel 2005 l'Italia era al 42° posto ed ultimamente. dopo le elezioni politiche del 2006, è scivolata in modo preoccupante al 60° è posto con una paercentuale sulla LIBERTA' ECONOMICA pari al 63,4%. Secondo il rapporto dell'HERITAGE FOUNDATION in Italia vi è una buona libertà d'impresa, di scambio e di investimento, anche se per aprire una attività imprenditoriale servono almeno 13-15 giorni, che aumenteranno con gli obblighi di carattere fiscale imposti con la nuova Finanziaria di Prodi. Il livello di dazi e tariffe doganali è basso, sebbene l'inefficienza della burocrazia del Paese imponga talune barriere di altra natura, che contribuiscono a scoraggiare taluni investitori stranieri. Come Stato Membro dell'Unione Europea, l'Italia attua una politica monetaria uniforme che, a dispetto delle distorsioni introdotte dalle autorità nel settore agricolo, produce un'inflazione relativamente ridotta.
Il problema serio in Italia è la troppa libertà data allo Stato di intervenire nell'attività imprenditoriali, oltre naturalmente a distorsioni nei diritti di proprietà e troppa corruzione. Come avviene per numerose social-democrazie europee, la spesa pubblica e le aliquote fiscali raggiungono livelli straordinariamente elevati al fine di finanziare un pervasivo stato assistenziale. Se raffrontata a quella di altri Paesi, la corruzione non è particolarmente grave, ma è elevata per un'economia avanzata. Il compito di garantire il rispetto delle normative pubbliche e delle sentenze giudiziarie viene ulteriormente ostacolato da un'amministrazione pubblica inefficiente.Un altro dato preoccupante è che mentre Paesi come l'Uganda, Armenia, Taiwan, Lituania e lo stesso Cile (undicesimo) ci precedono nella classifica danno vita a fasi di LIBERALIZZAZIONE ECONOMICA, l'Italia da anni è statica e troppo ferma a porre in atto una fase di "liberalizzazione economica".La colpa, in gran parte, è sicuramente da attribuire sia ai SINDACATI che ai governi passati di CENTRO-SINISTRA capeggiati dalla Democrazia Cristiana che per decenni hanno dato troppo potere a queste forme di "lobby sindacali" le quali invitate a dire la loro su eventuali riforme e/o liberalizzazioni economiche hanno sempre posto un veto, sempre e solo a difesa della classe operai che seppur importante nella vita industriale del paese andavano a "votare" sempre due volte rispetto agli altri cittadini italiani. Inoltre la politica economica  concentrata  solo a favore delle grandi aziende industriali (vedi FIAT) e a discapito delle medio-piccole imprese ha fatto il resto.