Marvelius

LEONIDAS I


   L 'ADDIOAprì gli occhi nel cuore della notte,intense iridi scuri come pozzi d’olio nerosi sciolsero nel buio della stanza,e se ne stette immobile a fissare il tetto di legnocercando di immaginare il brillio delle stelle .Ma capì che era ora di prepararsi …il suo cuore e la sua mente erano pronti da tempoe quel tempo era ormai scaduto.Distolse il lenzuolo di lino dalle sue gambe epoggiò i piedi nudi sul pavimento di pietra.Rimase seduto sul letto di piume e cardato di lanasaldo come una statua di marmomentre tutto intorno era silenzio e ombra.Guardava fisso i contorni della stanza farsipiù chiari nell’albeggiare del mattino informe.Gli spigoli dei muri tinteggiati a calce schiarirsi con le prime luci dell’alba che filtravanodagli scuri della finestra. 
 Quando la fitta nello stomaco diventò più forte,con una smorfia del viso, si alzò dal letto e si lasciò inghiottire dalla penombracome ci si immerge nelle acque calde del mare …nudocome una creatura celeste, i capelli ornati da tempo, la pelle ambrata dal sole , tesa sopra i muscoli tumididal duro esercizio e  solo un canapo bianco intorno al ventre a coprire il suo sesso .Si celò per un attimo il viso  con le maniper scacciare i pensieri della notte che avevanoagitato il suo sonno infausto, poi passò le dita tra icapelli fino alla treccia ricadente sul collo.Il viso tirato e duro come la pietra di Tanel,i denti bianchi come il latte delle sue giovenche,le labbra rosse  e carnose sotto la barba corvina,ogni muscolo scolpito nella roccia in un insiemesfrontato e spavaldo da rasentare la superbia di unsemidio troppo orgoglioso per flettere il capo etroppo umano per sentirsene pago.Ora tutto nella la stanza aveva preso forma e sostanza,gli occhi si erano abituati alle ombre e la luce dell’aurorafiltrava più forte dalle fessure degli scuri comelamine d’argento.Immerse il viso nell’acqua fresca di un bacile ein quel liquido incolore aprì gli occhi inabissandolicome perle d’avorio e pece in fondo al mare .Quando riemerse una voce alle sue spalle risuonò argentina. 
 "È già tempo di andare ?È dunque giunto il giorno in cui ogni cosa sembranon avere più importanza?".Lui restò di spalle assorto nel silenzio e lei riprese a parlare.“I giorni sono volati via come lemuri nei sogni infrantie i carri di marte Ares già corrono davanti alle nostre porte.Ti porteranno lontano … come lontano sento già iltuo cuore.”Leonidas si voltò verso di lei e i suoi occhi eranochiodi intinti in un amaro calice e allo stesso tempoerano occhi dolci e teneri come quelli di un bambino.“Una parte di me è in viaggio da tempo .Luoghi selvaggi ne trascinano i passi,sogni raminghi la portano in grembo su botri e valli ,ma ciò che non lascerà mai questa stanza è qui“e dicendo queste parole si tocco il cuore con la mano.Poi aggiunse con voce profonda, come se ogni serenitàe ogni tempesta di emozioni si fossero datiappuntamento in quel preciso istante per schiuderele porte sull’uscio delle sue labbra“Tu immagini i pensieri di questo soldato sui carridi una guerra disperata … ed è vero …ma i pensieri più profondi di quest’uomo restano qui conTe.Sono i pensieri di uno sposo e  di un padre che si infrangono sugli scogli di un destino beffardo”. 
 Aprì la finestra della stanza e volse lo sguardo davantia sé e  un sospiro venne trattenuto in gola …Vide il terreno scuro dei campi appena arati,i cipressi segnare il profilo delle colline egli immensi ulivicome sentinelle bardate campeggiare sui prati adifesa della loro storia e del loro mondo di quiete.Poi ancora una volta una voce lo riportò indietro.“Ho paura … ho paura che non ti rivedrò più”.Lui si girò verso di lei e vide i suoi occhi di ghiacciofissarlo con durezza ma andò oltre quello scudopenetrando nella sua anima e in quel giaciglio caldola vide rinserrata nel canto di un ombra, immersa in una veste nera nel pianto tenero e compostodei suoi verdi anni .Raccolse il  rosso vermiglio del suo mantello comesi intinge il drappo nel sangue di un amico d’armeper dare testimonianza del suo sacrificio a chi lo aspetterà invano tra i muri spogli di una casa. Le lacrime di Gorgo scorrevano sulle guance roseecome torrenti senza più argini ma lei restava fermacome una lancia infissa al suolo nel suo portamento regale.Lui ricordò le parole dell’Oracolo, ricordò la profeziadel sacrificio di un re della stirpe di Eracle e chinò il capo.Ma fu un attimo e tornò a guardare Gorgo con benevolenza,osservò i suoi capelli sciolti come tenebre assorte nella notte,i suoi occhi vispi rigati di bistro e la pelle liscia e pallida,la sensualità del suo corpo lo richiamava ad altre battaglie, così la carne profumata, serrata nella sua veste candida,i seni turgidi nei canapi di lino e le forme pieneintorno ai legacci  sui fianchi. 
