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Post n°219 pubblicato il 26 Settembre 2009 da mongoloverde
 

 

C’è un fatto criminale nuovo. Un inedito, se vogliamo: non tanto per la sua tipologia di illecito penale, ma soprattutto per la diffusione incredibile che sembra avere. A sentire i giornali si direbbe che il fenomeno fuga a seguito di incidenti stradali sia ormai uno dei reati più comuni. Sono mutati i tempi, senz’altro, ma ora si scappa davvero di più: si parla di ventimila pirati della strada che ogni anno colpiscono e fuggono, spesso dopo aver ferito, spesso dopo aver ucciso. Un comportamento, che trae la sua origine dal cattivo comportamento sulla strada divenuta il Far West di tutti, al punto che diventa impossibile perfino tracciare un identikit sommario dell’individuo-conducente irrispettoso delle norme previste dal Codice della Strada. Così un sinistro stradale, che la nostra esperienza ci insegna essere nel 99% dei casi causato da infrazioni (gravi ma purtroppo comuni), fatto colposo per eccellenza, diventa il trait d’union verso un successivo comportamento doloso: la fuga, l’omissione di soccorso, altre violazioni al codice, il tentativo di far perdere le proprie tracce. Abbiamo in passato cercato di tirarne le somme, ma l’evoluzione rapida di questo fenomeno ci consente soltanto di fissare situazioni alla stregua di un fotogramma, dandoci a stento il tempo di analizzare i dati in nostro possesso. E di dati, anche questo lo dobbiamo dire, ce ne sono davvero pochi: si parla di ventimila episodi l’anno, e nel susseguirsi di clamori strappati alle cronache terribili, spiccano storie tragiche di ragazzi travolti e trascinati per chilometri, aggrappati sul cofano di un’auto, come è successo a Seveso il 23 ottobre scorso, o di pensionati travolti più volte nel tentativo dell’assassino di scrollarseli di dosso, come recita il bollettino di alcuni giorni più tardi relativamente ad un fatto accaduto a Gambettole, nel forlivese. Tale condotta, se operata da un serial killer, sarebbe definita over killing, volontà omicida che prosegue anche dopo l’atto volontario letale. Bestie ferite, impaurite forse: ma sempre bestie e i pirati devono pagare i crimini commessi. La loro impunità mette a rischio il concetto stesso di civiltà al quale sembriamo esserci tanto attaccati dal triste 11 settembre dello scorso anno. Un comportamento del genere sarebbe stato punito migliaia di anni fa già dall’efficiente e antica polizia egizia del deserto di Ramses, mentre oggi chi uccide e scappa, quando viene individuato, la passa puntualmente liscia. Esempi? Centinaia, forse migliaia. Uno per tutti: il 27 agosto 1995 Paolo Urbano percorre in sella al suo motorino via Colombina, a Campi Bisenzio, nell’hinterland fiorentino. Indossava regolarmente il casco, ma tanta prudenza non gli servì perché una Panda a folle velocità gli passò sopra, lasciandolo agonizzante. Lottò contro la morte, per la vita, 27 interminabili giorni prima di mollare, mentre il suo investitore, non visto da alcuno e individuato solo a distanza di tempo, stava accoccolato su una spiaggia di Ibiza a godersi la vita dopo averne cancellata una. Alla fine il pirata è stato condannato a cinque mesi e dieci giorni, pena ovviamente sospesa, mentre la patente gli è stata tolta per due mesi. Se non ci fosse di mezzo la vita di Paolo e il dolore di sua madre, che da allora non ha mai smesso di lottare contro questo clamoroso impeachment legislativo, verrebbe da ridere. Ma non c’è spazio per l’ironia. Il sottosegretario all’Industria Mauro Fabris, padre ispiratore della legge sul casco, ha dichiarato in un’intervista al Quotidiano Nazionale, che per chi scappa dopo un incidente ci vuole la galera. Lo stesso Fabris, che dimostra di prendere sul serio i verbali di rilievo di sinistro della Polizia Stradale, nei quali si evince che l’evento infortunistico è causato in larga parte dall’incapacità di mantenere il controllo dei veicoli a causa della velocità troppo elevata o dall’assoluta inosservanza delle principali norme di comportamento, elenca in quella stessa intervista una lunga serie di mancanze, costituite da vuoti istituzionali e carenze legislative. Vediamo però di entrare nel dettaglio e di intraprendere un’analisi del fenomeno fuga, tentando di aggiornare l’identikit sociale del Pirata della Strada e di fornire anche alcune interpretazioni psicologiche del meccanismo interiore che potrebbe scatenare la fuga da uno scenario del quale si è sicuramente responsabili.

