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VITA, VIVERE, ESPERIENZE, COSTUME, SIOCIETA' , FILOSOFIA,

Post n°152 pubblicato il 19 Aprile 2010 da servoarbitrio

 

Ognuno è il risultato di esperienze positive e negative

 E' proprio il caso di dire che la scienza non smette mai di sbalordire. Con cadenze sempre più accelerate, arrivano notizie spesso entusiasmanti di scoperte, che squarciano veli misteriosi e fanno quasi toccare con mano incredibili verità. Tra le tante, l'esplorazione del cervello umano è una sfida appassionante per capire i meccanismi predisposti al governo dell'intero organismo e per porre rimedio ai molti malesseri, causati dalle malformazioni di questa “centralina di comando”, la cui struttura naturale continua a meravigliare non solo gli studiosi, ma anche ognuno di noi, se riflettiamo sulle enormi capacità del cervello e su quanto riusciamo a elaborare anche solo attivandolo pigramente. Siamo, quindi, contenti quando gli scienziati riescono a spiegare le cifre un tempo segrete, che sovrintendono a tanti, anche consueti, comportamenti e scelte. Allo stesso modo, siamo rimasti stupefatti le poche volte, in cui ci è capitato di osservare sul tavolo anatomico questa relativamente piccola massa di tessuto nervoso, pensando come l'intelletto, le sensazioni, il moto e la regolazione della vita vegetativa dipendano dalla sua soddisfacente resa. Semmai, il rischio, cui possono andare incontro gli scienziati, (e tutti noi al loro seguito), è di inorgoglirsi tanto, da immaginare che, prima o poi, tutto sarà chiarito e, su quel tavolo, almeno gli artefici del domani, potranno costruire un cervello e, insieme agli altri organi, inventare l'uomo. Il rischio, appunto, è d'immaginare la scienza come natura alternativa, in grado di sostituirsi o sovrapporsi a piacimento. Senza la terrificante e per nulla appagante idea di un tale possibile traguardo, ma con la sola certa convinzione che le scoperte ben utilizzate servano a dare migliore qualità alla vita, abbiamo appreso gli affascinanti risultati di uno studio di un gruppo di ricercatori americani dell'Università dell'Oregon, guidati dal prof. Michael Anderson. Questi scienziati sono convinti di aver compreso i meccanismi che governano l'autocontrollo del comportamento e dei pensieri. Secondo costoro, il cervello sarebbe in grado di rimuovere i ricordi indesiderati, avendo essi individuato la zona dove è possibile avvenga questo “repulisti”. L'eventualità di sopprimere le memorie negative contribuirebbe non poco a curare certe malattie, a correggere disturbi emozionali o esperienze traumatiche. Inoltre, potrebbe rappresentare uno strumento per capire meglio le basi biologiche delle tossicodipendenze. Oltre tali applicazioni pratiche, taluni possono pensare che la scoperta servirebbe per eliminare semplici sofferenze dell'uomo, che, invecchiando, le avverte come un peso sempre più grave da sopportare. Così, si potrebbero eliminare le assenze che popolano la mente, facendo male ogni volta che evochiamo quanti ci hanno accompagnato in tratti significativi dell'esistenza. Potremmo inventare l'uomo senza memorie negative, con il passato privato dei fantasmi e delle dolenti nostalgie. Non crediamo proprio che quest'ultima sia una prospettiva desiderabile e che la memoria possa essere smembrata e utilizzata solo quando sia piacevole. Che si possa cancellare l'esperienza dei tormenti, senza determinare un atroce inganno e rendere l'uomo impreparato ad affrontare quelli che in continuità si presentano. D'altronde, non è vero che i rimpianti abbiano solo valenza negativa, poiché fanno parte del risultato che ognuno di noi è, a mano a mano che avanza negli anni. Non è vero che le ombre delle persone care – se evocate – creino soltanto sofferenza. Spesso fanno compagnia e danno più aiuto di tante inutili presenze. Quando vogliamo, chiudendo gli occhi, le vediamo riemergere in carne e ossa, a rianimare le scene consuete, della casa, del luogo di lavoro e degli angoli dell'amicizia. Le ombre tornano a dare aiuto e non a spaventarci. Tornano perché non le abbiamo mai cancellate, per non eliminare nessuna parte di noi, per starci vicino nell'ultimo pezzo di strada, prima del commiato. Se, poi, abbiamo una fede e preferiamo credere che, dopo l'accidentato percorso dell'esistenza, sbocceremo in una diversa vita, allora a quelle ombre possiamo, sin da ora, tendere il testimone della nostra presenza nel mondo, perché lo afferrino quando arriverà il nostro turno.

