Marvelius

L'uomo col Cilindro...


 Erano soliti vederlo scivolare nei vicoli del portoin quegli oscuri cunicoli fatti di mura inestricabili,tra viuzze strette e buie  come  cubicoli dell’anima.Lo si ammirava giungere dalla spiaggia vestito di tutto punto con la sua blusa bianca come spuma di mare, i pantaloni neri chiusi negli stivali di pellee una giacca avvitata su un corpo asciutto e modellato come una roccia sotto la sferza delle onde o la frusta del vento.Aveva una complessione invidiabile e col suo grande  cilindro grigio tutti lo scambiavano … anzi erano certi,che fosse un nobile decaduto o lì rifugiatoper chissà quale inconfessabile motivo, ma per la maggior parte di loro quell’uomo era qualcosa di ancora piùmisterioso e impenetrabile.Alcuni dicevano che avesse commesso un atroce delitto nella sua terra di origine al di là del mare.Per altri egli era approdato sulla loro lingua di terra per dimenticare un amore disperato e impossibile.Molti pensavano che fosse solo un eccentrico signorotto incatenato  alla tristezza e alla solitudine, una miscela cherende randagi sin dalla nascita e confina prima o poi nella disperazione dell’essere e nella oscura regione dove dimorano i  pensieri inafferrabili o i freddi propositi irraggiungibili.I più saggi però si erano avvicinati alla verità solo osservandoi suoi passi regolari, la sua testa alta sull’orizzonte al di là del mare e i suoi occhi di un verde baleno, sempre fissi e mai stanchi  di cercare, mossi da una curiosità che si agitava dentro di lui in un incessante mormorio che lo portava  a volgere nelle sue notti uno sguardo a se stesso nel buio che non dorme.Il suo scrutare sempre acuto indagava ogni cosa come un  cercatore d’oro tra le sabbie di un isola deserta.Cosa inseguisse però nessuno lo avrebbe mai saputo, nessuno avrebbe mai potuto immaginarlo, sarebbe rimasto sepolto per sempre nei fondali della sua animacome un forziere abbandonato da un pirata nella chiglia di un galeone inabissato e dormiente ai piedi dell’oceano.Così si immergeva, lasciata la spiaggia, tra le prime case del porto, nei vicoli stretti di mura sberciate e sassi levigati dal mare celato nel suo cappello scuro.
I capelli scuri  e il viso tirato e regolare, sicuro nel suo passo verso qualcosa chiuso dentro il cuore e nello scrigno della mente.Ogni tanto si fermava lungo i porticati o i supporti come a pensare, un lieve momento in cui sembrava arrestare la sua forza e la  sua marcia, un raro attimo che fondeva la sua anima col suo corpo dove tutto sembrava colmarsi nelle pienezze di quell’istante.Alcuni allora giuravano che lui sorridesse e i suo occhi guizzassero di una luce innaturale e in quel momento altri avrebbero spergiurato che persino il mare calmasse la sua forza arrestando le onde per qualche momento, come uno scoramento di tutti gli elementiresi vani e immoti dalla forza orfica del suo desiderio.Poi battendo lievemente il suo elegante  bastone sul selciato di pietreriprendeva il suo cammino e tutto continuava a scorrere come prima.Le clessidre del tempo a sgranare le sabbie del cosmo e la gente a respirare nuovamente, il vento a bussare alle loro porte e tra lefronde degli  alberi e le acque ad agitarsi lungo le anse dei fiumi o nei gorgoglii  tra gli  anfratti delle rocce o nella risacca del mare.Lo avrebbero chiamato in molti modi.Per tanti di loro era certamente un mago pericoloso e macchinatore da tenere lontano, uno stregone piombato lì per caso, un ramingo incantatore naufragato  ai piedi del loro bianco faro di cui aveva preso possesso senza mai  reclamarne signoria e in cui avrebbe esercitato sortilegi di ogni tipo Così quasi tutti si tenevano a distanza da lui come nelle notti di burrasca, quando i tuoni e lampi si addensavano insieme alle  nubi scure e gonfie sulla cima del faro, nelle furiose battaglie col mare  in tempesta come attratte da una forza misteriosa e alchemica. Proprio allora molti di loro tremuli  iniziavano