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Agli esami

Post n°18 pubblicato il 19 Settembre 2012 da marina3210

          

Tutto vero, lo giuro. Agli esami capita di ascoltare anche questo. Anzi, nello scrivere questo post ho avuto il problema di scartare qualcosa, in particolare qualche assurdità comprensibile solo agli addetti ai lavori o, mi sembrava più corretto così, gli strafalcioni ascoltati dagli stranieri, largamente giustificati dalla minore conoscenza della lingua.

Ad un certo punto poi ho deciso di fermarmi perché da un post non venisse fuori un romanzo d’appendice. Tutto vero, ribadisco. Qualcuno ne riderà, ad altri, magari, spunterà un sorrisetto necessariamente amaro. Senza alcun intento sociologico e tenendo a bada ogni possibile dietrologia, vi presento un campione dell’Italia d’oggi …

 

Parte prima: “In caso di incidente…” - Neologismi e consigli (d’autore) pratici.

  • Bisogna controllare il numero e la gravidanza dei feriti (A. L. maggio ‘09).
  • Mettere il collo dei feriti in ipertensione (C. C. novembre ‘11).
  • Per vedere se un infortunato è cosciente occorre mettergli un dito nella retina [Oddio!] (anonimo, marzo ‘11).
  • Per far rinvenire una persona svenuta si devono somministrare dei barbiturici. (M. F. maggio ‘12).
  • Per controllare se un infortunato è cosciente gli apro le pupille. (Non ho annotato il nome, escludo, ma solo per motivi anagrafici, fosse un reduce della seconda guerra mondiale; l’ho dovuto bocciare ma per farmi perdonare l’ho segnalato a Dario Argento).
  • In caso di insufficienza respiratoria controllo se l’infortunato non ha, per caso, inghiottito la gola (M. P. agosto ‘12) [A sua parziale discolpa posso solo dire che è stato un agosto particolarmente caldo…].
  • Nelle fratture esposte si deve coprire la ferita perché il sangue è ancora molto caldo. (A. P. gennaio ‘09).
  • L’infortunato presentava un eminente arresto cardiaco (F. C. novembre ‘10).
  • Non bisogna stringere troppo il casco, perché in caso di caduta potrebbero rompersi le “corde cervicali” (P. P. luglio ‘11).
  • Un conducente assonnolato può creare problemi alla circolazione. (F. M. giugno ‘08).
  • Per questo non bisogna esagerare con la “limentazione” [Sempre lui, il nostro F. M. L’esame era scritto quindi escludo problemi di pronuncia. Per i neologismi spero non pretenda i diritti d’autore …].
  • La sospensione della patente può essere richiesta nei casi di alcolismo a discredito del Prefetto [ndr: nella nostra regione il discredito del Prefetto aumenta a dismisura nei fine settimana]. (P. A. ottobre ‘10).
  • La respirazione bocca-naso è più efficace di quella bocca-bocca perché l’aria va direttamente nei polmoni senza passare prima dallo stomaco [ndr: a meno che l’aria non sia munita di un navigatore aggiornato che la conduca rapidamente alla meta…]. (L. N. febbraio ‘09).
  • “Hanno accertato con l’analisi del sangue che avevo valori sogliola per l’uso di alcool”. [Confermo: l’alito puzzava di pesce] (P. C. gennaio ‘12).
  • “Nei seguenti casi la patente si rievoca  (sempre lui, il nostro P. C. preferito).
  • Per emorragia si muorisce in fretta. (G. D. dicembre ‘11).
  • Nei casi di svenimento l’infortunato viene posto con gli arti posteriori sollevati. [No, non credo faccia il veterinario…]. (B. A. luglio ‘10).
  • In caso di incidente si soccorrono prima le persone castrate in auto. [Poverini, almeno questo…]. (B. M. ottobre ‘11).
  • In caso di arresto cardiaco devo agire in fretta e a 365° [Né uno di più, né uno di meno, mi raccomando…]. (M. N. luglio ’09).
  • “In caso di incidente con feriti bisogna informare l’ospedale più vicino delle condizioni del soccorritore” [Testuale, era un esame scritto!]. (L. P. gennaio ’12).
  • Nella cassetta pronto soccorso occorre ci sia dell’acido emostatico, ottimo in caso di emorragia. [Anche in questo caso ho immediatamente segnalato il candidato a Dario Argento]. (P. D. marzo ‘09).
  • Un ostacolo possibile nella respirazione bocca a bocca, è costituito dal nodo alla gola. [No, non credo si riferisse alla cravatta…]. (M. D. aprile ’10).