 
 
 

CRONACA DA VENEZIA: SUICIDI MOLTO SOSPETTI, IMPRENDITORI, CRISI ECONOMICA, CRISI OCCUPAZIONALE

Post n°151 pubblicato il 10 Aprile 2010 da servoarbitrio

Venezia. Misterioso suicidio, 42enne
si impicca nella sede della sua aziendaEra uno dei soci della cooperativa "Linea Verde" di Santa Maria di Sala. Nessuna crisi economica, si cerca nel computer

 

VENEZIA (10 aprile) - Un gesto disperato quanto inatteso. Da tutti. Antonio Pavan, 42 anni, giovedì sera ha deciso di farla finita: si è stretto un cappio intorno al collo e si è tolto la vita tra le mura della sua cooperativa, la "Linea verde" di Santa Maria di Sala (Venezia). Antonio era uno dei 65 soci-lavoratori, ricopriva un incarico da dirigente. A trovarlo e a dare l'allarme sono stati gli stessi familiari che, non vedendolo arrivare, l'avevano raggiunto sul posto di lavoro.

La morte di Pavan è un vero mistero: gli investigatori per il momento non hanno ancora trovato un movente in grado di giustificare l'estremo gesto. Il magistrato di turno ha disposto il sequestro della salma, in attesa di conoscere i risultati dell'esame autoptico. Le indagini dei carabinieri di Mirano si stanno muovendo a 360 gradi, anche se sul fatto che si tratti di suicidio sembrano esserci pochi dubbi. Accantonata in partenza l'ipotesi delle ragioni economiche o comunque legate al lavoro: la "Linea verde", cooperativa attiva nel campo dei servizi, ha un fatturato invidiabile e un bilancio stabile. Pavan, inoltre, non avrebbe lasciato messaggi alla famiglia e alla compagna, Roberta Tapetto, che conviveva con lui a Mira in via Valmarana 4.

I carabinieri, in queste ore, stanno controllando i files del computer dell'imprenditore 42enne, nella speranza di trovare nuovi chiavi di lettura del caso. Altra ipotesi, chiaramente tutta da verificare, quella relativa a eventuali difficoltà sentimentali. Per il momento, però, gli investigatori continuano a brancolare nel buio perché Pavan sembrava essere un soggetto decisamente fuori dagli stereotipi dell'aspirante suicida. Vita tranquilla, buon lavoro, famiglia solida alle spalle, tantissimi interessi: dalle escursione allo sci, dal paracadutismo alle maratone, Pavan era uno sportivo a tutto tondo. Secondo gli amici di sempre, era una persona piuttosto riservata, ma nel contempo estremamente attiva. Persino ieri sarebbe dovuto partire per un'escursione sul monte Rosa.

Per gli inquirenti, il giallo del movente mancante sarà il rompicapo dei prossimi giorni. Dall'azienda, i colleghi esprimono in una nota il dolore per la famiglia e per un amico scomparso, ma smentiscono un qualsiasi legame tra la morte di Antonio e gli affari della cooperativa. «Il rispetto che abbiamo sempre avuto per Antonio, e consci della sua proverbiale riservatezza, ci impongono di non fare alcun riferimento o commento rispetto alla sua vita privata. Antonio è stato per tutti noi un carissimo amico prima di essere un valido e prezioso collaboratore. Col suo lavoro è riuscito, nel gruppo dei soci, a far progredire la nostra azienda, attiva da oltre un ventennio. Escludiamo quindi che vi possano essere nel suo gesto motivazioni legate a difficoltà di ordine lavorativo, o, peggio ancora, ad una eventuale situazione di crisi dell'azienda, come qualcuno molto semplicisticamente potrebbe ipotizzare. Piangiamo la sua scomparsa e, assieme a tutti quanti lo conoscevano, amici e parenti, ci interroghiamo attoniti e sconvolti sul significato del suo gesto, ancor più oscuro per noi in quanto avevamo, con lui, fino a poco prima programmato il futuro».