LA TRAGEDIA QUOTIDIANA

I dati Asaps sarebbero già di per sé allarmanti, se è vero che in una società che intenda definirsi civile è inaccettabile rilevare che presso i soli reparti di Polizia Stradale sono state presentate nel corso del 2000 la bellezza di 2.592 denunce per omissione di soccorso. Partendo dal presupposto ormai assodato che la Polizia Stradale lavora praticamente solo in autostrada o su arterie di grande comunicazione, riteniamo attendibile la corrente che vuole fissati in circa 20.000 casi le omissioni consumate ogni anno in Italia: in quest’assurdo bollettino da Twin Towers, “solo” 900 morti sono pedoni, massimi rappresentanti della cosiddetta Utenza Debole. Altre cifre non le vogliamo citare, perché non siamo un istituto demoscopico in lotta con altri e non possiamo improntare una ricerca di questo tipo solo sui numeri. I morti provocati dai Pirati della Strada sono tanti, nell’ordine delle migliaia, punto e basta. Poco ci interessa sapere se i pedoni, i ciclisti, i ciclomotoristi, quelli più classicamente alla mercé dei Pirati, muoiono di più a Milano o a Palermo, se al momento dell’impatto indossavano il casco o se impegnavano un incrocio. Il loro sangue è per terra, a disposizione di tutti, basta voler guardare. E allora facciamoci coraggio e guardiamo. L’autunno caldo del Pirata ha portato in prima pagina dieci casi eclatanti in poco più di un mese. Troppi, al punto che anche il celebre settimanale “Panorama” ha consultato la nostra associazione per sapere il nostro parere. Cosa ne pensiamo? Riteniamo che la legge sia blanda, che la pena prevista sia ridicola, che il deterrente non esista, come non esiste la vera educazione stradale: la norma lo prevede, ma alla Pubblica Istruzione non ne vogliono sapere, bontà loro. Vediamo una cosa per volta: la semplice fuga dallo scenario del sinistro è sanzionata amministrativamente dal Codice della Strada, quando non vi sia concomitanza con fatti più gravi: lesioni o morte, tanto per dirla breve. In questo caso il colpevole rischia anche l’arresto, ma è più una questione di moralità per il poliziotto che mette le manette al “killer suo malgrado” che un’effettiva punizione. Dopo la convalida della misura precautelare l’indagato potrà tornarsene in giro, esibire la fedina che resta quasi immacolata, quando non venga applicata la non menzione, e riprendersi la patente. A nostro modesto parere il Pirata della Strada è il risultato di una miscela di mancata educazione, di scarsa preparazione e conoscenze giuridiche, unite alla totale assenza di requisiti psicofisici. A questi soggetti che, tutto sommato, pur con nostro rammarico, potrebbero essere considerati ancora in buona fede, aggiungiamo il campione offerto da delinquenti comuni, da ricercati, da extracomunitari privi di patente e da altri personaggi privi della copertura assicurativa, o più semplicemente da conducenti in stato di ebbrezza alcolica o da sostanze stupefacenti, i quali, pur essendo in grado di coordinare braccia e gambe per i comandi dell’auto e di ragionare in funzione del proprio stato allorquando venissero sottoposti a controlli di polizia, potrebbero anche cavarsela con una segnalazione amministrativa, un processino ai sensi degli articoli 186 o 187 del Codice della Strada e l’incapacità di intendere e di volere per tutto il resto. Visto lo scenario - e qui se ci viene consentito parliamo da poliziotti – di soggetti citati che sono continuamente in giro per le strade, il cocktail mortale è presto fatto. Quotidianamente persone corrispondenti al sommario identikit che abbiamo sopra fornito, investono qualcuno e poi scappano: di questi più o meno solo uno su tre viene individuato. E anche se viene beccato? L’azione penale farà il suo corso, ma tra avvocati e leggi praticamente solo simboliche, difficilmente si potrà dire “giustizia è fatta”. In effetti un Pirata individuato, anche se dichiarato in arresto, trascorre in guardina non più di un paio di giorni, salvo che non abbia commesso altri reati più gravi; nonostante la norma preveda l’arresto fino a 12 mesi, una multa fino a 2 milioni (!!!) e la sospensione della patente di guida fino ad un anno (!!!), al momento di andare in dibattimento, il reo preferisce nella stragrande maggioranza di casi ammettere la propria colpa e beneficiare del rito abbreviato, con il risultato che quella pena massima (fino a 2 anni di carcere per lesioni e 5 anni di carcere per omicidio colposo) sarà notevolmente diminuita e il condannato finisce col pagare una pena pecuniaria.

GIUSTIZIA È FATTA?