 

Mi fermo, più per stanchezza che per mancanza di materiale.

Si ride? Si piange? Dichiaro aperto il televoto…

 

 
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controcorrente due

Post n°17 pubblicato il 05 Luglio 2012 da marina3210

                      Ve lo avevo promesso, eccolo il post sulle vacanze intelligenti di alcuni italiani, quelli "che possono" e che, a raccontare di averle passate a Jesolo, ci perderebbero la faccia, il sonno e forse anche la tessera della P2.

 

          Anche per questo secondo “Controcorrente”, traggo spunto da una notizia proveniente dall’India, dove ormai, e ne è stato buon testimone il mio affezionato lettore “Ottimista”, quando sentono parlare di italiani, cominciano a cercare le parole più adeguate ad un commento fra quelle che i parenti immigrati da noi usano in funzione della latitudine: mona, pirla, babbu e sinonimi del caso.

 

          In India, si diceva, più o meno negli stessi giorni in cui i due eroici marò salvavano l’occidente, e forse l’intero creato, dalla terribile minaccia costituita da un peschereccio nelle acque territoriali del proprio paese, altri due…(come definirli? Boh, per loro anche “eroici” mi sembra poco), in tour turistico in una regione popolata da indigeni affamati e guerriglieri armati, andavano incontro alla sorte più prevedibile in casi del genere: il classico rapimento-lampo con ancora più prevedibili conseguenze:

  • Sconvolgimento dei palinsesti televisivi per comunicare l’evento al mondo; notizie sulla crisi e sul pagamento dell’IMU, degradate al rango di inutile riempipagina (ce ne fossero di rapimenti, vero Presidente Monti?).
  • Rinvio della canasta serale del ministro Terzi (mi perdoni Eccellenza, continua a sfuggirmi il titolo di casata, ma sa, ho una certa età), in conseguenza dell’immediata convocazione del Consiglio di Stato, di Guerra, Servizi Segreti e, il prezzemolo non deve mai mancare, di Bruno Vespa che, per non sapere né leggere né scrivere, ha già commissionato telefonicamente un plastico del Subcontinente Indiano.
  • Reperimento dei fondi (nostri) necessari per la risoluzione del problema e la conseguente sublimazione dei risolutori. (Come si agisca in questi casi lo sanno anche i bulletti delle scuole elementari che sequestrano la merendina del compagno di banco per investire il riscatto nelle slot del bar sotto casa). 

        Non sono una moralista, so benissimo che esistono modi peggiori per vivere e trascorrere le vacanze. Potrei raccontarvi di quell’industrialotto con pancetta e parrucchino (no, che avete capito, una volta tanto non ce l’ho con il Silvio, è solo un mio utente), che non sopravvive più di dodici mesi senza un safari in Africa con cattura, e naturalmente uccisione finale, di un elefante: “tutto regolare, per carità, abbiamo i necessari permessi del governo locale, e poi, lei non sa dottoressa, che danni provocano alle popolazioni locali gli elefanti” . No, infatti, non lo so. So invece quanto ci camperebbero le popolazioni locali con i costi di quel viaggio, quota di partecipazione singola, in euro, a quattro zeri.