 
 
 

VITA

Post n°150 pubblicato il 15 Marzo 2010 da servoarbitrio

IL tema del doppio

Con la cultura romantica l'esperienza della scissione interiore assume uno speciale risalto, dando luogo peraltro a esiti assai diversi, che vanno dal catastrofico collasso dell'Io schiacciato sotto il peso di contraddizioni che egli non riesce a reggere, alla scoperta vivificante di un altro mondo (Die andere Seite e' il titolo di un romanzo fantastico di A. Kubin), da cui l'esistenza quotidiana viene continuamente alimentata. In questo la nozione romantica dell'inconscio si rivela assai diversa da quella freudiana: non mero ricettacolo del negativo, ma serbatoio di infinite possibilita' vitali. Guido Davico Bonino ha raccolto in un bellissimo volume, Essere due, sei romanzi sul doppio, e precisamente: La prodigiosa storia di Peter Schlemihl di A. von Chamisso, La principessa Brambilla di E.T. Hoffmann, Il sosia di F. Dostoevskij, Lo strano caso del Dr. Jekyll e del Sig. Hyde di R.L. Stevenson, Il ritratto di Dorian Gray di O. Wilde, La metamorfosi di F. Kafka. Una vera strenna per l'estate, un invito a trascurare le deludenti novita' librarie per tornare a leggere in questi testi tutti (o quasi) fondamentali l'incanto e il dolore del mondo, la sua meravigliosa imprevedibilita', le domande senza risposta (Quaerebam unde malum et non erat exitus, scrive Sant'Agostino), i conflitti sempre aperti dentro e fuori di noi, tra Io e inconscio cosi' come tra Io e societa'. Tanto piu' che il curatore ha premesso a ciascun racconto una accuratissima presentazione, che comprende la vita dell'autore, le fonti del testo, un riassunto dello stesso e un'ampia disamina della letteratura critica. Com'e' ovvio, ognuno ha i suoi gusti e io avrei sostituito al testo di Wilde Benito Cereno di H. Melville e L'anima buona del Sezuan di B. Brecht. Ma questo e' secondario. Cio' che conta e' la possibilita' di immergersi nella ispirata fantasmagoria de La principessa Brambilla, in cui la forma stessa della composizione mostra il gioco vertiginoso delle trasmutazioni, la sistematica, dionisiaca confusione (o unita') di realta' e fantasia. Oppure rabbrividire dentro l'incubo sincopato e iterativo de Il sosia, o ripercorrere la nitida architettura del racconto di Stevenson. Nel loro insieme questi testi rappresentano (possono rappresentare) per il lettore un unico viaggio iniziatico, al termine del quale - dopo aver attraversato sogni, incubi, visioni, coincidenze rare e significative - approdare alla verita' cosi' bene espressa da Hoffmann: «Lo sapete bene, caro signore, di non essere altro che un'illusione!». Peccato per i numerosi errori di stampa, ormai abituali anche nell'editoria piu' qualificata.

 
 
 

QUANTA "FEDE" HAI?

Post n°149 pubblicato il 04 Marzo 2010 da servoarbitrio

Le sorelle Giarrotta e il signor Fede

Lei, Amalia Giarrotta, per anni stimata professoressa di greco al liceo classico di Barcellona Pozzo di Gotto, ormai ingracilita dall’età avanzata, è arrabbiatissima: è finita nei racconti «machi» di lui, l’aitante tombeur des femmes, nonché delicato umorista Emilio Fede. Racconto che non è andato giù all’anziana professoressa di Greco, infuriata proprio dall’umorismo di Fede, tanto da citarlo in giudizio di fronte al tribunale civile di Barcellona chiedendo un risarcimento per ben 100mila euro. L’episodio risale al 2006 quando Eva tremila (n. 15 del 15 aprile) pubblica un’intervista al noto direttore del Tg4. Già dalla copertina l’argomento, dei più gustosi, è eloquente: «Emilio Fede, il sultano dell’harem del tg4 confessa la sua passione. Per le donne». Segue all’interno un escursus della vita tra le donne del sultano: da Audrey Hepburn in giù, fino all’episodio più eclatante, quello più mascolino della sua storia di Don Giovanni: le tre sorelle Giarrotta.

