La vita che vorrei

Solo, fino all'ultimo giorno


C’è un mio collega che in mensa mangia da solo, sempre. Tranne quando io, se ci sono, mi siedo vicino a lui. Gli altri dipendenti lo ignorano. Nella vecchia sede, questo mio collega lavorava anche, da solo. Così aveva voluto il suo capo, che per garantirne la produttività gli aveva persino proibito di tenere con sé il cellulare. Dimenticando che, per un audioleso (uno che non ci sente, per intenderci) il cellulare è indispensabile: ad esempio per comunicare, tramite sms, con la famiglia, se c’è bisogno. Dimenticavo: questo mio collega è stato l'unico che a Natale, e a Pasqua, ha passato in rassegna tutti gli uffici per fare gli auguri. Ovviamente non lo ha notato nessuno, avevano altro a cui pensare, i dipendenti. Di tutto ciò non mi stupisco: ho visto anche di peggio. Però mi dispiace. E mi incazzo; con tutti quei dipendenti (e sono tanti) che al bar, in mensa, nei corridoi, si sciacquano la bocca con sani e santi principi (generosità, altruismo, per citarne alcuni), salvo poi fregarsene, non appena capita un'occasione per dimostrare, prima di tutto a se stessi, di essere davvero così buoni e generosi. Tutt'al più, ci scappa un "poverino", tanto per avere la coscienza a posto e poter continuare a frequentare serenamente uno dei tanti clan dell'azienda, da quello della pausa pranzo a quello che si ritrova alle macchinette del caffè. Lo so, chiedo troppo: sedersi almeno una volta vicino a una persona che viene sempre lasciata sola è un atto di eroismo quotidiano non comune. Ci vuole coraggio. Con se stessi, prima di tutto, poi con i compagni di merenda e le inevitabili domande tipo: come mai ti siedi proprio vicino a lui? Come mai parli con lui? Capisco: meglio lasciar perdere. E sguazzare nelle banalità del cazzeggio quotidiano, come fanno gli altri: è più rassicurante. E meno faticoso. Comunque vada, fra pochi giorni il mio collega se ne andrà in pensione. Salutando tutti, immagino. Così mi toccherà assistere all’ennesima (l’ultima, per fortuna) scenetta ipocrita del dipendente che saluterà con sincero affetto quello stesso collega che ha lasciato sempre da solo, fino all'ultimo giorno. E tanto per cambiare commenterà: poverino. Questa volta, però, lo spettacolino durerà poco e non vi parteciperanno  tutti: sarà un venerdì, molti avranno già la testa altrove. Naturalmente questi buoni e generosi dipendenti continueranno a sognare un mondo migliore. Dimenticando, però, che i primi artefici di una società più giusta, siamo noi. La vera rivoluzione deve cominciare dentro di noi: diceva, se non ricordo male, Che Guevara, uno che se intendeva. Più umilmente, mi permetto di aggiungere che non è la libertà che ci manca. Mancano gli uomini liberi. E le donne libere.