Marvelius

La Riviera Dei Cedri


Avrei dovuto svuotare  fino in fondo il bicchiere che invece come una pozza di olio salmastro era rimasto pieno sul  tavolino.Una mano in tasca e l'altra a sostenere la testa puntellandomi sul gomito a mordicchiarmi le labbra mentre folate di vento mi infastidivano il viso scombinandomi i capelli . Sarei dovuto andare via, pagare il conto al cameriere che con discrezione avrebbe ritirato il bicchiere e la bottiglia facendo finta di niente salutando con voce chiara e professionale..."Arriverla Signor  Marvel". Ma non lo avevo fatto, ero rimasto ingessato e muto come un pesce a fissare la strada popolata di gente  e quel bicchiere pieno e immacolato accanto ad uno vuoto e trasparente. Figure decadenti e solitarie, icone di una giornata svilente lungo la terrazza di un mare gaudente. Azzurre pennellate d'acqua cristallina tra le scogliere tinte di un bianco schiumare e lì, arroccate come un falco alla sua roccia,  le case  di pietra e le cascate di tetti rossi di Scalea.
"Ciao Marvy" fu il primo suono che udii giungermi alle spalle ma non mi mossi come se fossi ancora sotto l'effetto di un ipnosi che mi bloccava la gambe e le mani, legato com'ero da un profondo senso di debolezza con la testa infissa tra i fasci irrigiditi dei muscoli del collo. Come rigide intelaiature senza più molle e articolazioni, solo duri cordami tesi allo spasimo e costretti alla rinuncia,  impossibilitati a convergere in ogni direzione che non fosse l'orizzonte splendente davanti ai miei occhi."Ehi Marvy" mi urlò con un entusiasmo ovattato da una fugace perplessità e girandomi intorno mi si pose davanti facendo scivolare una mano sul bavero della giacca. Sentii il profumo della sua pelle ancor prima che la sua mano mi sfiorasse, un afrore di cedro e bergamotto, di foglie di arancio e limone, una intensa cascata di sensazioni estive e ancestrali rimandi a una selvaggia natura che scendeva a picco sui greppi della costa. Ora mi fissava con un sorriso raggiante ... "Marvy" mi disse con una voce che andava scemando nelle remote cavità del petto "Che hai?". Non dissi nulla . Restai in silenzio come una maschera di un dio pagano tra le rovine di Lilyum.  
 Così quel suo sorriso temerario pian piano si spense come un tramonto troppo veloce oscurato da nuvole e monti. "Bevi"... dissi avvicinandogli  il bicchiere e la mia voce somigliò a una fune da strangolamento che scivola intorno al collo, ma lei lasciò cadere le mani lungo i fianchi e si impresse nella sua immobilità. Le sue labbra da sempre avevano un qualcosa che mi turbava, regolari e perfette terminavano in un ricciolo sottile, una piega quasi impercettibile all'insù che rendeva la sua bocca una costante promessa di  delizie di intimità. "Bevi..." insistetti penetrandola con gli occhi e lei ne fu oltraggiata come se un ago le penetrasse le carni e tenni per me il bicchiere vuoto. Mi guardò con un velo di meraviglioso incanto, ma non quel torpore d'estasi che tende a irretire o a fermarsi a contemplare per rapire e farsi rapire da una visione, no era piuttosto il curioso incedere del dubbio, il rimando vertiginoso a qualcosa che era dovuta succedere e che non riusciva a ricordare, capire afferrare. "Che ti succede ... perche fai così?"  disse cercando di  apparire ferma nel suo vuoto precipitare. "Mi vuoi spiegare cosa c'è non va?" aggiunse  vacillando dalla sua torre che sembrò flettere sotto i colpi di un assedio silenzioso quanto terrificante. Le mie labbra si allargarono dolcemente in una smorfia  poi un sarcastico sorriso prevalse imperioso sul viso contratto che ora andava distendendosi per afferrare con imperio il dominio del campo. "Non lo sai ?"  