IL MURO BIANCO

C'era una volta Ligabue..


Ti ho ascoltato la prima volta in auto. Su una Uno bianca diesel, un glorioso catorcio.Faceva un freddo boia ("un freddo ingredibbile", per dirla alla Alex Drastico), quel freddo tagliente tipico del Friuli. Che ben si fondeva con il freddo interiore che ci portavamo dentro tutti, durante quei 12 mesi di naja. Lontani da casa, in mezzo a mille dialetti, a mille nonsensi, mille seghe mentali e reali, mille adunate, mille cose assurde da fare per dare un senso ad una cosa che di senso non ne aveva. L'auto era di un mio commilitone di Modena, con cui ho condiviso tutto il mese passato nella Compagnia Atleti, in quel di Aviano. Su quell'autoradio scassata girava solo il tuo primo album; all'epoca manco sapevo esistessi. Ti ho amato da subito. Tra il Bar Mario e una piccola stella senza cielo che scoppiava in volo, in te trovavo quel bisogno di rock da provincia. Erano ancora lontani gli anni della rabbia, in cui il rock un po' più duro avrebbe risuonato nei miei timpani. Ma mi davi ciò di cui avevo bisogno: angeli della nebbia, lepri, fossi, quella provincia da cui ero lontano e che tanto mi mancava. E una musica immediata, forse sempliciotta ma senza troppi fronzoli e arrangiamenti per buttare fumo negli occhi e nelle orecchie. Ti conobbi così. Tornato a casa, mi portai dal Friuli il bisogno di QUEL tipo di musica, di un'alternativa al rock di Vasco. Complice un mio caro amico, fan sfegatato del Liga, mi iscrissi pure al Fans Club. Con fanzine annessa, news, info, foto, tricchetracche. E l'immancabile raduno annuale. Epico fu quello a Bologna: mai visto tanto fango in tutta la mia vita. Non a caso, la videocassetta che documentò l'evento, fu intitolata "Tra fango e realtà". Poi ci fu il raduno (il più brutto, a mio avviso) che finì per essere un'unico evento pubblicitario per il lancio del film "Radiofreccia". Una smarronata galattica. Mi sono sentito parte di un'orgia, il cui unico scopo era lo showbiz. E io (noi), ne facevamo parte. Pagante, cosciente, integrante. Ma passarono gli anni, passarono i cd. Tu c'eri. Ho amato tutto, fino a "Buon compleanno Elvis". Ho amato la grinta di "Lambrusco, coltelli, rose & popcorn"; ho amato il serpeggiante dolore di "Sopravvissuti e sopravviventi"; non m'è dispiaciuta la commerciale ma allegra divagazione di "A che ora è la fine del mondo?". Poi... Poi, come in ogni storia d'amore dettata più dal bisogno che dalla passione, qualcosa è cambiato. Cambiavo io, erano arrivati gli anni della rabbia. Anni strani in cui, a 25 anni suonati, mi trovavo a vivere i 18. Anni sfasati in cui volevo vivere cose che, molto prima, mi ero negato per motivi personali. Anni di Nirvana, di Metallica, di Foo Fighters, di Bush, di Smashing Pumpskin, di canne, di ore passate nelle discoteche afro. Anni in cui il mio bisogno di musica "ruggente" aumentava di giorno in giorno. E tu? Come in ogni storia d'amore, ognuno ha le sue colpe. Io cercavo sempre più rock da un pusher che ormai smetteva lentamente di darmene, per darmi altro. Di cui non avevo bisogno. Migliorava il tuo modo di scrivere, pur con alti e bassi, ma le tue sonorità diventavano banali. Un conto è la semplicità, un altro è la sciatteria. Mi (ci) spacciavi pop-reggiano per rock, ti scioglievi dai ClanDestino e da quel loro sound rabbioso e casereccio che mi aveva conquistato, per circondarti di musicisti appena sopra la sufficienza (quando capirai che non basta dare una chitarra a Poggi Pollini, per definirlo chitarrista? Quando capirai che il tuo batterista non sfigura solo alla festa di Radio Onda D'urto, suonando i bonghetti?). Sei cambiato tu mentre cambiavo io. O viceversa. O entrambe le cose. Nessuna colpa, nessun rimpianto. Mi sono visto in questi giorni il tuo ultimo dvd, "Primo tempo", con tutti i videoclip. Una nostalgia "ingredibbile". Di come eravate tu e la tua musica. E forse anche di com'ero io. Quel Liga mi manca, di questo faccio tranquillamente a meno.