Marvelius

L'Illuminazione II


  Si tirò su appoggiandosi sui gomiti e piegò ilcapo indietro fino a toccare la testata del letto,sistemò il cuscino dietro la schiena e stese legambe nude sulle lenzuola bianche.I capelli castani  scuro e gli occhi tristi  comeil cielo d’inverno spiccavano sul candore delle vesti come un pugnale di tenebra conficcatonell’avorio della pelle. 
Si passò una mano tra le ciocche e volse losguardo alla finestra rigata dalla pioggia e subito le lacrime le bagnarono gli occhi sciogliendosi in un pianto sordo fatto di singulti mozzati nella gola.Tirò su col naso e col polso cercò di asciugarsile guance, alcune gocce caddero sulle lenzuolabagnandole e  lei vi appoggiò le dita quandoormai erano penetrate nel tessuto spandendosicome un mare gonfio su rive limacciose,poi sembrò quietarsi quel suo gemere d’affannoe i suoi singhiozzi parvero un lontano ricordo.Piccoli cerchi neri le pennellavano i contornidegli occhi e al bianco splendente delle pupillesi era sostituito il rosso bruciore delle lacrimeversate.Infisse il suo sguardo oltre le vetrate della suafinestra e oltre ancora e tra la pioggia battentesi perse la  vista, come aria smossa nel freddopungente dell’inverno.Alitò nel suo petto l’ultimo calore rimasto manulla servì se non per vedere andare in frantumile stanze solitarie dei suoi silenzi, così giacquenel pungente ricordo quel suo cupo ansimare .Quando fu stanca del suo peregrinare chiuse leali e si posò sul ramo scarlatto della sua sventuralì serrò gli occhi per rivedere se stessa nei suoisogni ancora possibili, i suoi mari calmi e caldile sfiorarono la pelle, il vento della collina lescompigliò i capelli e le carezzò gli occhi fino afarla lacrimare mentre davanti a sé i suoi giornifuturi presero a scolorire passandogli accanto. 
 Poi riaprì le porte del suo cuore, un rumore dicardini ferrati cigolò nell’eco delle sue stanze,enormi lastroni di marmo bianco e levigato sispalancarono alla sua vista e le fiaccole cheprima ardevano imperiose illuminando le volte ele lesene dell’atrio ora erano poco più che lumini,piccole fiammelle gialle e tremolanti e lei …oh lei … candida vestale tra ombre forestiere.Lei entrò oltre la soglia del suo cuore, ne sentiil richiamo debole e pulsante, il grido lontanodi un dolore profondo, infine dopo tanto cercarelo trovò riverso sul ghiaccio impiantito di unacaverna disadorna.Vi posò la mano e ne senti il debole calore, ilbattito lieve e la voce stanca . Lo raccolse tra ipalmi esangui e lo tenne tra le mani tremanti,accanto a lei rosse farfalle svolazzavano senzarequie, i suoi sogni sbocciati in un tempo feliceora vagano nelle stanze del suo castello comevolute di torba, senza uscita, senza una vera meta.Pianse nel silenzio del suo seno, pianse di unlamento eterno e devastante  e di quel piantocosi struggente ebbe misericordia persino lapietra della sua torre,finanche l’acqua dei ruscelli e la pioggia ghiaccia, ne ebbe pietà la neve egli alberi, si piegò il cuore duro delle roccee il cielo si squarciò le vesti gemendo e quellelacrime bagnarono i grandi lastroni di marmofin dentro le mura della Faro antico, tinsero dicandore l’aria rarefatta e mulinarono nel ventoche annunciava la primavera.Poi quelle stille caddero sul suo cuore affranto,una a una come il tintinnio di una cascataargentina ed esso palpitò di nuovo, un piccolobattito lieve come il soffio di un refolo di mare, un impercettibile rintocco di vita penetrò nellevene sciogliendone il sangue reso duro daldolore del distacco e di nuovo in quelle saletuonò il canto gaio di un tempo .Quando giunse sull’uscio della caverna  eoltrepassò i cardini dei neri cancelli, un pratodi viole avvolse i suoi piedi nudi e le farfalleche prima in esilio volteggiavano raminghe trale tenebre della torre ora le danzavano intornoponendo su di lei ghirlande di fiori e polveredi ametista.Poi il tempo pose una mano sulle sue spalle e ilvento le alitò sul viso un soffio di calore equando tutto ebbe termine  due tese piumate si aprirono nelle sue esili falde senza doloree come in un sogno d’incanto la librarono involo oltre le sue paure, oltre i limiti delsuo tempo . 
                                                                                         (segue)Marvelius