       

        No, non sono una moralista e so benissimo che anche chi le ferie le passa a Fregene può avere il cadavere della mamma sezionato nel congelatore di casa e chi vola in Indonesia a caccia di minorenni, essere un silenzioso devoto di Madre Teresa. Lo so. Ma un attimo moraleggiante, giunta come sono al diciassettesimo post, stavolta me lo ritaglio; ve lo dico usando un perfetto italiano, quello di Dante Alighieri: questi “turisti” con la carta di credito a 5 stelle, le Nike da tredicesima di un bidello, le Nikon formato cannone, il telefono satellitare per le emergenze o, se Dio la manda buona, per la mamma, la moglie e l’amante, che scorazzano per le foreste fotografando miserie, mi stanno sulle scatole!

 
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controcorrente

Post n°16 pubblicato il 19 Giugno 2012 da marina3210

     Non amo discutere della cronaca; mi diverte, piuttosto, osservare i commentatori che, da ogni pulpito possibile (carta stampata, talk televisivi, bar dello sport) entrano a gamba tesa sugli eventi sguazzando, vistosamente a proprio agio, fra triti luoghi comuni e servilismi ben remunerati con una superficialità tanto evidente quanto indisponente.

 

       Un esempio? L’omicidio (tale è, inutile barare con le parole) di due sventurati pescatori indiani è diventato per tutti “il caso dei due marò italiani”.

 

       Fiumi d’inchiostro hanno riempito i giornali sulla competenza per le indagini, la sistemazione degli eroici militi, le famiglie in ansia. Di loro sappiamo tutto, dai nomi alla dieta prevista in queste terribili giornate; fossero state due ragazze, non sarebbe mancata nemmeno la misura del reggiseno. Delle vittime, invece, nulla. Nemmeno uno straccio di nome, un volto, una sintesi di vissuto quotidiano. “Due pescatori” basta ed avanza. Indiani poi…

 

       Proviamo, per un attimo, ad immaginare la stessa storia al contrario, se, tanto per dire, fosse stata la scorta armata di un natante indiano a sparare su un peschereccio di Mazara a poche miglia dalle coste italiane. Provate a chiudere gli occhi ed immaginare l’editoriale del TG5 o della buonanima di Emilio Fede: roba da oscurare un parto gemellare contemporaneo delle ultime due veline!

 

       Ma tant’è… Le ultime rassicuranti notizie parlano del loro trasferimento in un centro più idoneo a due occidentali, in attesa dell’evento del secolo: il loro trionfale rientro in Italia, per il quale si sta instancabilmente spendendo, come nemmeno per gli eccidi governativi in Siria, il ministro Terzi (mi scusi Eccellenza, non mi sovviene il Suo titolo nobiliare che da sempre l’accompagna).

           

       Capisco il campanilismo e trovo divertente quello calcistico ma in questo caso, credo, si sia toccato il fondo.

 

       E che dire della vicenda del comandante Schettino?  E di quella di altri due eroici italiani, i turisti in eccitante tour, India anche in questo caso, in una zona di fame, miseria e guerra civile, con i loro cannoni Nikon che ci sfameresti una tribù per dieci mesi? Niente, per ora, ma con un prossimo post…

 
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Forse sarebbe meglio pensarci.

Post n°15 pubblicato il 04 Giugno 2012 da marina3210

      Quando l'ultimo albero sarà stato abbattuto, l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.

 
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Parma e Peggy

Post n°14 pubblicato il 01 Maggio 2012 da marina3210

     Questa è la storia di un’amicizia, la migliore fra quelle che mi vengono in mente per ricordare un bell’esempio di amicizia.

     Vidi per la prima volta Parma nelle mani di un gruppo di ragazzini mentre cercavano di piazzarla ai passanti, nell’atrio della stazione di Parma.

