La vita che vorrei

Una ragazza, come tante


In una città dell'ex Germania Est, una ragazza di diciassette anni è intervenuta in difesa di una bambina extracomunitaria di sei, che alcuni naziskin stavano importunando nel parcheggio del supermercato. Mentre la bimba si metteva in salvo, i virili naziskin, quattro contro una, hanno inciso la svastica su un fianco della ragazza con un bisturi. Hanno anche tentato di sfregiarle la guancia scrivendoci sopra SS, ma lei è riuscita a scappare. Intanto un gruppo di adulti osservava la scena dal balcone di una casa vicina, come al cinema, senza neppure sollevare un ditino per avvertire la polizia.  Non so se la ragazza sfregiata sia bianca, nera, gialla, non mi interessa. Né so se abbia protetto la bambina extracomunitaria per solidarietà di sesso, razza, condizione sociale, oppure solo obbedendo all’impulso umano che ti fa reagire con il cuore ai soprusi degli arroganti e degli stupidi: umani anch'essi, purtroppo. Quella voce profonda che nei momenti estremi ti urla: smetti di subire il mondo, esci dalla scatola delle tue paure e agisci da persona viva.  Ripeto, non so chi sia e perché lo ha fatto, non me ne importa niente. So solo che è una ragazza di diciassette anni. E questo mi importa tantissimo. Perché d’ora in poi, ogni volta che in omaggio alla generalizzazione imperante starò per scrivere, o sentirò dire, che "i giovani d’oggi sono più cinici e feroci delle generazioni che li hanno preceduti", mi ricorderò di quella ragazza tedesca che ha rischiato la pelle per una bambina che forse non conosceva nemmeno. E di quegli adulti al balcone, a guardare.