MORTEALCOMUNISMO

«Cuba, tradita da Castro e Guevara»


LOS ANGELES—«Vorrei che Lost City fosse visto come un racconto sul tema dell'esilio, oggi come ieri. Io mi sono sentito esiliato due volte, dalla Cuba lasciata da bambino e dalla Hollywood pseudo-amica di Fidel». Andy Garcia, 50 anni appena compiuti, parla del suo film sulla Cuba di Batista, sulla presa del potere da parte di Castro e di Che Guevara. Un debutto nella regia importante, il suo, e l'attore di Il Padrino III e di Gli intoccabili sa benissimo che il film ha acceso forti discussioni politiche e innescato anche forme di boicottaggio negli Stati Uniti, dove molte sale cinematografiche non l’hanno voluto: «Ci sono stati festival che l’hanno rifiutato per le apparizioni di Castro e Che Guevara; una parte del pubblico lo rifiuta perché non vuole accettare una critica al regime di Fidel, visto come un leggendario leader dei poveri. Ma, in 45 anni, da quando è al potere, la sua Cuba è stata sempre ai primi posti nella lista dei Paesi che non rispettano i diritti umani. Tante persone chiudono gli occhi sulle atrocità di Castro e si accontentano di dire che il líder máximo e Cuba sono sexy. Io racconto le condizioni sociali che hanno reso possibile la sua rivoluzione e anche il tradimento di questa rivoluzione». «Io non sono mai tornato a Cuba — spiega Garcia — mentre Hollywood, invece, ha sempre flirtato con Castro e strizzato l'occhio ai ragazzi con le magliette del Che, inneggiando a una rivoluzione cubano-marxista che mai è stata tale. Quei ragazzi— anche se indossano la maglietta con il volto del Che — non sanno nulla della Guerra civile in America, di che cosa è stata davvero la nostra rivoluzione... quella maglietta per loro è solo un simbolo, che li fa sentire rivoluzionari, "alla moda". No, io non sono andato a Cuba come Spielberg, Jack Nicholson, Spike Lee, Kevin Costner, Di- Caprio.... Ho vissuto la malattia dell'esilio: a cinque anni, la mia famiglia lasciò L’Avana di Castro per crescere noi ragazzi nella libertà. Batista era stato il peggiore dei dittatori, ma nella sua Cuba c'era una sorta di forse surreale e inconsapevole libertà. Nel mio film, comunque, Batista è un personaggio deteriore, e i suoi scudieri sono killer feroci». Pensieroso: «Mio padre, un grande avvocato al quale il film è dedicato, iniziò a Miami una nuova vita come cameriere. Noi siamo cresciuti con la nostalgia di un luogo amato e lasciato per sempre, ma per sempre nella memoria, nella musica che ogni giorno, da allora, ci riporta a L’Avana. Lost City è un film sull'amore per la propria patria, per due fratelli morti nel sogno della rivoluzione e anche per una donna che sceglie di stare dalla parte della cosiddetta nuova Cuba del 1959, quella di un Castro che fece suo il vessillo contro l'imperialismo yankee optando per l’imperialismo sovietico e scegliendo, contro tanti cubani, di sporcarsi le mani di sangue». «Io — dice Garcia — non racconto gli eccidi di Che Guevara nella fortezza di La Cabana nel primo anno del nuovo regime, i corpi dei cubani dissidenti gettati in fondo al mare... Racconto una storia di uomini e donne, di musica e d'amore per la mia terra». Innamoratisi subito della sceneggiatura, per Andy Garcia hanno lavorato a paga bassissima colleghi di nome come Bill Murray, Dustin Hoffman e Ines Sastre; oltre a un grande Tomas Milian — pure lui cubano — nel ruolo del patriarca della saga familiare al centro della vicenda. Il copione, opera dello scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante (morto l’anno scorso) vede il figlio maggiore della famiglia Fellone — lo stesso Garcia—gestore di un locale a Cuba, come collante di tutta la vicenda. «Mio padre — spiega il regista — nel film è un professore universitario che vede crollare tutte le sue aspettative più democratiche, prima con Batista poi con Castro. Due miei fratelli scelgono la Rivoluzione, ma uno muore suicida per il dissidio interiore che lo divora e l'altro "in guerra" ». «Forse—conclude—un giorno tornerò anch’io a Cuba, magari solo in una bara ».