     Sebbene il suo faccino fosse accattivante e decisamente carino, passai oltre senza indugi, pensando che Veronica, il cane di casa, non avesse mai visto un gatto e che la fine più probabile dello stesso non sarebbe stata molto diversa da quella (ingrata) di un peluche chi gli avevo regalato. Quando però ad uno dei teneri momentanei proprietari venne in mente di testare la resistenza a trazione della coda, svanì ogni mio dubbio: pochi minuti dopo la gattina viaggiava da clandestina tascabile in un convoglio di coda del “Regionale” delle 19.30.

     Con Veronica fu amore a prima vista, subito condito da abbracci ed effusioni variamente assortite che durarono finchè le crescenti dimensioni del cane lo permisero.

     Incontrai Peggy mentre vagava disperata nel parcheggio di un centro commerciale che, come capita frequentemente ad agosto, era quasi più frequentato da animali abbandonati che da vetture in sosta.

     L’avere avuto, di sicuro, fra i suoi antenati, un micio persiano, mi suggeriva il nome “Persia” ma a qualcuno in famiglia piaceva di più “Gigia”. Peggy mi sembrò un accettabile compromesso.

     Anche in questo caso fu amore istantaneo. Le due gattine, casualmente coetanee e da subito inseparabili, riempirono casa come non avrebbe, meglio, potuto fare nemmeno un uragano tropicale trovando l’uscio aperto.

     Raccontare un anno passato insieme, splendido e breve, tremendamente breve nei miei rimpianti, trasformerebbe questo post in un prolisso romanzo e non mi sembra il caso. Ma non potrei giustificare la premessa senza raccontarvi come, a breve distanza, si salvarono, a vicenda, la vita.

     Una sera, rientrando, vedo Parma distesa, apparentemente esanime, sulla strada davanti casa. Mi rincuorò il sentirla calda anche se immobile ed assente. Quella notte, e per la prima volta, Peggy andò a dormire nel cestino dell’amica e, mi commuovo mentre lo scrivo, dal giorno dopo iniziò in mille modi ed instancabilmente, a stimolarla (per trovare termini più appropriati dovrei consultare un’enciclopedia medica), fino a quando l’altra, lentamente, non ritornò alla completa normalità.

     Qualche settimana dopo, in giardino, occupandomi dell’orto, sento miagolare Parma, come mai fino ad allora, mentre, circostanza ancora più strana, sembrava indicarmi con lo sguardo un punto ben preciso del cortile del mio vicino ed accennare ad incamminarsi verso lo stesso punto, rallentando solo per aspettare me. La seguo. Vedo Peggy letteralmente “incollata” al pavimento dopo aver strisciato su una delle tavolette-trappola che l’ineffabile Carlo continuava a preparare per i suoi topolini.

     Quella sera l’orto ha dovuto fare a meno di me ma alla fine, grazie ad un bel po’ di olio d’oliva, solvente adatto per quella colla, e sempre sotto lo sguardo attento della gatta-sentinella, riuscii nell’impresa di liberare completamente la sua amica.

     Uno ad uno, mi veniva da pensare, fosse stato un incontro di calcio.

     Quando Peggy morì pochi mesi dopo sotto le anonime ruote dello Schumacher di turno, Parma, per giorni e giorni, continuò a cercarla nei posti consueti, miagolando alla luna come mai fino a quel momento.

     Purtroppo nemmeno la sua vita fu lunga. Poche settimane dopo, vittima delle frustrazioni di qualche cacciatore impotente e dell’ignoranza di un veterinario, ci lasciò anche lei.

     Dopo di loro arrivò Antonietta, poi Vito (trovato in un cimitero, come altro avrei dovuto chiamarlo?), Bianca, gattina completamente nera, ed infine i 17 meravigliosi anni con il vecchio But.

     Tante storie belle, fra mascalzonate che solo da un gatto potresti aspettarti e insospettabili momenti di tenerezza. Mai però nulla che potesse, solo lontanamente, ricordare un’amicizia da additare ad esempio anche al genere a cui apparteniamo, qualora un giorno decidessimo di scendere dal pulpito che abbiamo costruito per salirci sopra e sentirci alti, come da sempre usano fare i nani.