Una storia contemporanea con tutte e tre. Così il giornalista imposta la domanda «altri periodi d’oro?», e Fede risponde: «Verso la fine degli anni ’50 mi fidanzai, in Sicilia, con tre sorelle contemporaneamente. Poi una disse alle altre che mi voleva sposare e fu il patatrac. Dovetti cambiare aria». Ma il meglio è nella risposta successiva, il direttore del Tg4 nell’intervista sostiene di non avere rimpianti per questo triplo salto sentimentale: «Pochi, di cognome facevano Giarrotta. Difficile portarle in società, si immagina i commenti ogni volta che le avessi presentate: “Signor Rossi, questa è la mia fidanzata Giarrotta”. Improponibile», conclude. È così che la delicatezza dell’intervistato colpisce l’anziana professoressa Gia..rrotta non ci sta, lei e le sue sorelle non hanno mai fatto parte dell’Harem, sostiene. Così riporta, attraverso il suo avvocato, Domenico Calabrò, la professoressa: «In verità, negli anni ’50 quando aveva 18 anni circa, ma anche prima, frequentava le tre sorelle Giarrotta solo quando veniva ospitato nella loro casa paterna dal padre di queste, signor Giarrotta Salvatore, solo a titolo di amicizia ed al fine di partecipare ai momenti dei vari pasti giornalieri, avendo la famiglia Fede, al tempo, una situazione economica precaria».

Stando, quindi, alla versione della più grande delle tre sorelle, l’anziana professoressa di greco, Emilio il sultano non è mai stato contemporaneamente con tre sorelle, non le Giarrotta almeno. «Sono state tutte e tre insegnanti presso le Scuole Medie Superiori e hanno sempre mantenuto elevata la loro dignità morale, spirituale e comportamentale. Il cognome delle sorelle Giarrotta non è stato mai messo in ridicolo mentre la S. V. lo ha esposto al pubblico scherno», scrive ancora Calabrò. Ed è così che il sultano rivaluta il racconto da Don Giovanni che da tre, ora riguarda una sola sorella: «Non ho mai rilasciato una intervista riferita in quei termini – scrive Fede all’avvocato dell’anziana professoressa- .

Ricordo, lontanissimo di avere passeggiato sotto casa delle signorine Giarrotta. Una delle quali, ma non ricordo neppure chi, riscuoteva la mia simpatia». Solo una «scherzosa e autoironica ricostruzione delle sue conquiste giovanili ed una altrettanto ironica battuta sul cognome Giarrotta», minimizza Filippo Alosi, avvocato di Emilio Fede che a sborsare cento mila euro non ci pensa neanche: «Se si tratta di risarcire i pranzi e le cene che mi hanno offerto quando avevo 14 o 15 anni, - scrive ancora il direttore del tg4 - possiamo anche arrivare ad un compromesso tenendo conto della rivalutazione. Credo si tratti non di centomila, ma di cento o duecento euro». Noblesse sulla quale dovrà esprimersi il tribunale di Barcellona, prossima udienza a fine aprile.

 
 
 

TREVISO-MESTRE-VENEZIA

Post n°148 pubblicato il 15 Febbraio 2010 da servoarbitrio

Il "famolo strano" diventa abitudine, anzi un mestiere ambitissimo

Una cinquantina di maschi trevigiani (come il più famoso dei radicchi) hanno bussato alla porta del pornoshop per una audizione: in ballo un ruolo da pornostar, o da pornocomparsa, in qualche film “autoprodotto”.

A dire la verità di film hard autoprodotti di recente ne abbiamo visti o di essi abbiamo sentito parlare in ogni contesto, dalle intercettazioni al talk show. Poteva tranquillamente essere una riunione di partito: il nuovo tesseramento passa anche dal materasso o, in altre situazioni, dal “famolo strano”.

Una trentina (24, per la precisione) di maschi d’ogni etnia, italiana compresa, sono stati arrestati a Rio: avendo bevuto più del consentito, stavano facendo la pipì in strada, in pubblico. Anche questa è  politica: la facevano fuori dal vaso.

 
 
 
 
 

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