MARCA BUDAVARI

Dài il culo all'amplificatore


Prendevamo il treno ogni sabato pomeriggio, ché dei grandi ci mancavano ancora la patente e la disillusione, per andare a chiuderci in una stanzetta della Firenze aliena, grande appena quanto basta. Li seguivo, come fa un bambino quando rincorre una libellula scheggia d'azzurro: alieno da lei, senza alcuna speranza di raggiungerla. Ma non gli importa. Gli piace così. L'inutile è già vocabolario d'adulto.Ne uscivo frastornato ma contento, forse persino più di loro: io che pure non suonavo, non sapevo cosa fosse un giro di basso, un bridge o uno "ua ua",  tornavo a casa con in tasca un pezzetto del loro sogno e in testa il basso della Martina, quasi fossi stato una donna indiana. Non importava saperne il nome in fondo, di quel sogno, per sapere che c'era. Che era quasi un po' mio.Non era sempre stato così. Prima passavamo i pomeriggi a saccheggiare il frigo e la dispensa di una casa di campagna. Poi il proprietario del frigo, della dispensa, della casa e forse anche della campagna giustamente aggrottò appena le sopracciglia e ce ne andammo altrove, a dare il culo all'amplificatore. Perché è così che si fa, quando fischia.Ed io, che non assomiglio di certo a Steven Tyler ma che proprio in quel periodo iniziai ad amarlo, forse devo un po' di quel che sono adesso proprio a quel periodo, a quando scoprivo i System of a Down, a quando rovinavo sui vasi di rosmarino distruggendo corde e chitarre o storpiavo "Pink", a quello strano 2002, ai pisani menestrelli, agli onesti "Best Before" e alla loro concezione di "Pet Cemetry" e "Basket Case", alla telecamera digitale, alla cena etnica che mi ha visto digiuno, agli occhiali che ho lasciato su un ghiacciaio in Val d'Aosta, ai tegolini, a quando ascoltavo canzoni che parlavano di una margherita che pugnala un uomo o di un ragazzo finito incautamente sotto acido, e forse mi mancano quei versi che, tradotti, suonavano come "piango per i funghi morti in guerra, credo nel rosa ma le mie ascelle sono blu". Non si possono che rimpiangere, le lacrime sparse sugli champignons. E nel Rorscharc continuo a vederne, di "Pink elephants".Colonna sonora, "Darts" System of a Down