mi dispiace per voi

L'Italia che vorrei


L’Italia che mi piace ha il volto pulito di Laura Boldrini, la sua voce rassicurante, il suo sguardo lontano, il suo nitido profilo. Non a caso viene dal mondo, nulla a che vedere con le nostre beghe di bottega; altra classe, altri ideali. Mi rassicura la circostanza che entri in un organismo malato ma che non ha ancora sviluppato gli anticorpi necessari per annullare tale raro bacillo.             Colui che ormai predica come Il più politicante fra i politicanti, il barbuto Savonarola del 2000, l’ha già bollata come la foglia di fico del PD. Ne avessimo di simili foglie! Ci rivestirei il mondo intero con il manto che si usa quando fa freddo e c’è poco da scherzare, i brividi non ti fanno ragionare, bisogna rimboccarsi le maniche, coprirsi bene e uscire fuori perché comunque c’è tanto da fare; poi però incroci uno specchio e non puoi fare a meno di notare quanto questo soprabito sia bello ed elegante.             L’Italia che vorrei al Quirinale ha il sorriso di Tina Anselmi, la sua storia di ragazzina staffetta partigiana, il suo passato di prima donna ministro della Repubblica, la tenace volontà delle venete che da sole - mariti in miniera in Belgio, bimbi da tirare su, macerie da sgomberare - hanno silenziosamente ricostruito il Paese, ancor più degli strombazzati industrialotti d’assalto o dei politicanti da Segreteria Politica.            Il giorno che l’ho conosciuta sceglieva personalmente, uno ad uno, i pomodori per il sugo al mercato rionale della sua Castelfranco. La sua stretta di mano fu rapida e ferma, come quella di chi fa solo le cose che gradisce e nel tempo che serve. A casa l’attendevano sicuramente una pentola sul fornello e un messaggio a cui rispondere…            Si ritirò a vita privata nella sua casetta, allora fra i campi, oggi nel cuore di un nuovo quartiere, quando aveva ancora l’età che ad altri colleghi avrebbe ispirato assalti al calor bianco per un posto da sottosegretario: quel sottobosco non le piaceva più.             A scuola ci hanno parlato anche di Cincinnato; peccato poi ci si ricordi solo di Giulio Cesare.             C’è un’altra Italia che adoro, quella che non ha diritto di parola, non si fa eleggere in Parlamento per meriti acquisiti via web o grazie al chirurgo plastico ma che poi, con un semplice sguardo, ti dice tutto.             Concetta parla poco, tace persino nelle riunioni di condominio quando c’è da decidere se sostituire l’idraulico truffaldino. Non parla nemmeno mentre insieme attendiamo, davanti ad un televisore, le prime parole del nuovo Papa. Non parla ma so cose gli chiederebbe se per uno di quei miracoli che avvengono solo al cinema potesse avvicinarlo e se, miracolo ancora più improbabile, riuscisse a vincere quella atavica timidezza dalle ben note origini: gli chiederebbe perché il parroco non l’ammette ai Sacramenti e da un po’, quando la trova a pregare da sola, nemmeno in chiesa. In effetti la risposta la conosce già ma la spiegazione è cosa diversa: incomprensibile, indigeribile. Concetta ha superato da un pezzo i sessanta, non le attribuisco un gran numero di ormoni del desiderio in giro a far danni e non credo frequenti parrucchieri ed estetisti da parecchi mesi. Convive, vedova com’è da vent’anni, con un uomo libero e l’anziana suocera, paralizzata a letto da quando la conosco. Si amano di un amore visibile all’occhio più distratto, non possono sposarsi per questioni di pensione che non ho mai ben compreso ma credibili alla luce della sobrietà della vita che conducono.            Tanto basta per precluderle la porta del confessionale e l’accesso ai Sacramenti. Ne soffre tanto, non lo dice ma si percepisce. Ne soffro anch’io, per lei e per me, pallida praticante ed ingenua quarantenne che, novella Alice, ancora riesce a meravigliarsi delle ingiustizie di questo Paese e del suo satellite nel cuore di Roma, dove non si nega mai un posto in prima fila nelle udienze generali al puttaniere di Arcore e si licenzia senza alcun tentennamento il direttore del quotidiano di famiglia al primo timido e nemmeno troppo convinto rimbrotto al Cavaliere.             Gli occhi di Concetta si inumidiscono quando arriva il primo storico “buonasera”, inventa una scusa, va via. La immagino mentre scende le due rampe, apre la camera della suocera per vedere se tutto va bene, va a letto sperando che il sonno arrivi. Domani è un altro giorno e c’è tanto da fare: pensare alla casa, alla nonnina invalida, al suo pezzettino di mondo da portare sulle spalle.             Ne avessimo di spalle così…