 

 
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quello che resta

Post n°13 pubblicato il 16 Aprile 2012 da marina3210

Ci sono nella nostra esistenza migliaia di incontri, il più delle volte inconsistenti quanto un alito di brezza.

Conosci persone con le quali condividi anni di quotidianità senza che lascino alcuna traccia nel tuo essere.

Ti imbatti, prima o poi, nelle tempeste di un rapporto tormentato che nulla lascia come prima ma che per esistere deve continuamente nutrirsi di qualcosa, piantare solide radici nella tua anima, frugare fra gli ormoni, annullare orgoglio e ragione.

Ascolti, anche per interi lustri, cattedratici pedissequi ripetitori di trite e ritrite teorie, aspettando ansiosamente il giorno dell’esame per un saluto che suoni diverso da un arrivederci.

Arriva, infine, il giorno in cui invece ti chiedi chi sei, come sei giunto ad esserlo, chi devi, nel bene o nel male, ringraziare.

Passare buona parte della giornata guidando, sollecita facilmente elenchi e riflessioni. Eccola la mia personalissima lista, partorita fra un casello e l’altro di un’autostrada che ormai di me conosce ogni sentire, più di quanto io ne conosca stazioni di servizio e svincoli. L’ordine è assolutamente casuale; son ricordi che fermo sul foglio così come vengono, consapevole che magari domani la classifica sarà già diversa.

 

Avevo tredici anni o poco meno e un’educazione a senso unico (cattolica e moralistica con muse ispiratrici quali Raiuno, Festival di Sanremo e biblioteca selezionata da mamma-maestra). Un pomeriggio qualsiasi di un giorno che vorrei tanto segnalare ai futuri biografi, mi imbatto in un programma di quelle che, allora, erano note come “radio libere”. Lui, e chi può dimenticarlo, si chiamava Onofrio; il suo programma, titolo scopiazzato da una vecchia trasmissione della RAI, “L’Altro Suono”.

Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè, Claudio Lolli, Roberto Vecchioni…

Un ciclone di emozioni e di riflessioni spalancava una finestra chiusa al mondo. Credo davvero di aver incrociato per la prima volta arte e poesia e di non essermene più staccata. Ma, ed è ciò che più conta, volgevo lo sguardo verso mondi che non mi appartenevano: quello del disagio sociale, degli Ultimi (negli splendidi ritratti di Fabrizio de Andrè), della inconcludenza di un certo tipo di vita (l’angoscia metropolitana di Claudio Lolli), dei luoghi comuni sputtanati e derisi dalla colta ironia del grande Guccini. (Ahimè, sapessi linkare…).

Credo di poter attribuire ad Onofrio qualche insufficienza scolastica ma anche innumerevoli meriti in quella che una volta usavano chiamare “formazione”.

Ovviamente non mi leggerà mai; questo abbraccio resterà tanto caldo quanto virtuale.

 

Rosetta Moncada era una prof. vecchio stampo (un giorno spiegava, il successivo interrogava …) ma preparata come poche. Un dì ci “consigliò” un libro.

Per qualche genitore eravamo troppo piccole per il “Mastro don Gesualdo” e in effetti le prime pagine scorrevano lente. Poco dopo però la storia ti conquistava e la scrittura del Verga ti faceva capire che un romanzo non è solo quel castigo divino che ti tocca riassumere per evitare un brutto voto ma un sottile e irrinunciabile piacere. Ti accompagnava in un mondo di inganni ed ingratitudini variamente assortite che non conoscevi e avresti volentieri tenuto fuori l’uscio ma che, una volta note, potevi ragionevolmente contrastare.

 

C’è una bambina nel mio cuore, un piccolo gigante che non potrò più vedere se non in fortuiti incontri stradali, complice un semaforo troppo spesso spietatamente verde.

