La vita che vorrei

Il ragazzo pastore


Non si è perso, Andrea. Ma per non perdersi ha rinunciato a tutto quello che era previsto per lui: l’università, gli amici con le moto, il bianchino al bar, la morosa da portare a spasso il sabato sera, le notti in discoteca, le vacanze, una vita borghese. Ha rinunciato ai sogni preconfezionati e alla velocità del suo tempo. Andrea, 18 anni, figlio di un chirurgo e di una insegnante di Biella, da due anni ha scelto di fare il pastore: "Mi piacciono le bestie, stare all’aria, prendermi cura di loro. Andare a cercare sempre nuovi prati per portarle a pascolare, anche se non è facile. Ma quando finisce la giornata e vedo che le mie pecore hanno la pancia piena, sono felice anche io". Perché la felicità può essere davvero un’idea semplice. D’inverno questo giovane pastore ramingo dorme dentro una vecchia roulotte con una stufetta, niente televisione: "Guardo il telegiornale quando torno a casa dai genitori. Magari sto anche mezz’ora davanti al computer. Facebook mi piace, ma posso farne a meno". Andrea a scuola era un disastro. "A parte i voti, sentivo che non poteva essere la mia vita. Ero sempre stanco, insofferente. Il banco mi sembrava una prigione. Non era per me. Quando mio nonno mi portava in montagna, invece, stavo molto meglio. Lui mi diceva: "La senti l’aria?". Io la sentivo. Ho capito così quello che volevo fare". Il primo vero sponsor del pastore Andrea è stato suo padre. "Facevo il secondo anno di Agraria. Alla fine della scuola, gli ho detto che volevo cercare qualcuno che mi insegnasse a fare questo mestiere. Lui mi ha detto di provare. Sono andato in montagna con un vecchio pastore: non è che parlasse molto, ma il mestiere si ruba, non si insegna". Al ritorno Andrea aveva deciso: "Ci sono state discussioni in famiglia, come è normale. Mio padre mi ha chiesto tante volte se fossi sicuro. Alla fine mi ha detto: “A noi va bene, se tu sei felice". Sono andato con lui a comprare le prime pecore". Oggi Andrea ha 300 capi, insufficienti per vivere, ma abbastanza per sperare un giorno di farcela: «Devo arrivare a 500, avere più contributi, produrre più lana. Riuscire presto a pagarmi le spese: il fieno, il granturco, la tosa". Una giornata al pascolo può fare bene. Lunghe ore di attesa da un prato all’altro. Nessun rumore, a parte le pecore che brucano e belano, mentre il cane Birbàn controlla che ci siano tutte. Andrea sta seduto appoggiato a un bastone: "È bello vedere come cambiano le giornate - dice - ognuna è diversa". Cosa ti manca di più della tua vita di prima? "Il tempo libero. Non dico le vacanze, ma mezza giornata per andare con gli amici, magari. Però le pecore non aspettano". Ci tiene molto alle sue pecore "Non so se potrò farmi una famiglia. Per stare insieme in questa vita bisogna fare tante rinunce". "Le ambizioni di ogni genitore sono diverse. Non dico che speravo che facesse il chirurgo, ma magari un lavoro in cui si realizzasse di più" dice il padre di Andrea "Però Andrea a scuola soffriva troppo. E mi è venuto in mente che Mario Rigoni Stern aveva la terza media. Non so se in futuro ci rinfaccerà di non aver insistito di più per farlo studiare. Ma so che un uomo può trovare la sua morale in mezzo ai boschi come nel centro di Torino. Intanto gli stiamo con il fiato sul collo. La cosa più importante è che Andrea impari il rispetto". Il rispetto è nel silenzio. Nelle carezze per Birbàn. Nei fischi che richiamano il gregge verso il recinto, quando il pomeriggio diventa freddo e buio. In giro che cosa dicono di te? Andrea sorride ancora: "I commenti sono vari. Molto mi criticano, dicono: “Ma cosa ci fa il figlio del dottore dietro alle pecore?”. Cerca un senso, come tutti, il suo.