La vita che vorrei

Fedele fino all'ultimo


Anche Athos apparteneva alla categoria dei naviganti. E come ogni navigante che si rispetti, non voleva abbandonare la sua nave, quella nave con la stella bianca sulla ciminiera che era il suo universo da ormai sette anni. Athos era un pastore corso, un cane d'altura, mascotte della nave Jolly Amaranto, un container di quasi 23 mila tonnellate di stazza. Athos era amico di tutto l'equipaggio, aveva un carattere mite. La sua cuccia era sul ponte, ma lui, tra tutti i locali, amava quello caldo della sala macchine. Ed è lì, probabilmente, che l'altra notte ha cercato di tornare. Non l’ha voluta abbandonare, Athos, quella nave, la "sua", neanche quando l’hanno trasferito, assieme all'equipaggio, sul rimorchiatore. Ha girato il muso verso la Jolly, s’è tuffato in mare, ha nuotato per ritornare "a casa", sordo ai richiami di chi ha navigato con lui, ne ha condiviso per anni, per mille miglia, bonacce e tempeste, nebbie e orizzonti, fino all’ultima, drammatica avventura alla deriva nel Mediterraneo. Athos ha annaspato, furiosamente, controcorrente. Ma l’ha tradito l’onda sollevata dall’elica del rimorchiatore, è sparito all’improvviso sott’acqua. Un marinaio s’è tuffato per soccorrerlo, invano, mettendo a rischio la propria vita per l'amico. Quell'amico, ha raccontato il marinaio, che gli era stato vicino nella tempesta, ballando sulle onde alte 13 metri e al quale, spiegherà, era "molto affezionato". Se ne è andato così Athos, unica vittima della tragedia sfiorata dal cargo italiano scampato a tre giorni di tempesta in mare aperto. Se ne è andato così: dedicando l’ultimo saluto alla "sua" nave, come un vero marinaio di stampo antico.