Non gioverebbe cambiar casa evitando i percorsi comuni. Come fai a dimenticare chi ti ha insegnato a voler bene senza che ce ne sia un motivo preciso, un obbligo parentale o il traino potente di un istinto primordiale ma umanissimo quale quello sessuale?

L’amore per un bimbo non può camuffarsi con nient’altro, nascondersi dietro l’attrazione, nutrirsi di convenienza. Quando c’è, c’è!

Quando non puoi più disporne, recuperarlo, perché altri hanno deciso così, il vuoto è indescrivibile, il dolore impareggiabile. Resta la felicità però di averlo conosciuto questo sentimento, di aver capito che in ognuno, magari ben nascosto, esiste anche questo genere d’amore, poco cantato ma che ti eleva senza limiti.

 

Il mio gattone grigio vive i suoi ultimi giorni. Non credo che nessuna persona a me vicina abbia mai mostrato in pari quantità e contemporaneamente, nella sua lunga vita e nel momento del dolore, orgoglio, dignità, affetto, solidità, personalità… Mi manca già; è un ricordo indimenticabile anche mentre abbasso lo sguardo dalla tastiera vedendolo ancora dormire, nella sua cesta ai miei piedi, il sonno di chi ha già dato.

 

Zio Alfredo, quando si ripassava insieme la lista delle parolacce da non dire, o perlomeno mai a scuola, non mancava di aggiungere che anche “non ci riesco” è una parolaccia… “tu puoi riuscire a fare tutto piccolina bella…”.

Beh, il pulpito era autorevole considerando che era ritornato a piedi dalla Russia, sfidando pallottole e ghiaccio.

Quante volte mi ha aiutato quella frase, quante volte ha evitato che consegnassi un compito universitario in bianco o che rinunciassi a priori a conoscere chi mi piaceva.

Della Russia mi parlò solo una volta, non amava compiacersene; l’altra cosa che mi resta di lui è proprio questa: il valore di un’impresa non dipende dai fiumi di parole che dopo la accompagnano.

 

Le svolte importanti, non sempre dipendono da un bel gesto o da un saggio esempio.

Un giorno vengono a trovarmi in ufficio due utenti: un padre con un ragazzo disabile. Il padre, ad alta voce ed incurante della circostanza che anche il figlio ascoltasse, mi implora: “la scongiuro, mi aiuti, sono stanco di portarmelo in giro”. Lessi nel volto, perfettamente consapevole, del ragazzo tutta l’umiliazione che può provare un essere umano retrocesso, suo malgrado, al ruolo di pacco postale.

Quel giorno e per sempre capii quale parte del mio lavoro avrei privilegiato, almeno fino a quando burocrazia ed ignoranza di capi e capetti me lo consentiranno.

 

Non amavo internet e alimentavo la mia diffidenza verso chat, blog e compagnia bella, citando tristi storie originate dalla rete o il pericoloso populismo senza filtri di un Beppe Grillo.

Non so seguendo quale traccia, in una notte di noiosa insonnia, mi imbatto in un blog gestito da due ragazze, Sara ed Erba.

Mille film hanno raccontato di un colpo di fulmine; il mio fu da manuale. Un nuovo linguaggio, una scrittura ironica e dissacrante qualunque fosse l’argomento, una impalcatura intelligente, retta da due gambe efficacissime in quanto diverse e perfettamente incastrate fra di loro. Altrettanto validi molti dei commentatori, con buona pace di chi, e continuo a cospargermi il capo di cenere, pensava che la rete fosse frequentata solo da perditempo sgrammaticati.

Poi un romanzo, “Smetto Domani”, letto mentre il mio personale dolore toccava l’apice e quello della protagonista si arrampicava su sentieri diversi dal mio ma visibili ed a tratti convergenti.

“Dicono che tutto ciò che stiamo cercando, sta cercando anche noi e che se rimaniamo quieti ci troverà”.

Grazie Sara.