a recitare preghiere e scongiuri mischiando  parole sacre e profane, affidandosi ad amuleti pagani e alle immagini dei santi.Non lo odiavano, cosi e allo stesso modo come non neavevano stima, solo  una sorta di timore ancestrale li irretiva, unasuperstiziosa  prudenza che  li faceva arretrare stabilendo conquell’uomo cosi  particolare  e misterioso solo rapporti minimi e, dopotutto  era l’unico che sapeva far funzionare il faroe l’unico a leggere i segni del tempo, ad avere una sapienza al di ladi ognuno di loro,  in tutti  i campi della conoscenza e dellamedicina, ma anche  questo, per tutti loro era un segnoevidente della sua arte occulta.Un confine ideale  era sempre presente in mezzo a loro, solo i bambini e una donna riuscivano ad accorciare quel limite fatto di un’ indifferenza malcelata e di un timore mai troppo nascosto .I fanciulli lo seguivano per un po’ con stupore e meraviglia.Ascoltavano i rintocchi dei suoi tacchi sul basalto dei vicoli del borgo marinaro, loro che scalzi e smunti sembravano ombre lungo le pareti e i muri delle case .Quando lui si fermava loro facevano lo stesso, quando si piegava a raccogliere qualcosa o ad annusare un fiore, dopo un po’ essi ripetevano la stessa cosa come a voler catturare cose a loro sconosciute o a divenire parte del suo mondo, di quel mistericoaddentrarsi nelle sconosciute dimensioni dell’uomo col cappello, il gran cilindro di panno grigio.
Lei lo attendeva in cima alla collina con le spalle addossate allaporta della sua casa … una modesta dimora di legno con travi annerite dal fumo ma decorosa e pulita e con un persistente effluvio di viole.I fiori erano la sua passione, appesi lungo il porticato esterno, sui davanzali, così agli angoli di porte e finestre vi erano delicati asclepias,  margherite d’ogni colore, iris e orchidee, loto e ogni altro fiore che prestasse profumi e colori alla sua casa.Ne filtrava le essenze, ne componeva coriandoli e misture, preparava decotti e filtri, più che una strega però somigliava una fata tra i suoi alambicchi e  le olle fumiganti .Capelli rossi, mossi e sciolti che ricadevano fin sulla schiena Come una cascata di edera dalle pendici di un monte, denti splendenti su una bocca perfetta e quelle due piccole onde ai lati delle labbra. Due minuscole virgole che ne ampliavano il sorriso e nei momenti di tristezza le davano un aria malinconica e altera come una dea la cui bellezza avrebbe sfidato tutte le ere di questo mondo.Lui la guardava da lontano sotto i suoi occhialini scuri e rotondi come un miraggio di cui si ha piena certezza. La seguiva con lo sguardo immergendosi in quell’attesa e quando le era vicino si fermava come irretito dalla sua avvenenza solo per ritardare il momento dell’abbraccio, il persistere gaudente della voglia e del desiderio come una lotta di cui si sa l’esito ma ci si perde nella coscienza del protrarsi in una dolce attesa, per ritardare il momento meraviglioso della vittoria.Quando lei si staccava dal suo abbandono tra i legni della porta e le andava incontro lui poteva sentire i battiti del suo cuore farsi largo tra i suoni del bosco, vedere le pieghe del suoi seni gonfiarsi sotto i mantici del suo respiro e le mani farsi armonie col vento che ne accarezzava la pelle.Poi quando il rosso fulgore del sole avrebbe disegnato scie di fuoco sulle acque lui l’avrebbe stretta a sé mischiando il suo profumo al suo,le sue labbra fuse con quelle di lei in un morbido ritrovarsi, come acque tra le acque e vento tra i soffi di altro vento fino a che le prime ombre del vespro li avrebbero ammantati celandoli agli occhi dei mortali.  Tra i segreti dei loro corpi, nella luce di una luna lieta e splendente, avrebbero danzato al canto delle cicale, tra i sudori  della lotta e gli umori delle loro rinunce, fino al mattino che li avrebbe sorpresi nel sonno ristoratore con il chiaro bagliore dell’aurora, come la luce del suo faro tra le acque cobalto del suo grande mare …Marvelius