 Tutto la richiamava a sé in un onda piena che si abbatte sugli scogli , come un vento d’ostroche si urla nella tempesta inabissando ogni cosa,ma restò immobile nel suo fortilizio di soldatopoi esclamò senza tradire le sue emozioni“Ho paura anche io di perdere il nido amorevole che haiinnalzato con pazienza e una dedizione in cui non trovo il velodi una discordanza.Ho timore per le gioie della nostra vita che abbiamoammassato e custodito negli anni della nostra giovinezza come covoni di speranza affastellatinel granaio della nostra intimità.Temo come temi tu di non tornare e di rimpiangere,negli ultimi aneliti di vita, col viso  immerso nel fango,il profumo di questa casa, di spogliarmi del suo calorecome un pesce smarrito in mari sconosciuti, di morire nella lenta agonia di una notte senza stellecol sangue che gorgoglia in gola togliendo il respiroe le viscere sparse sul campo di battaglia."Scosse la testa annuendo ma senza un velo di rassegnazionepoi riprese a parlare come spinto da una forza che premeva nel suo petto finalmente liberata da catene e legacci."L’ angoscia mi tormenta come un segugio la sua predamentre guardo nella visione dei miei sogni i miei soldati gemere come agnelli sacrificali ,lacerati dal dolore  prima che qualche nemico li finisca dando loro una morte veloce”.Trasse un respiro profondo nella ricerca vana di sciogliere il nodo che gli attanagliava la gola. Infine la guardò fissa negli occhi e una lacrima solitariacelata tra le ciglia sporse oltre il dirupo dei suoi greppi,cosi volse di nuovo lo sguardo sull’orizzonte cheora era illuminato da un barbiglio di luce come se unrogo stesse divampando sui suoi contorni e continuò”Ma  temo di più l’immagine di un giorno ingrato incui, come demoni  vomitati dall’Ade, da quelle collinebaciate dal sole giunga un esercito straniero checol fuoco e l’arroganza delle loro lunghe e arricciatebarbe prenda possessodi tutto ciò che mi è più caro al mondo”Disse queste ultime parole volgendo lo sguardo su di leie il bambino che le dormiva a fianco.Poi un vuoto lo  colse e le parole si spenserocome il filo della fiamma di una candelastretto tra le dita umide.Trasse ancora un lungo respiro e la voce tornò ferma e profonda  così emise la sua volontà , spietata e crudelecome una profezia che si abbatte rovinosa nei giorni felici,come uno strale che squarcia il cielo ancora tinto dal sole.“Se non dovessi tornare sai cosa fare …”  “Prenderò nostro figlio e ti raggiungerò sui verdicampi di Etrom”rispose lei stizzita.“Andrai via con lui Gorgo … e ti risposerai dandogli dei fratelli e delle sorelle”  disse lui con un tono deciso che non ammetteva repliche.Ma una voce gentile ruppe quel presagio di sventura,quel limbo di disfacimento che andava disegnando i loro pensieri precipitandoli nella tristezza di un futuroche sembrava ormai segnato .“Padre …”E la voce risuonò come il timbro tenero di una cascata di primavera. 
 Leonidas si era  appena rinserrato nella sua armatura e stava indossando il suo rosso mantello quandola voce di suo figlio squarciò l’aria rarefatta della stanza,giungendo al suo cuore come una cuspide cheogni cosa trapassa.Egli si  volse di scatto puntando il suo sorriso maliardonegli occhi del suo erede .“Plistarco … figliolo …”furono le sole parole dolci che permise al suo cuore di  sbocciare.“Dormi che ancora il sole riposa oltre le cime dei monti."“Padre portami con te …”lo interruppe il giovane e quelle parole scosseroil silenzio come un terremoto sbriciola la pietra .Leonidas sentì il suo orgoglio di spartano farsi spazionelle viscere, gonfiare i muscoli sotto l’ondadel suo sangue e il petto premere sul giaco ferratodell’armatura lucente così, inebriato e commosso,gli si pose accanto e sedutosi sul ciglio del lettogli accarezzò la fronte, mascherando l’ amorevole segnodi affetto, col  pretesto di sistemargli la treccia di crinescomposta dalla notte troppo presto svanita.“Mi servi qui Plistarco con tua madre a governare inmia assenza” Si sforzò di apparire sereno e deciso ma sapeva beneche non avrebbe più rivisto suo figlio ne Gorgoe insieme alla sua terra e alla sua casa sarebberostate le ultime cose che avrebbe ricordato prima di morire.Si udirono  i passi dei suoi uomini sullo spiazzo fuori dalla porta, così egli si scosse e alzandosi disse“È  tempo di andare”raccolse l’elmo e la lancia mentre la spadagià gli cingeva il fianco e lo scudo gli proteggevala schiena . 
 Un ultimo sguardo alla sua casa e alla sua famiglia poi si girò di scatto,  aprì la porta e si avviòverso i suoi uomini quando la regina lo chiamò forte“Spartano”egli si volse lentamente  lasciandosi raggiungere da Gorgoe da suo figlio Plistarco.“Si mia Signora”“Torna col tuo scudo … o sopra di esso”disse lei carezzando le parole con l’amore chiuso nelpetto e quelle parole per uno spartano furono ibaci e le dolcezze negategli fin dall’infanzia.“Si mia Signora …”Rispose fermando il suo cuore. 
 La guardò negli occhi e fu come un lungoe struggente ultimo abbraccio, poi rivolse lo sguardo al ragazzo e il figlio guardò lui ammirato e commosso.Si consegnarono una stretta ideale forgiando una catena invisibile tra di loro che nessuno avrebbe potuto disfare, i loro cuori si fusero, le loro menti si dissero tutto quelloche un padre e un figlio spartano potevano dirsi eanelare in silenzio. Poco dopo con un sorriso appena accennatosi volse verso i suoi uomini e diresse oltre i suoi passi,i suoi pensieri andarono via con lui mentreil sole indorava i campi e riluceva sulle armature,gli schinieri e gli elmi opliti di quei 300 guerrieri spartiati,come fiamme vive, come lingue di un fuoco inestinguibilesugli acroteri dorati del tempio vetusto di Apollo. 
MARVELIUS