 

E grazie Onofrio, Rosetta, But, Corina, Alfredo… piccoli, grandi incroci della vita che riconosci solo quando, finita l’illusione di essere tu a condurre il battello, ti accontenti di aver avuto degli splendidi compagni di viaggio.  

 

 

 
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eccomi

Post n°12 pubblicato il 15 Aprile 2012 da marina3210

Eccomi e, come si suol dire, dove eravamo rimasti?

 

Agli auguri per il nuovo anno, se vista e memoria non mi ingannano.

 

Perché ad un certo punto si smetta di scrivere, è difficilmente spiegabile, quasi quanto capire perché un bel giorno, pur potendo scegliere fra centinaia di ottime letture, si decida di invertire i ruoli e creare un blog.

 

Voglia di esserci, naturalmente. Sognare ad occhi aperti di poter influenzare millesimi di quella che una volta si chiamava “opinione pubblica”. Meditare sulla primavera araba, impossibile anche soltanto da immaginare senza il determinante contributo del web; ricordare, non senza riderne fra te e te, che ogni valanga nasce pallina.

 

“Esserci” scrivendo è comunque un modo diverso da tutti gli altri possibili sin da quando, volenti o nolenti, ci spadellano sul comune pianeta e ti trovi a condividerlo con compagnie che, potendo, avresti accuratamente evitato.

 

Poi un bel giorno ti chiedi, dopo aver finalmente deciso il perché, anche “per chi” scrivi… Per te stesso, probabilmente, per capirti meglio usando il pretesto di raccontarti ad altri. Ma è anche ben evidente che comunque “gli altri” devono esserci, pochi o molti non conta, acculturati o sgrammaticati ancor meno, ma quantomeno attenti, questo si.

 

Mi piaceva scrivere, adoravo rispondere ai commenti. Uno l’aspettavo più degli altri…

 

Rieccomi allora, la voglia di raccontarmi è tornata, un po’ di tempo vedrò di recuperarlo qua e là.

 

Tre mesi e mezzo da commentare non sono pochi, un post non basterebbe, mi dispiace per voi, eccone tre…

 

 
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buon anno, buon anno...

Post n°11 pubblicato il 01 Gennaio 2012 da marina3210

Buon anno, buon anno …

     Gli auguri, ineluttabilmente, non si negano mai a nessuno. All’amico di sempre che del nostro sentire non avrebbe alcun dubbio, come al distratto conoscente a cui non avremmo mai pensato senza quel fortuito incontro. Auguri sinceri o ipocriti, spontanei o studiati, scontati o intelligenti, abbondanti e a buon mercato. Politicamente corretti e stucchevoli come poche altre cose al mondo ma inevitabili come le code a ferragosto e il ciondolo portachiavi nell’uovo di pasqua.

     Inevitabili dicevo e allora eccomi qua, da buona padrona di casa, a salutarvi insieme a questo 2011 che avrà avuto tutti i difetti salvo quello di dividere gli osservatori: credo davvero che saranno in pochi a rimpiangerlo.

     Buon anno allora a chi invece ne conserverà un buon ricordo, magari lieto di non essere finito nella rete di Monti, degno esemplare di quegli eletti che, “si, dovrebbero anche pagare ma, sapete, è difficile scovarli e poi noi dobbiamo fare in fretta …”.

     Buon anno a chi, al contrario, non ha mai problemi a farsi trovare, in un’aula dove, da precario ventennale, doma 35 bimbi di 7 diverse nazionalità, o in una fabbrica pronta per l’ennesima chiusura, mentre trema pensando al dopo.

     Buon anno a Lavitola e compagnia bella; difficilmente avranno bisogno di una mano dal fato: si aiutano benissimo da soli. Inutile anche augurare loro un buon tempo: magari quelle latitudini le avranno scelte pensando proprio ad un’estate senza sorprese climatiche, e noi tutti a malignare... Non cambieremo mai!

     Buon anno al mio gattone grigio, ed ho il terrore sia l’ultimo; agli animali di nessuno, agli alberi che sacrificheranno per un nuovo centro commerciale, a chi li cura regalandocene i doni, a chi non ci sta quando si adopera la natura come vacca da mungere.

