Malaerba

Dai poveri di spirito e dagli intolleranti, da falsi intellettuali, giornalisti ignoranti, libera, libera libera nos Domine...


Come è brutto che chi scrive d'arte sia chiamato "critico". Questa parola sembra contenere in sé l'essenza dell'arroganza, il piglio occhialuto di chi è acido per costituzione e temuto per professione. "Critico" è una parola piena di spigoli, che sembra relegare chi la indossa ad una posizione di conoscenza rivelata, oggettiva, in grado di additare al bello e al brutto, al nuovo e al già visto con la dimistichezza di chi non solo è dentro al sistema dell'arte, ma ne detta pure le regole. "Critico" sembra una parola vuota di amore, di passione per ciò che si fa, per l'oggetto di tanto parlare. E "i critici", o almeno quelli che amano farsi chiamare così, li vedi sempre ai vernissage, più spesso in zona aperitivo che davanti ai quadri, ma sono lì: saltano fuori alla vigilia degli "eventi", o quando ci sono nastri da tagliare, interviste da rilasciare e quando ci sono plausi da riscuotere. Poco male se non distinguono un'acquaforte da un'acquatinta, uno smalto da un acrilico, un pennello da una spatola. Non è colpa loro se la puzza della trementina gli da alla testa. Molti di loro si sono persi l'esperienza di usarli i pennelli, anche solo per curiosità... quella curiosità che dovrebbe portarli ad incontrare gli artisti nel loro studio, invece che in galleria. Penso a tutte queste cose, un po' per monito un po' per rimprovero a me stessa, e per riprendere ossigeno scorro mentalmente tutte le figure importanti che hanno scritto la storia dell'arte, che spesso hanno supportato, incoraggiato e forse anche stimolato gli artisti, conquistandosi un rilievo meritato e onesto. Ma soprattutto, scorro le immagini di uno dei miei pittori preferiti: Francis Bacon. Davanti a lui le parole sono ridicole, piccole,... in qualsiasi caso risulterebbero incapaci di descrivere la sua pittura, che si coglie forse prima con le viscere che con l'intelletto. Me li immagino i quadri (perché non ne ho mai visto in presenza uno) sparare nelle pance del pubblico composto delle gallerie e dei musei, dalle pareti bianche e neutre. Me li immagino vivi, come piante carnivore e rumorosi se ci avvicini l'orecchio, come si fa con le conchiglie. Non ci sono soggetti ma solo uno, il soggetto umano, il suo disagio goffo, il suo dolore disarticolato, senza speranze trascendenti di salvezza. Forme-deformate, carne flaccida percorsa da spasmi impotenti. L’orrore si fa intenso e assoluto al punto da non lasciare spazio a nessuna motivazione contingente e transitoria. Non ci sono le cause perché le cause le conosciamo già tutti, nascono e muoiono con l'uomo e davanti alla realtà del dolore perdono anche importanza. Come per lui perdono importanza le teorie, le cause della pittura: per Bacon la pittura è prassi, è un lavoro, una lotta faticosa di cui non si possono prevedere gli esiti. Alla fine di questa lotta si avrà in premio un piccolo frammento di verità, estrapolato dal fluire indistinto dell'apparenza. I canoni della percezione razionale vanno distorti, capovolti, invertiti per tirare fuori ciò che non si potrebbe altrimenti esprimere e che contiene l’essenza della condizione umana. Non basta la vista per capire la pittura di Bacon, così come perde importanza a tal fine ogni tentativo di decifrazione logica. Come il suo procedimento pittorico cerca di ricreare il reale attraverso l’incontro dell’esperienza quotidiana con l’affiorare delle pulsioni inconsce, così anche il procedimento di chi guarda le opere deve lasciare spazio all'irrazionale. Deve affidarsi un po' allo stomaco, forse. Perché i suoi quadri non sono evocazioni o imitazioni di specifiche realtà, ma sono la realtà stessa, e l’unico modo in cui Bacon sa trasformare l’estraneità del reale in esperienza autentica è quello di estrarlo dal flusso dell’oggettività, incamerarlo, masticarlo, attraverso l’esperienza artistica... Mi piace stasera addormentarmi con questo pensiero: ci sono artisti e persone per cui l'arte non è solo un vernissage, ma "un modo speciale di pensare", un arma per stare al mondo, una necessità...