La vita che vorrei

Pance (e teste) di plastica


Chissà se i capodogli trovati morti lo scorso dicembre sulla spiaggia di Peschici, con la pancia piena di sacchetti di plastica, volevano dirci qualcosa. E non solo qualcosa di ecologico in senso stretto, della serie: "Uomini, vil razza dannata, con i vostri rifiuti intossicate l’universo". Non è solo questo, lo sappiamo ormai da tempo che la natura è una donna di servizio, da sfruttare molto e pagare poco, possibilmente in nero. No, mi chiedo se quei cetacei non volessero raccontarci anche un’altra storia. Soltanto quattro di essi avevano la plastica nello stomaco, e il capobranco più di tutti. Ma nelle pance degli ultimi tre non è stato trovato niente. Niente. Hanno seguito il capo fino alla morte per puro spirito gregario: assopimento di coscienza, mancanza di personalità. Ecco, forse i sette capodogli di Peschici volevano dirci proprio questo. Che rischiamo di diventare così anche noi.Divisi in capibranco famelici che ingurgitano qualsiasi cosa per pura bramosia di possesso e in cortigiani che si contendono i resti dello stesso nulla, spacciato per chissà che. In scia, poco distanti, avanzano gli spettatori: a stomaco vuoto, si accontentano di godere la visione del pasto altrui. E seguono il capobranco senza chiedersi dove si sta andando. Onda su onda, fino allo schianto finale, senza ritorno.