     Buon anno agli amori di ieri, alle storie di domani, alla bimba che non c’è più e che proprio per questo c’è, prepotentemente, indelebilmente.

     Buon anno a chi legge, naturalmente, affettuosamente. Se è proprio vero che alla fine si scrive più che altro per se stessi, per capirsi mentre ci si racconta agli altri, è altrettanto vero che senza un pubblico sia pur sparuto, sarebbe facile scivolare nel ridicolo del parlar da soli.    

     Buon anno a chi, e qua la gratitudine non può più essere taciuta, gratifica le mie smanie con commenti spesso da incorniciare; a voi amici costantemente pochi ma buoni, ostinatamente “sul pezzo” mentre le mie ansie, immemori di un’antica coerenza definitivamente smarrita, mi strattonano fra personalissimi ricordi e pubbliche antipatie.

     Auguri, grazie di cuore e… a voi la penna. 

 

 

 

 
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Quando non sai

Post n°10 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da marina3210

    Quando non sai perché sia utile svegliarsi, vestirsi, infilare una porta ed avviare i motori; quando non sai se dietro questa quotidianità ci sia una logica qualsiasi o solo la spinta inerziale di Qualcuno…

 

    Quando non hai deciso perché non riesci a decidere, quando non comprendi perché il tempo scorra senza rallentare per attenderti, per rispettare i tuoi tempi…

 

    Quando le giornate trascorrono aspettando che sul cellulare compaia il numero che vorresti comparisse mentre la tua rubrica contiene già il numero che dovresti, senza indugi, comporre ma qualcosa ti trattiene, e non sai cosa…

 

    Quando la razionalità combatte con la fantasia ed è ancora imprevedibile il risultato finale di questa partita; quando la partita, ancorché avvincente, è dura e fallosa e il dolore ti impedisce non solo di ragionare ma anche di sognare…

 

    Quando la notte assume i colori dei farmaci che dovrebbero aiutarti e che invece sempre più ti spingono nella perversa spirale che ti accompagna verso una nuova giornata di dubbi, di domande senza risposta perché l’unica che ti viene in mente è scontata, sin troppo per essere quella giusta…

 

    Quando vorresti che fosse l’altra persona a compiere, al tuo posto, quel passo che è breve, tanto breve, così fastidiosamente breve a patto che non sia tu a doverlo fare; quando non ti spieghi cosa manchi alle tue parole per completare quel ponte che unisca le rive…

 

    Quando ad un semplice blog chiedi quello che ad un amico in carne ed ossa non riusciresti perché pudore e influenze ti condizionano da sempre ma solo ora, quando la ferita è aperta, te ne accorgi; quando vorresti dimenticare di essere la figlia ben educata della maestra del paese e vorresti solo lasciarti andare, andare…

 

    Quando star male può essere l’anticamera della felicità o il prologo del libro dei rimpianti, puoi solo scrivere e sperare, sperare e scrivere.

 

    Scrivere sperando che raccontarti agli altri aiuti a chiarirti con te stessa; scrivere sperando che qualcuno legga e capisca…

 

 
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Lo stalliere del re.

Post n°9 pubblicato il 21 Novembre 2011 da marina3210

“Lo stalliere del re deve conoscere i ladri di cavalli”.

 

Lo diceva l’Avvocato Agnelli, uno che di potere se ne intendeva, per giustificare talune sue scelte in ambito sportivo.

 

Il Cavaliere, che notoriamente le cose ama farle per bene, per la sua reggia di Arcore ne scelse uno pescandolo direttamente dall’albo professionale degli addetti.

 

Che strano, da qualche giorno questa frase mi ritorna prepotentemente in mente… c’entrerà per caso qualcosa la composizione del nuovo governo, così zeppa di banchieri?

Oddio, che malpensante sono…

 

 
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