maredinverno

Il pescatore delle anime bianche


Damiano era seduto in riva al mare e guardava le onde infrangersi sugli scogni La spiaggia era ormai deserta. Gli ultimi bagnanti avevano, infatti, lasciato i loro ombrelloni colorati di azzurro a causa di un improvviso temporale che si era abbattuto sulle loro teste fumanti. Il cielo grigio, e carico di nuvole minacciose, annunciava la fine dell’estate anche sul volto di Damiano, che non sembrava però accusare nessun segno di insofferenza per quel repentino cambiamento climatico e rimaneva lì imperterrito, con lo sguardo fisso verso quell’immenso specchio d’acqua, spettinato qua e là da folate di vento caldo.  Aveva altro a cui pensare. Erano passate dodici ore da quando si era seduto sopra quelle pietre gelide e informi, e aveva dato inizio ad un lungo viaggio nella memoria, ed era ormai giunto ad un’unica, inevitabile conclusione: niente è come sembra se non conosci fino in fondo anche la tua ombra, il tuo lato oscuro, quella parte di te che rimane sempre nascosta dietro ad un finto schermo di gioia e pazienza. Continuava a pensare a quello che gli era accaduto la notte scorsa, durante lo svolgimento dell’ultimo falò, organizzato come tutti gli anni, insieme ai soliti vecchi amici d’infanzia, per dare l’addio alla Signora Estate. Damiano, per tradizione, si occupava della “bevitoria” e dell’animazione canora e musicale della serata.   Gli amici, infatti, affidavano sempre a lui il compito di acquistare birra e superalcolici, confidando nella sua innata capacità di scelta del prodotto più consono all’abbattimento del “muro di gomma” che le ragazze di turno erigevano, ogni anno, davanti agli occhi dei suoi amici imbranati e stralunati. Inoltre, Damiano sapeva che il colpo di grazia avrebbe potuto inferirlo solo lui, perché in possesso di un arma unica nel suo genere: quella cassa di vino dei Castelli di Francia che i genitori della sua ragazza lontana (che, tra parentesi, nessuno aveva mai visto) producevano personalmente a loro uso e consumo. Bastavano, infatti, due bicchieri di quel nettare color rubino per sciogliere finanche il sangue di San Gennaro. Ed era allora che Damiano incominciava il suo “show” solitario. Si accomodava sulla sua stuoia sdrucita, prendeva un bottiglia di vino (la migliore, perché questa, a differenza delle altre, era l’unica ad essere dolce e frizzante) dal suo zaino, la stappava con disinvoltura, e ne beveva un sorso, giusto per bagnarsi le labbra. Terminato questo sorta di rito preparatorio, imbracciava la sua chitarra “da battaglia” ed iniziava a saccheggiare il suo classico repertorio da spiaggia: principalmente Battisti e Ligabue, con l’aggiunta delle canzoni del momento, che però venivano stravolte nell’interpretazione, tanto da risultare irriconoscibili al primo ascolto. Di solito, dopo pochi minuti, gli astanti cominciavano a dare segni di insofferenza, un po’ per la fame, che iniziava a farsi sentire, un po’ perché Damiano, come al solito aveva iniziato ad intervallare brani famosi ad altri mai sentiti prima. Erano le sue canzoni. Esse erano talmente intrise di malinconia e di tristezza che erano potenzialmente capaci di far calare il buio anche al centro del Sole. Damiano, però, non si curava di nulla, e continuava, imperterrito, a dialogare con la sua chitarra bianca. Quel colore rappresentava in pieno ciò che lui era veramente: un puro, un candido, una palla di neve che non si sporca rotolando giù per la montagna incantata della vita, un filo argenteo avvolto attorno ad un cuore di latte. Perché Damiano era il bianco.   Su di lui, a dir la verità, non si erano mai addossate quelle nubi cariche di insinuazioni pretestuose che, per i suoi compagni, rappresentavano il sale delle giornate estive, trascorse a spettegolare su tutto e su tutti ogni volta che se ne presentasse l’occasione buona. A nessuno dei suoi amici era mai capitato di vederlo mandare sguardi ambigui alle tante ragazze che in quegli anni erano passate su quella spiaggia. Mai un’occhiata d’intesa che potesse far presumere un desiderio latente di un tenero abbraccio che non fosse quello della sua ragazza lontana. Eppure, se solo avesse voluto, avrebbe potuto averne a decine di storie occasionali e senza impegno. Che stupido, pensavano molti dei suoi amici-rivali; che persona seria, pensavano, invece, le sue amiche più care. Eppure, la notte scorsa qualcosa doveva essergli successo qualcosa di imprevedibile. Non si spiegherebbe altrimenti   un comportamento così strano ed insolito. Perché trascorrere tutta la notte, e una parte del successivo giorno davanti al mare, quel mare che lo separava dalla sua ragazza lontana, e che ogni mattina gli rammentava quella assenza, sotto la forma nostalgica di quegli stormi di gabbiani che volteggiavano sopra le teste dei bagnanti di turno, a pochi metri dalla spiaggia? I pensieri di Damiano erano tutti rivolti a ciò che gli era accaduto la sera prima, durante quel maledetto falò di fine estate. Ricordava solo il momento esatto in cui aveva fatto la sua comparsa, davanti al fuoco ardente, una meravigliosa figura femminile, una “pantera nera” che, in un istante durato quanto un battito di ciglia, lo aveva avvinto a sé e portato in riva al mare. Aveva, senza esitazione, abbandonato la sua chitarra bianca, senza riporla nemmeno nella custodia. Non si era curato nemmeno degli sguardi assonnati dei presenti, che, in verità, avevano altro a cui pensare, essendo ormai diventati preda sicura del dio Bacco. Da quel punto in poi, la sua mente era diventata tabula rasa, non possedeva più un immagine, anche sfocata, delle ore successive. Le sue certezze erano crollate sotto i bagliori di una luna inesistente, silente. Stava lì, inchiodato su quel tappeto di pietre bagnate, da troppe ore. Doveva muoversi, decidere cosa fare, cosa dire, come comportarsi con chiunque gli avesse chiesto spiegazioni riguardo alla sua sparizione improvvisa da quell’ultima festa di fine estate. Forse non era più il bianco; forse aveva tradito la sua ragazza lontana; forse, più semplicemente, era un essere umano come tanti, ed era caduto anche lui nella rete dell’invisibile ed invincibile pescatore di anime bianche.