mi dispiace per voi

Il sorriso di Benny


               Benedetto Petrone è, nella memoria di mia madre, un dolcissimo, quasi surreale, ragazzo di 18 anni; nei miei ricordi di bambina, una valanga di lacrime nei suoi occhi. Benny viveva a Bari, anzi a Barivecchia che poi è tutta un’altra cosa e spero che il mio amico Ottimista ve ne parli meglio di me. Faceva l’operaio da quando in famiglia era stato ben chiaro che i soldi per l’università non c’erano; era un militante comunista e l’anima più generosa fra quelle che, in quegli anni poi ribattezzati “di piombo”, potevi incontrare nei vicoli della città già deserti dopo il tramonto. Anni terribili ma con il pregio della chiarezza. Allora i comunisti erano comunisti e i fascisti, fascisti. Di giorno ci si confrontava in fabbrica o fra i banchi di scuola, la notte ci si picchiava nei quartieri di periferia. Benny era, e l’accadimento avrà nella storia la sua importanza, un ragazzo disabile, nato prima che la vaccinazione antipolio di massa fosse riuscita a debellare il problema. Quel 28 novembre 1977 i fascisti erano in tanti, i compagni solo tre. Uno sparì subito, il secondo, prima di essere accoltellato a sua volta, fece in tempo a vedere Benny morire sotto i colpi di chi, ben conoscendolo, non aveva avuto pietà né per i suoi anni, né per la condizione di disabilità che lo rendeva inerme ad ogni possibile difesa. Una storia fra le tante che possono raccontarci i parenti che c’erano e le cronache in bianco e nero della televisione di stato.Una storia diversa però, più triste di tante altre ma anche esaustiva per chi, non avendoli vissuti, poco sa di quei giorni.Una storia, infine, dimenticata; un ragazzo ucciso due volte e non è solo un modo di dire.L’indomani, a Torino, finivano i giorni di Carlo Casalegno, conosciuto ed apprezzato giornalista metropolitano; pochi mesi dopo quelli di Aldo Moro e della sua scorta.  Alla famiglia di Benny regalarono un colpevole di comodo, tale Franco Piccolo, subito dato per fuggiasco, ricoverato nei manicomi di mezza Europa e poi morto suicida in un carcere italiano. Dei tanti camerati con lui in piazza, nessuna traccia. Erano partiti da una ben nota sede barese del MSI ma tanto non bastò a far emergere altre, evidentemente scomode, verità. A Benny, di recente e solo grazie al Presidente Nichi Vendola, è stata dedicata una strada; alla sua storia solo poche parole. Poche altre ricordano lo stile di Enrico Berlinguer, il sacrificio di Antonio Gramsci, le lotte di Giuseppe Di Vittorio…             I nostri giorni hanno scelto altri eroi; il sorriso di Benny è stato sostituito dalle volgari risate che da Palazzo Grazioli hanno invaso la penisola, in fabbrica si ammirano solo i maglioni di Marchionne e nelle università, nella migliore delle ipotesi, l’unico urlo udibile è “forza Roma”. Fra poco si vota; mi piacerebbe che nelle cabine elettorali ci accompagnasse il ricordo della generosità di Benny, della concretezza di Luciano Lama, dell’onestà intellettuale di Enrico Berlinguer, della serenità di Nilde Iotti. Nei sogni più belli mi spingo oltre, ad immaginare tutti i mercanti fuori dal tempio ma purtroppo, desolatamente e irrimediabilmente, non si intravede all’orizzonte nessun Gesù in azione. Chiudo ancora gli occhi e ritorno a quegli anni in bianco e nero… Che bello sognare!