La vita che vorrei

Yes, they surf


"Hai visto come ha imparato bene?" mi chiede Dave, mentre osservo Saul surfare tra le onde che sfiorano la spiaggia di San Diego, in California. La moglie di Saul, Sarah, che tra poche settimane partorirà il loro primo bambino, è entusiasta: "E' bravissimo". Non capisco: Saul è un ragazzone di poco più di 20 anni, che problemi dovrebbe avere?" Saul, mi spiega Dave "è il sergente Saul Martinez, ha 23 anni e ha perso le gambe in Iraq a maggio dell'anno scorso quando una bomba artigianale è esplosa sotto la sua jeep". Dave Donaldson è uno specialista in terapie ricreative e si occupa di Saul e di un gruppo di soldati in cura al Naval Medical Center di San Diego. "Domenica scorsa" racconta Dave "Saul ha imparato a surfare e con una muta verde, un costume azzurro e rosso pieno di stelle e due nuove protesi fatte apposta per l'acqua, è planato sulle onde del Pacifico". Dave porta i suoi pazienti non solo tra le onde ma anche in canoa, ad arrampicare sulle pareti di roccia, a giocare a golf, a sciare e perfino in cima al Mount Whitney (4421 metri), la più alta vetta degli Stati Uniti se si esclude l'Alaska. Tra i suoi ragazzi c'è chi ha perso le gambe o le braccia, chi in guerra è diventato cieco, sordo, mentalmente ritardato, chi ha continue allucinazioni o soffre di depressione. "Il divertimento - sottolinea - fa parte della cura: la filosofia a cui ci ispiriamo parte dall'idea che il gioco sia un passaggio fondamentale della riabilitazione, come lo è delle nostre vite". Dave fa parte di un equipe di 40 persone che studia e applica protesi d'avanguardia, insegna a camminare con le gambe di titanio su ogni tipo di superficie, ad arrampicare sulla parete artificiale che hanno messo nel cortile, ricostruisce il rapporto con l'acqua nella piscina e poi usa tutte le risorse della California - montagne, deserto e Oceano - come palestra e le tecnologie per creare realtà virtuali che aiutino a ricreare l'equilibrio e il senso degli spazi e del movimento. In questo momento in cura ci sono 40 amputati e un'ottantina di soldati che hanno danni cerebrali o soffrono di quella patologia che viene chiamata stress post-traumatico. Dave non parla della guerra, come non ne parlano Saul e sua moglie, sa solo che oggi l'America deve affrontare il problema di quegli oltre centomila ragazzi che sono tornati a casa ben diversi da come erano partiti. C'è la paura di creare una nuova generazione perduta come fu ai tempi del Vietnam, anche perché i numeri sono spaventosi: oltre 50.000 reduci che avranno handicap permanenti dovuti a lesioni al collo e alla schiena e 75mila a cui è stato diagnosticato il PSTD (Post traumatic stress disorder). In Vietnam i morti furono 58 mila e i feriti 150 mila, oggi la proporzione è completamente diversa, mi spiega Dave, i feriti gravi sono almeno dieci volte di più. Perché il tasso di sopravvivenza di chi viene colpito è del 92 per cento mentre in Vietnam era del 76 per cento. "Non tutti ce la fanno  mi dice Dave "ma io considero la mia missione compiuta quando riescono a camminare per un miglio e a stare in piedi per otto ore; poi c'è la ricostruzione delle facoltà cognitive, molti devono re-imparare le sequenze dei gesti, la capacità di memorizzare e perfino a chiedere aiuto; infine c'è la parte psicologica e qui abbiamo pensato al surf. Il primo passo avviene in spiaggia, quando i ragazzi si mettono in costume e mostrano in pubblico i segni che hanno sul corpo. E' un passaggio difficilissimo ma è l'unico modo per recuperare una socialità e imparare a convivere con le domande e gli sguardi delle persone. Poi c'è l'emozione di farsi portare dalle onde, sentire la forza dell'Oceano, quando escono dall'acqua hanno tutti un grande senso di realizzazione e di autostima. Ho capito che era la strada giusta quando in acqua ho visto sorridere due ragazzi a cui la guerra ha lasciato solo il torso. Era la prima volta che avevano una sensazione positiva". Non appena la notizia che i reduci in riabilitazione facevano surf ha cominciato a circolare, Dave è stato contattato da un gruppo di veterani del Vietnam tutti ormai con i capelli bianchi. Gli hanno raccontato che cavalcavano le onde prima di andare in guerra, negli Anni Sessanta, poi non lo hanno fatto mai più incollati alle loro sedie a rotelle. Hanno chiesto se potevano provare anche loro e ora i reduci delle guerre americane hanno cominciato a surfare insieme, quasi ogni fine settimana. "Se ritorni sabato te li faccio conoscere e se ti va puoi imparare a surfare anche tu: ti insegneranno loro come si fa". Volentieri, ma parto prima, sarà per la prossima volta, gli ho risposto. Peccato, mi sarebbe piaciuto.