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A Pierlucio e Antonio

Post n°4 pubblicato il 08 Gennaio 2010 da ilmondocheiovorrei

Pierlucio, il motociclista morto per salvare chi stava morendo

Li chiamano eroi e invece sono soltanto uomini giusti, basta un gesto di giustizia per salvare una vita. Pierlucio ne salvò quattro, il 24 marzo 1999, giorno del rogo nel tunnel del Monte Bianco. Pierlucio Tinazzi aveva trentaquattro anni. Aveva una mamma molto malata, costretta sulla sedia a rotelle. Aveva il ricordo di un matrimonio finito e un dolore che mascherava parlando poco. Aveva un corpo lungo e magro: lo chiamavano Spadino per questo. Operaio a Morgex, poi motociclista per la società del Monte Bianco. Separato, senza figli. "Uno come tutti" diceva chi lo conosceva "Uno che si faceva voler bene". Il primo dei camionisti salvati da lui, ha raccontato che era forte nel fuoco, deciso, un uomo: "Ci ha tirati fuori da solo, a forza di braccia, ci ha portati sulla camionetta dei pompieri e poi è tornato indietro. L' ho visto sparire nel fumo". Di Pierlucio Tinazzi è rimasto il suo ultimo giorno vissuto da giusto. E una voce, la sua, incisa sulla segreteria telefonica, "buongiorno, qui è casa Pierlucio, in questo momento siamo assenti". Una voce bassa, con la erre francese. Una voce da uomo tranquillo.

 

Antonio, un giornalista che voleva sentirsi libero

Antonio Russo non apparteneva all'Ordine dei giornalisti, perchè voleva sentirsi libero di raccontare senza veti le realtà della guerra e - diceva - le atrocità che le popolazioni civili erano costrette a subire. Non era tipo da scrivania, Antonio. Era sempre di passaggio. In Ruanda e Burundi durante i massacri hutu e tutsi. In Algeria, quando uomini, donne e bambini venivano sgozzati. A Sarajevo, quando i cecchini freddavano i civili al mercato. In Kosovo, dove rimase, unico giornalista occidentale presente nella regione durante i bombardamenti Nato, fino al 31 marzo 1999 per documentare la pulizia etnica contro gli albanesi kosovari.

Antonio Russo se ne è andato nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2000. In Georgia, dove si trovava in qualità di inviato di Radio Radicale per documentare la guerra in Cecenia. Le circostanze della sua morte non sono mai state chiarite. Il materiale che aveva con sè non fu mai ritrovato. Secondo alcuni suoi amici, Antonio aveva raccolto prove dell'utilizzo di armi non convenzionali contro bambini ceceni.

Antonio Russo era un free-lance. Molto free. Mai un recapito d'albergo: non gli piacevano gli alberghi internazionali per cronisti. Lui cercava un casa per ospitare amici, gente del posto che fosse disposta a raccontare. Per loro e con loro cucinava e beveva. Il suo linguaggio scarno e crudo lo teneva lontano da ogni compiacimento: non c'era narcisismo, ma orgoglio sì e anche tanto. "Senti, Mentana, adesso m'hai rotto il cazzo": pronunciò questa frase il giorno che era circondato da cronisti di mezzo mondo che gli chiedevano a Skopje, l'ennesimo racconto di quella fuga "rocambolesca" - così scrivevano - da Prishtina. C'era ben poco di rocambolesco, aveva paura e basta.

Una ghirlanda di rose rosse, enorme, con una sola scritta: "La mamma". E' stato l'ultimo dono che Beatrice Russo ha voluto fare a suo figlio Antonio, nella chiesa di Santa Maria Maggiore di Francavilla al Mare (Chieti), la città dove Antonio è nato. Assieme alla corona di mamma Beatrice, c'erano quella a fiori variopinti degli amici senegalesi di Antonio e quelle del Partito Radicale e di Radio Radicale. C'era il cuscino multicolore dei Freelance international press. Neppure un fiore dall'Ordine per un collega: non era iscritto. Ma forse ricordo male.

 

 

 

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Commenti al Post:
fedegina
fedegina il 15/01/10 alle 11:42 via WEB
ho la pelle d'oca
 
 
ilmondocheiovorrei
ilmondocheiovorrei il 18/01/10 alle 21:59 via WEB
Viene anche a me, ogni volta che rileggo
 
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Un blog di: ilmondocheiovorrei
Data di creazione: 06/01/2010
 

 

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