La vita che vorrei

A proposito di bavaglio


Dico la mia, promettendo di non tornare più sull'argomento: lo sciopero dei giornalisti contro la cosiddetta "legge bavaglio". Un sciopero, quello dello scorso 9 luglio, in cui i giornalisti per protesta non sono andati al lavoro e non hanno fatto uscire i giornali. Bene: io a lavorare ci sono andato. Non lavorando più per un quotidiano, potevo permetterlo: non sono un giornalista vero, come mi sento dire da quotidianisti di varie generazioni, tutt'al più posso considerarmi uno specializzato. Specializzato o no, a lavorare ci sarei andato comunque. Prima di tutto perchè non metto il bavaglio per protesta contro una legge bavaglio. Alzo la voce, piuttosto. E dovremmo alzarla tutti insieme, perchè i cittadini vanno informati e non privati della conoscenza dei motivi della protesta. Il primo compito di un giornalista è quello di cercare e pubblicare le notizie, e tale deve restare. Così la penso io. E aggiungo: se i giornalisti italiani tenessero davvero alla libertà di stampa, per prima cosa scioglierebbero l’Ordine dei Giornalisti, che contrasta palesemente con l’art.21 della Costituzione (“tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione) e subordina l’esercizio di un diritto costituzionale all’ingresso in una Corporazione. Promuoverebbero poi un referendum per abrogare la legge sulla stampa, che viola in più parti il medesimo art.21, per esempio imponendo l’obbligo di un “direttore responsabile” iscritto all’albo come professionista. In più, e qui mi riferisco soprattutto ai giornalisti veri, quelli dei quotidiani, solleverebbero il mostruoso conflitto di interessi che limita la loro libertà: in Italia non esistono editori, ma imprenditori e banchieri che pubblicano giornali. Ma di tutto ciò a molti giornalisti italiani non importa un granchè.