servo arbitrio

PENSIERI NON PENSABILI, FILOSOFIA


MA QUALE CULTURA Buttare là a ogni passo <scambio di culture> è il solito parlare a vuoto. Si scambia quel che è scambiabile in condizioni di reciproca scambiabilità; non si scambiano tra loro due muraglie, non si scambia con un muro quel che è adatto allo scambio. Per <cultura> i parlanti a vuoto, ottimisti, facili, intendono un pò di tutto: kultur (alla tedesca: civiltà), conoscenze acquisite, istruzione, costumi-mores, abitudini mentali, lingue e linguaggi. (Lascio da parte le attuali, ripugnanti degenerazioni semantiche del termine: <cultura del bagno>, <dello sballo>; un giornale parlava di <subcultura dell'orinatoio> - grazie per il sub). Ridotti come sono <cultura> e <culturale>, il suo figlio obeso, meno si adoperano, più c'è lingua pulita. Tuttavia adesso ne farò spreco. Così com'è modernamente, strato su strato, la cultura italiana patrimoniale è tra le meno scambiabili. Cattura poco o niente. Non dà voglia a un primitivo di impadronirsene. Non crea il fenomeno noto come <acculturazione>. Cinquanta e più anni di turismo di massa non sono serviti a portare in giro, di cultura italiana, niente. Hanno contribuito a degradare il patrimonio, questo sì. Il masochismo linguistico che ci ha resi proni alla flagellazione delle parole e delle espressioni inglesi non ha soltanto un risultato di imbruttimento dei suoni: rende sempre meno scambiabile la moneta culturale italiana. Un prodotto avariato e sporco è rinviato al mittente. Ma anche la lingua italiana ora morta, e di cui resta traccia soltanto nei documenti e in un blocco di superba letteratura, è tenuta in disparte, perchè preziosa, incomprensibile, barocca e superflua. In definitiva, questa è una cultura che non culturizza, una civiltà che non civilizza. E se non viene accolta (o pochissimo) nei paesi affini (il solito generico Occidente) è addirittura impensabile che arrivi a far breccia, a sciogliere dei nodi, a stabilire amicizie fondate sull'ammirazione e l'imitazione, in quelli dell'Oriente e del cosiddetto Sud del mondo, da cui arrivano qui ondate implacabili e allarmanti di immigrazione culturalmente atrofiche e per niente desiderose di andare a sostare a Ravenna sulla tomba di Dante o rattristate se le torri più celebrate del nostro medioevo periclitano. D'altro canto, dove almeno cinquanta milioni di italiani d'Italia non sono nè catturati nè sensibili in profondità alla cultura latino-italiana, è pensabile che possano penetrare, per un vero scambio, lingue come l'albanese o l'urdù, lo swahili o l'arabo magrebino, o che abbiano in tasca moneta culturale dei gruppi di sradicati, di apatridi, di scremati dalle malavite e dalle disperazioni urbane di continenti senza più anima? Se non c'è nulla da dare o da prendere sul piano spirituale ed etico, lo stabilirsi di comunità isolate e malviste, con cui il rapporto è di diffidenza, di puro traffico servile o di accattonaggio o criminale, con rari barlumi di umanità effettiva e nessuno di convergenza reale su fini superiori (ignoti agli uni e agli altri) è sciaguratamente inevitabile ed è quanto sappiamo e vediamo.