replicai con voce tagliente come un coltello affilato  passato tra le fiamme. Scossi appena la testa allungandomi  verso di lei che  ancora in piedi somigliava una statua di marmo, una di quelle cariatidi che sostengono  gli archi e le travi dei templi di Sibari tra gli acroteri dorati e fastigi ornati dai sapienti . "Cosa dovrei sapere ..."  balbettò consumando nell'attesa  le ultime lettere di quelle parole che uscirono da quelle labbra meravigliose come bruciate dal vento. Mi alzai dalla sedia con un certo effetto, tutto nei movimenti sembrava studiato da un grande regista e da un attore consumato,  raccolsi il cappello e lo indossai con eleganza, poi tirai fuori dalla tasca una banconota e la spinsi vicino  al bicchiere pieno, picchiettai con le dita lungo il bordo del tavolo e con l'indice accarezzai il collo della bottiglia, infine alzai lo sguardo su di lei e la fissai con insistenza. Bruciai la distanza che ci separava come le fiamme di un averno irrompe nei covoni di un campo di grano. Uno sguardo intenso penetrò i suoi occhi tremanti, le mie labbra piano si chiusero  sul biancore sfacciato di denti serrati in una morsa. Ascoltai il mio cuore rullare e  mi sentii come un cane che fiuta la sua preda in quell' intenso guatare e alla fine sotto l'assedio della mia collera tenuta al guinzaglio lei crollò, abbassò lo sguardo e le lacrime iniziarono a scorrere sulle guance e i bordi della labbra, cercò di asciugarsele con le mani con una tale eleganza che fece presa su di me come una fune che trascina in mezzo al guado, ora eravamo due veri attori o due grandi amanti che si dicono addio sul molo di un antico porto. Mi avvicinai a lei senza un grande entusiasmo ma ero lì di fronte ai suoi occhi arrossati, lei cercò di poggiare il suo capo sulla mia spalla  in un estremo tentativo di diradare labruma che ci stava avvolgendo, mi ritrassi di quel poco che la fece desistere dal farlo ma che dette ancora più vigore al suo pianto.
 Le sfilai dal canto e le diedi un bacio impercettibile su una guancia e sembrò che il vento l'avesse sfiorata col soffio caldo delle sue labbra poi  giratomi le passai oltre immergendomi nella luce abbacinante del tramonto. Camminai con passi misurati sulla strada piena di gente senza voltarmi  ma  dentro di me sapevo che lei si era girata e col cuore in gola aveva atteso che mi fermassi e che voltandomi alzassi un pò il cappello sulla testa e poi infilando le mani nelle tasche con i fronzoli e le pieghe della giacca a rendermi un maledetto bastardo le sorridessi ... lei sarebbe corsa ad abbracciarmi e stringendomi avrebbe sussurrato tra singhiozzi di una gioia ritrovata  "Ti amo  ... perdonami ..." Ma il sole era oramai dietro le colline e se anche la gente seduta al bar attendeva che quella scena fosse l'epilogo possibile di quella storia tutto rimase come in un film senza lieto fine. Non sono mai tornato indietro nella mia vita, sempre volto ad andare avanti, nella cieca speranza di un orizzonte, di un avventura che mi consumasse tra i tentacoli delle sue meraviglie. Sparii per sempre da quel posto immergendomi pian piano nella folla e non la rividi mai più. Quei lucidi capelli bruni annoccati dietro al capo, gli occhi felini di un castano profondo, quell'incarnato bianco e delicato nei profumi d'oltremare, chiusa in un  abito nero stretto sui fianchi, le gambe perfette velate da calze  e da un filo nero che spariva sotto il vestito tra le cosce serrate dalle stringhe della sua guepiere ...  
 la rivedo nella mente come tra fumo di china, la ricordo così quella mattina di agosto, la ricordo ancora ... la ricorderò per sempre ...Marvelius