mi dispiace per voi

controcorrente tre


               Come ricordavo anche nei commenti al precedente post, nella rubrica “Controcorrente” mi occupo delle malefatte della stampa italiana, di gran lunga la più insulsa, inutile e, purtroppo per noi, sovvenzionata del mondo. La maggior parte dei nostri quotidiani trabocca di notizie che a definirle idiozie rischi di incensarle; poi ci sono le eccezioni, La Repubblica ad esempio, che raramente indugia sulle banalità e alla quale non mancano raffinate penne ma che si accoda al resto della compagnia in quanto ad omissioni ed indifferenza.              Anche per rassicurare l’affezionato Prontalfredo che ha già bollato alcuni miei post come portatori sani di esagerata indignazione, oggi vi racconto una storia bella, una di quelle che non leggerete mai sulla “Padania”, un racconto che mi servirà, alla fine, per parlare d’altro, un po’ come si faceva una volta alla RAI nella “Pubblicità-Progresso” che oggi, come sempre più spesso succede alle trasmissioni di pubblica utilità, è scomparsa da ogni palinsesto.             Bertilla è una splendida ragazza veneta, bella, simpatica ed autosufficiente. Avrei omesso l’ultimo aggettivo se non fosse stato per la non trascurabile circostanza che Bertilla è anche affetta da tetrafocomelia connatale.             Venire al mondo senza alcun arto o con un parzialissimo sviluppo degli stessi, è un accadimento già di per sé stesso increscioso; essere affidata ad un istituto per orfani dai pavidi genitori naturali non migliorò, di sicuro, la situazione, come sicuramente non la migliorò il restarci per dieci anni, mentre gli altri bambini, quelli biondi e con gli occhi azzurri prima degli altri, trovavano rapidamente una famiglia disposta ad occuparsene. Ma l’angelo custode di Bertilla, da segnalare all’ordine professionale, dovessero averlo anche loro, ben lavorando in merito, le procurò alla non tenera età, per un fanciullo adottabile, di dieci anni, l’incontro che le avrebbe cambiato l’esistenza. Papà e mamma, già genitori di due sanissimi ragazzi e con tutti i requisiti per poterne generare un terzo, senza aver programmato a priori la scelta di una bimba nelle sue condizioni, rimasero folgorati dal suo sguardo e pochi mesi dopo anche Bertilla finalmente conobbe il calore di una vera famiglia.             Presto si avverarono altri sogni: il diploma, il lavoro, una vita sociale assolutamente normale.             Solo l’ultimo desiderio rischiava di rimanere un miraggio: Bertilla voleva guidare, liberare i genitori, ormai pensionati, dalla quotidiana necessità di accompagnarla ovunque. La montagna da scalare era elevatissima. In Germania i dispositivi idonei c’erano già ma costavano quanto un transatlantico e per conseguire la patente avrebbe dovuto prima trovare una residenza teutonica e trasferirsi per parecchi mesi… In Italia la normativa era alquanto fumosa e dentro questo fumo si nascondevano facilmente i primi funzionari consultati.              Quando mi venne a trovare e grazie ad alcuni estemporanei dispositivi, adattati allo scopo sul momento, capimmo che la cosa era fattibile, la vidi piangere in silenzio. Mi confessò che non le succedeva dal giorno dell’adozione e definì quel momento come l’inizio della sua terza vita.             Non fu semplice; l’iter burocratico e la ricerca dell’officina in grado di realizzare quanto avevamo progettato insieme, durarono parecchi mesi ma alla fine, e non senza altre lacrime di gioia,  la patente di guida si aggiunse alle sue storiche conquiste.             Bertilla aveva spalancato una porta: oggi quei dispositivi sono omologati, nessun funzionario si sognerebbe di ostacolare il rilascio della documentazione necessaria. Ma se quella di Bertilla è una storia a lieto fine, non riesco nemmeno lontanamente ad immaginare quanti ragazzi, nelle sue condizioni o addirittura con minori problemi, non potranno mai accedere allo stesso diritto solo per mancanza di informazione, perché non immaginano nemmeno quanto reale e concreta sia questa possibilità.             Qualche anno fa, organizzando il mio ultimo convegno, invitai un giornale ed una rete televisiva locale perché riprendessero la notizia a tutto vantaggio di chi era ancora all’oscuro delle soluzioni pur avendo lo stesso problema. Entrambe le testate mi chiesero un compenso che, essendo assolutamente al di fuori del budget dell’evento, non riuscii in nessun modo a versare. Quel giorno, lo ricordo quasi fosse ieri, quel quotidiano uscì con la notizia (in prima pagina!) della gita di Sarkozy e Carla (con l’accento sulla “a”) a Disneyland con il figlio di lui o di lei o di chissà chi…