La vita che vorrei

Viva la libertà


Raid aerei per sparare contro la folla dei dimostranti. Carri armati in strada e bombardamenti in varie città della Libia. Una carneficina, per farla breve. Eppure non mi è giunta voce di bandiere della pace in piazza: niente manifestazioni, nessun corteo pacifista. Ma com’è possibile, mi chiedo, che non vengano i brividi nel vedere una fiumana di ragazzi che si riversa per le strade del Nord Africa, chiedendo libertà? Va bene il pensiero cinico dominante che deride, vantandosene di farlo, qualsiasi passione ideale, ma come si fa a restare indifferenti ascoltando le voci drammatiche che raccontano di un genocidio in atto alle porte di casa nostra, dove un dittatore pazzo ha fatto sparare addosso alla sua gente da un manipolo di mercenari? Il petrolio, l’invasione, il califfato, il fanatismo religioso: preoccupazioni sensate, certo, ma nell’alfabeto interiore di un essere umano sono tutte parole che arrivano dopo. Prima, viene l’amore: l’amore per la libertà. Non sarà che nel distacco con cui seguiamo gli eventi libici si nasconde un velo di razzismo, che ci induce a considerare gli arabi degli immaturi, privi dei requisiti necessari per iscriversi alla democrazia e quindi da tenere sotto il tallone di qualche dittatore, possibilmente amico nostro? Non vorrei che si faccia strada, anche da noi, il pensiero tipico dei perdenti: che giudica qualsiasi cambiamento altrui un peggioramento della nostra vita. I cambiamenti, invece, sono la vita. E il modo migliore per scongiurare il pericolo di invasioni  e califfati consiste nello schierarsi a fianco dei ragazzi arabi in lotta per la libertà. Aiutandoli a ottenerla dai tiranni oggi e a difenderla dai fanatici domani.