Creato da legrillonnoirdestael il 01/02/2014

IL GRILLO NERO

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Messaggi del 01/06/2019

IL MANIERISMO: TRA INTENZIONI IMITATIVE E SVILUPPO DEL RINASCIMENTO

 

 

La varietà di tante bizzarrie, la vaghezza de' colori, la università de' casamenti,

e la lontananza e varietà ne' paesi,

poi:

"una invenzione copiosa di tutte le cose".

-Giorgio Vasari-

 


 

Giorgio Vasari, La Fucina di Vulcano (1564 circa).

 

 

ll termine Manierismo, fa riferimento al movimento, soprattutto pittorico, nato nella seconda metà del Cinquecento, e non è altro che una derivazione dal sostantivo "maniera".

Il termine, coniato dal gesuita e storico dell’arte Luigi Lanzi, si può intendere sia come stile riferito ad un periodo storico, sia ad una collocazione geografica (ad esempio fiamminga) o come un preciso stile di un artista.

Generalmente, però, la parola indica una esasperazione dei canoni espressivi dei grandi maestri e gli artisti appartenenti a quella corrente vengono ricordati come coloro che s'ispiravano esclusivamente alla tecnica - ed appunto alla "maniera stilistica" - dei loro predecessori, appartenenti all'ultimo cinquantennio del secolo antecedente, abdicando ad una qualsiasi ricerca di se stessi.

Il Vasari, dal canto suo, riprendendo l'ideale raffaellesco, ed in pieno accordo con la cultura neo-platonica fiorentina, identificò la "maniera" con la capacità di "ritrarre le cose più belle e di quel più bello o mani o teste o corpi o gambe aggiungerle insieme e fare una figura di tutte quelle bellezze che più si poteva"; congiungendola totalmente, quindi, al concetto classico dell'arte.

"Manierismo" divenne, così, anche sinonimo di una vuota e sterile imitazione tout court, ed i manieristi vennero considerati come coloro che si dedicavano ad espressioni pittoriche già intraprese, già ricercate ed approfondite da altri, senza imporre un proprio linguaggio individuale ed ancora inaudito, pertanto non particolarmente rilevante.

 

Ci ricorda qualcosa?

A me sì. Tante.

 

Se il manierismo fosse stato, però, solo questo, lo si potrebbe pensare senza rimorsi come una corrente stilistica senza peso, accanto a tutto il già visto a cui siamo abituati, tanto che si parli di spazzatura di costume quanto di talenti.

Tanti simili, o comunque troppo e facilmente, riconducibili gli uni agli altri.

Così, in realtà non era; ma in questo modo venne visto e considerato, durante tutto il Neoclassismo, tanto che anche in seguito - nell'Ottocento - il manierismo rappresentò ancora una sorta di onta nella storia dell'arte ed un semplice ponte, da osservare con sdegno, fra il Rinascimento ed il Barocco.

Le cose, però, non stanno proprio in questo modo e come talvolta accade, divenne più innovativa del voluto ed una sorta di riforma del Rinascimento stesso.

E' senz'altro vero che il vertice raggiunto da Raffaello e da Michelangelo gli artisti successivi si trovarono in difficoltà.

Diventava, in effetti, piuttosto difficile imitare il loro grado di approssimazione alla perfezione e d'altro canto non erano in grado di raggiungerla autonomamente.

Di conseguenza è normale che questa costante imitazione di stili artistici, considerata norma e dovere di ogni scultore o pittore, non può che averli penalizzati, mostrando senza pietà i loro limiti artistici rispetto ai giganti precedenti.

Ma va considerato anche qualcos'altro...

Il Pontormo rappresenta figure sospese in uno spazio senza prospettiva, con colori chiari e innaturali, Rosso Fiorentino e Parmigianino deformano i corpi e i volti.

La luce è invece protagonista della pittura chiara e luminosa del Veronese e di quella del Tintoretto, che rappresenta scene drammatiche con colori caldi.

 

L'allegoria dell'Amore - quattro dipinti -

di Paolo Veronese, del 1570 circa,

National Gallery di Londra.

Allegoria I: Infedeltà

 

Allegoria II: Disprezzo

 

Allegoria III: Rispetto

 

 

Allegoria IV: Unione felice.

