Principessa persiana

Atmosfera settembrina


Potrei riconoscere il periodo che segna il passaggio dall'estate all'autunno e dall'inverno alla primavera, senza vedere il calendario. Conosco settembre a pelle e con i sensi. Lo avverto nell'epidermide e nell'osservazione delle sue mute, che fondamentalmente non sono mascherate. Pensavo alle trasformazioni settembrine proprio qualche notte fa, sempre dal finestrino dell'auto che per me è una sfera di cristallo ed un oblò su cui poggiare il naso e le mani,  per la meditazione dei panorami dei luoghi visivi e di quelli interiori. Il venticello è una tramontana fresca e sibilina, il chiarore del giorno tramonta nelle ore pomeridiane, il corpo avverte il bisogno di trovare sulle spalle e braccia il calore della felpa, i giunchi si rinvigoriscono, le gambe e la gola sono solleticate dall'influenza e febbricola, le acque del mare ritornano cristalli, il sole non frigge nel cielo, vi è un silenzio tutto particolare ed anche le civette ed i passeri innalzano richiami non corali. E' un periodo che per alcuni versi mi ricorda la fine e l'inizio di qualcosa, come se fosse un capodanno. Non so perchè è un mese che associo alla cultura, alla letteratura, alla musica classica ed al teatro; credo che sia quello meglio predisposto, scenografico e favorevole alla lettura dei poeti, alla scrittura di se stessi, agli spettacoli culturali e delle piazze che abbandonano i colori accesi delle sagre, dei suoni e della folla. Un mese che favorisce il sentirsi uomo, nel senso umanistico e rinascimentale del suo significato, e la natura introspettiva e della buona solitudine interiore, in compagnia di un'essenza orientale, di una tiepida bevanda ed un'inchiostro di rimembranza romantica o novecentesca. Penso ad un ermetico poeta salentino ed alle sue metafore futuriste e cubiche con cui delineava il mio e suo Salento. Penetra nell'anima la sua visione e percezione del mondo, della natura, dei paesaggi, della società. Ricordo che nel luglio del 2007, sull'uscio della casetta estiva, lo lessi tutto d'un fiato, mentre ogni tanto alzavo lo sguardo verso il blu notte dell'insenatura marina prediletta, la cappella votiva e le striature bianche della luna. E fu proprio a questo faro avorio che Vittorio Bodini dedicò tantissime delle sue riflessioni più suggestive e cariche di pathos. "...vivo ormai nelle cose che i miei occhi guardano: / divento ulivo e ruota di un lento carro, / siepe di fichi d’India, terra amara/ dove cresce il tabacco..." Opera: Vincenzo Ciardo, I sassi del Salento