Mai. Se si eccettuano i casi anomali dell’albanese Bita Panajot, sulla cui figura abbiamo incentrato la nostra precedente inchiesta e che uccise un ragazzino a Roma, fuggendo e commettendo in seguito ogni tipo di reato e che trascorse in galera qualche mese, o il caso del suo connazionale Ardian Ostrovica, che nei pressi di Pisa, mentre inseguiva ubriaco fradicio ed a folle velocità un altro albanese per ucciderlo, si scontrò con l’auto di tre ragazze (tutte morte sul colpo) finendo poi con l’essere condannato a 20 anni, il resto è davvero ridicolo. Alla luce di fatti come questi è possibile affermare che praticamente solo in concomitanza di eventi in grado di suscitare forti emozioni, sdegno o allarme sociale, ci si può ritenere soddisfatti delle punizioni (ammesso che una punizione possa di per sé soddisfare). D’altro canto la cronaca, che ci viene puntualmente in aiuto, segnala anche altre tendenze: in generale le punizioni sono ridicole ed in alcuni casi, se l’investito è un extracomunitario e il pirata un italiano, si può arrivare anche a sentenze clamorose. È il caso di un cinquantenne bergamasco, Antonio Detta, che all’inizio dello scorso anno investì un giovane marocchino fuggendo. Beccato, subì il peso di una giustizia che lo condannò a 20 giorni di reclusione e un milioncino e mezzo di multa; pena, ovviamente, sospesa. Così, mentre in Parlamento ci si scanna neanche tanto onorevolmente per la separazione delle carriere e i mandati di cattura internazionali, questo stillicidio continua. È forse l’aggettivo colposo che allontana così tanto il diritto di giustizia? Forse no. Proprio mentre scriviamo assistiamo all’ennesimo colpo di scena processuale nel triste calvario della famiglia di Marta Russo, la giovane studentessa uccisa all’Università di Roma 4 anni fa. Quante famiglie come quella di Marta dovranno subire analoga tortura prima che qualcuno non si decida ad oliare i meccanismi di un’amministrazione così lenta e a volte incomprensibile come quella della Giustizia? Criticherà, l’osservatore attento, il nostro chiaro atteggiamento di parte. Ma è nostro diritto, perché siamo noi a tracciare quei lugubri segni col gesso sull’asfalto attorno ai “corpi straziati”, vittime di killer senza nome; e siamo noi a bussare alle porte elle famiglie o a far trillare il telefono nella notte.

ALCUNI DATI

Ogni tre giorni in Italia viene ammazzato qualcuno da un pirata della strada. E uno al giorno rimane gravemente ferito. Per la pirateria ormai è totale emergenza: nel 2007 sono stati registrati 161 casi, mentre nel 2008 ben 323, con una crescita record del 100,6 per cento. Tradotto in vittime questo incredibile aumento significa 93 morti con un incremento del 36,8% rispetto ai 68 del 2007 mentre il numero dei feriti lo scorso anno ha avuto un balzo del 120,7% con 331 vittime rispetto alle 150 del 2007.
In questo inferno va detto che ormai pochi pirati riescono a farla franca: il 77,1% degli autori viene smascherato, mentre "solo" il 22,9% resta ignoto. Merito certo delle tecniche investigative (su 323 inchieste, 249 hanno condotto all'identificazione del responsabile, arrestato in 125 occasioni e denunciato a piede libero in altre 124) ma deve far riflettere una cosa: in ben 109 casi (43,8%) nel 2008 il pirata della strada era ubriaco o drogato. Ed è un calcolo per difetto perché spesso quando le forze di polizia identificano l'autore dopo qualche giorno dall'incidente non ha più senso sottoporre il sospetto a controllo alcolemico o narcotest.

Ma quando si ha a che fare con un ubriaco o con un drogato è chiaro che qualsiasi regola venga ignorata sistematicamente. La soluzione del problema è quindi a monte: nel tentativo di non dare la possibilità a un drogato o a un ubriaco di mettersi impunemente al volante.... questa sarebbe la risposta logica,plausibile ed indolore, ma ingiusta. Ingiusta, a mio personalissimo parere, perchè nel momento che accadranno nuovamente queste tragedie, assisteremo a pene paragonabili ad un "vaffa..." gridato ad un pubblico ufficiale. Vi sembra giusto? Abbiamo una vita (bene unico) e ce ne privano, ci privano dei nostri cari.... non sto chiedendo vendetta o pena dimorte anche se non so se avrei la lucidità che ho ora se mi capitasse una cosa analoga, ma chiedo di non uccidere e prendere in giro chi vivrà con un vuoto nel cuore per il resto dell vita. Pene ridotte perchè non capaci di intendere e di volere.... cazzate.... con la campagna mediatica su droga e alcool, guida pericolosa, etc. etc. credo che chi prende una decisione se drogarsi o no, se ubriacarsi o no... sa che non avrà pieno controllo di se, sa che potrà recare danno.... quindi è capace di intendere e di volere.



-un pensiero ai famigliari che lottano per avere un briciolo di giustizia-

 
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