Jacopo Robusti detto il Tintoretto

Trafugamento del corpo di san Marco, 1562 circa,

Gallerie dell'Accademia.

 

TintorettoLa Crocifissione, 1565,

Scuola Grande di San Rocco, Venezia.

 

Alcuni artisti iniziano a rielaborare lo stile dei maestri.

In queste opere si abbandona lo spazio prospettico e la proporzionalità delle figure tipiche del Rinascimento; nei colori non si cerca più la verosimiglianza con la natura ma l’effetto drammatico e nella seconda metà del ‘500, il Manierismo va verso una ricerca dell’insolito e del fantastico che sfocia spesso in curiose bizzarrie. 

Proprio il loro limite, infatti, che li ha spinti ad un'esagerazione dei modelli presi in considerazione, anche nell'aggiungere sovrabbondanza di personaggi nelle scene, e che venne considerato anche l'onta che li caratterizzava in senso dispregiativo, portò ad alcuni di loro la grazia di essere toccati e baciati da un'innovazione involontaria.

Pensiamo al Pontorno, al Parmigianino e al Rosso Fiorentino, ma non solo.

Guardando le loro opere  si rimane confusi, ma è una confusione che sorprende e non disturba: impariamo che stranezza, estremizzazioni del colore, accostamenti arditi e forme irregolari diventano valori e stregano, affascinando.

Lo spazio diventa strano, le figure si allungano e si contorcono come impegnate in uno sforzo misterioso, i colori sono brillanti e violenti, i volti assumono espressioni di non facile comprensione.

In sintesi: l'armonia di linearità regolare e limpida, fatta di forme razionali e chiare all'interno di una geometria di luce, propria dell’arte rinascimentale, nel periodo manierista venne meno.

 

Jacopo Carrucci detto Pontorno, Deposizione di Cristo (1526-28).

 

Parmigianino, La Madonna col collo lungo - 1534-1540 -

Galleria degli Uffizi, Firenze.

 

 

Giovanni Battista di Jacopo dé Rossi, detto Rosso Fiorentino,

Pietà, Parigi, Museo del Louvre (1530-40).

 

 

Un altro pittore manierista, conosciuto soprattutto per le sue "Teste Composte", fu l'Arcimboldo. Queste sue opere sono tanto grottesche quanto eccellenti rappresentanti di una bizzaria davero geniale.

I ritratti burleschi di Arcimboldo sono, infatti, frutto

- per restare nel tema anche con le parole -

di più combinazioni, date da elementi ortofrutticoli piuttosto che da oggetti inanimati o animali, in una sorta di trompe-l'œil di nature morte e vive, collegate metaforicamente al soggetto rappresentato.

E le parole del critico letterario e saggista Roland Barthes dicono già tutto:

«Le teste di Arcimboldo sono mostruose perché rimandano tutte, quale che sia la grazia del soggetto allegorico, [...] ad un malessere sostanziale: il brulichio. La mischia delle cose viventi [...] disposte in un disordine stipato (prima di giungere alla intelligibilità della figura finale) evoca una vita tutta larvale, un pullulìo di esseri vegetativi, vermi, feti, visceri al limite della vita, non ancora nati eppure già putrescenti».

Giuseppe Arcimboldo, L'imperatore Rodolfo II in veste di Vertumno (1591), Skoklosters slott di Stoccolma

 

Se, inizialmente, quindi, il Manierismo venne giudicato poco originale, successivamente gli storici lo riabilitarono considerandolo l'ultimo sviluppo del Rinascimento; ma ai nostri occhi è stata una vera e propria rivincita sugli intoccabili mostri sacri.

Anzi, parafrasando l'opera di Giulio Romano,

una inaspettata sconfitta dei Giganti.

Giulio Romano, Gigantomachia -1532-1535-

Palazzo Te, Mantova.

 

«Non si pensi alcuno di vedere mai opera di pennello più orribile e spaventosa, né più naturale di questa. E chi entra in quella stanza, non può non temere che ogni cosa non gli rovini addosso.» 

- Giorgio Vasari -

 

 


 
 
 
 
 

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