MILIONI DI EURO

Referendum: fuori dall’election day costo 400 milioni


Amministrative per puntare al fallimento del quorum costerà appunto agli italiani, stando ai calcoli di lavoce. info, circa 200 milioni di euro in più di spese dirette («quanto fin qui impegnato per la social card») più altri 200 di oneri indiretti. Totale: 400 milioni. Ottanta in più di quei 322 dati nel 2008 dall’Italia, il più tirchio dei Paesi occidentali, in aiuti al Terzo Mondo.Obiettivo, neppure tanto segreto: stufare gli elettori e far saltare il quorum. Così da conservare la legge attuale, definita dal suo stesso ideatore «una porcata». Peccato. Peccato perché la scelta del governo di rompere finalmente con l’andazzo che per decenni aveva sparpagliato le elezioni su una infinità di date diverse era stata apprezzata, sull’uno e l’altro fronte degli schieramenti, da tutti coloro che hanno chiari due punti. Il primo: lo Stato, specialmente in questi tempi di vacche magre, deve risparmiare più soldi possibile. Il secondo: lo stillicidio di continue scadenze elettorali ha troppo spesso frenato (a volte fino alla paralisi) chi stava al governo impedendogli di muoversi senza l’ossessione di essere punito al primo esame, volta per volta cavalcato dai vincitori di turno.Il referendum sulla legge elettorale non si svolgerà insieme a amministrative e europee come chiedevano a gran voce dal comitato referendario. Il Pdl sonderà l’opposizione sulle date del 14 o 21 giugno. È questo l’accordo raggiunto a palazzo Grazioli (presente Silvio Berlusconi) tra i vertici del Pdl e della Lega. Ma il presidente della Camera Gianfranco Fini osserva: “Sarebbe un peccato se per la paura di pochi il governo rinunciasse a tenere il referendum il 7 giugno spendendo centinaia di milioni che potrebbero essere risparmiati”. Lasciando la riunione, i capigruppo Pdl di Senato e Camera, Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto, hanno spiegato che la maggioranza “chiederà una consultazione alle opposizioni per verificare se l’ipotesi migliore per svolgere il referendum sia il 14 o il 21 di giugno”. Per Gasparri “se si vuole risparmiare, il 21 è l’ipotesi più percorribile”, facendo però attenzione alla finestra referendaria, che è possibile solo fino al 15 giugno, “e quindi bisognerà valutare i provvedimenti legislativi”, e anche per questo verrà consultata l’opposizione. “Altrimenti si potrà votare il 14 - ha aggiunto il capogruppo del Pdl al Senato -, ma a quel punto ci sarebbero sprechi e tre domeniche elettorali consecutive”. Quindi Gasparri ha confermato “l’intesa nella maggioranza, che non era mai mancata, dai temi del federalismo fiscale a quelli della sicurezza. Tutte tematiche che vedranno Camera e Senato molto impegnati”.Insomma l’ha spuntata il Carroccio, anche se Calderoli a fine vertice ha cercato di minimizzare: “Non è una vittoria della Lega. Rispettiamo la Costituzione. Andremo nel rispetto della Costituzione ad individuare una data attraverso un provvedimento legislativo che se condiviso vedrà il 21 come giornata per il referendum. Diversamente si farà il 14″, ha aggiunto Calderoli, spiegando che nel vertice di maggioranza la proposta emersa è che il referendum si tenga il 21 giugno, “ma per far questo c’è la necessità di un provvedimento legislativo, e quindi il ministro dell’Interno Maroni è stato incaricato di avviare una consultazione di tutte le forze di maggioranza e opposizione, perché in materia elettorale ci vuole un largo consenso”.Dal Pd Massimo D’Alema giudica “assurdo”sprecare soldi per far  votare al referendum in una data che non sia l’election day e il segretario del Pd, Dario Franceschini ritiene che “Berlusconi si piega ai ricatti di Bossi. Gli italiani devono sapere che il ricatto di Bossi comporterà un costo di centinaia di milioni di euro a carico dello Stato che saranno tolti all’Abruzzo e alla crisi”.Anche l’Idv è critica della decisione del governo e per il capogruppo alla Camera, Massimo Donadi, “l’esecutivo cede all’ennesimo  ricatto della Lega e brucia 400 milioni di euro che potevano servire per la ricostruzione in Abruzzo. Non far votare il 6 e 7 giugno con le europee non solo è un grave errore, è soprattutto un ingiustificato  spreco di denaro pubblico”.Duro anche il commento dei referendari: “Non esiste una sola ragione al mondo che giustifichi lo sperpero di 300 o 400 milioni di euro”, dicono Giovanni Guzzetta, presidente del Comitato promotore dei Referendum ed estensore dei quesiti referendari, ed il coordinatore Mario Segni. Che poi concludono: “Aspettiamo comunque il provvedimento del Consiglio dei Ministri e del Presidente della Repubblica, che sono gli organi costituzionalmente deputati alla decisione. Quale che sia la data finale, noi siamo pronti”.