Marvelius

IL FAUNO ...


 Le nuvole ricoprivano tutta la porzione di cielo che losguardo poteva abbracciare.A nord le montagne erano immerse per gran partein una nebbia densa che dal bianco scolorivain un grigio carico di pioggia. A sud, lungo le praterie sconfinate, un mare di brumagalleggiava sull’erba  assorta nel mormorio del vento.In questo declivio di un biancore sporco e ovattatostavano appollaiati a levante e ponente i piccoli borghifortificati come nidi di rapaci raccolti nelle lorocinte merlate.Castellari dormienti e resi sicuri da solide pietre,tra torrioni svettanti e masti poderosi, mentreal loro interno, ancora fumanti, le case di ciottoli e argillasi tenevano strette l’un l’altra in un abbraccio intimoe rassicurante.Sulle torri più alte, verso sera, venivano accesi iFuochi dell Alleanza, occhi scintillanti tesi a rinsaldareun unione che da secoli scacciavale tenebre della notte segnando il cammino peri viandanti e  forgiando una catena idealeper ogni uomo che di quelle terre era sovrano e custode. 
 Quando la notte era assisa in cielo e in ogni angolodi quella terra l’ululato dei lupi segnava il dominodi una natura selvaggia,tutte le porte venivano sbarrate, i cardini serrati,i cancelli sprangati, i portali di pietra piombati dai loro pontilevatoi e ogni borgo, ogni castrum, ogni castellanìasi rinserrava in se stessa nell’attesa che la nottegiungesse presto al termine .Fuori ,tra gli alberi alti della foresta, fra i grovigli di cespugli e i rovi molestati di spine e bacche dal sapore dolcissimo,oltre le radure, in ben altro calore forgiavano la loro rabbiai cuori neri e innominati del bosco.Non era il fuoco dei camini che li avrebbe tenuti lontanone la luce fioca delle candele o l’olio combustibile dipiccole lampade infisse nei muri tinti a calce.Niente li avrebbe fermati se avessero voluto … nessuno avrebbe potuto nulla forse neanche il fuoco.Ma per ora le grandi mura merlate, i grandi pontilevatoi e i fossati colmi d’olio nero potevano tutto questo.Da un secolo l’olio dei fossati era restato spento,un immoto gorgogliare di liquido scuro e denso che erabastato a tenere lontano, con il suo odore pungente evenefico, le bestie della foresta e Lui …la Belva Innominatache tutte  teneva avvinte al suo dominio.Quando la sera giungeva, le ombre della boscagliasi allungavano fino a ghermire le pietre dei fossati e tuttotornava a galleggiare nella paura e nel timore,nell’ansia di ore lente tessute dai ferri di unCandelaio silente.Sulle rive del lago immerso nella pallida luce diuna luna piena se ne stava Lui … nudo a guardarele acque agitarsi tra i riverberi delle sterminate stelle .I capelli sciolti sulle spalle e le braccia pendulelungo i fianchi. 
Si sedette su un trono di pietra, chiuse gli occhi e  si abbandonò al passato pungente, come una spina conficcata nel cuore  gonfio di solitudine e tenebradesiderata, amata e vissuta come ombre raminghetra i cespugli della brughiera.Guardava le creste delle onde rincorrersi nellapenombra e ricordava Lei immersa in quelle acqued’argento, scivolare  come un anguilla nei fluidi caldidi quel lacustre catino, circondato da pini vetustie giovane  betulle.La rivide giocare tra le caule in cerca di lucciole per illuminare la sua notte e allietare i suoi occhi smeraldo. 
Lungo le bordure del fiume serti di ginestre e felci e, tra i greppi , avvolti da trini di fiori scarlatti,cascate di  asclepias  e canne ondeggianti si piegavano al suo passo spargendo i loro profumi. Lì .. tra quei nidi di un intimità inviolata Eco si scioglievai capelli corvini come getti e virgulti di una pianta invittae Lui ammaliato e piegato da una voluttà plasmatanel desiderio della carne avrebbe voluto rapirne i pensieri,per custodirli nel forziere segreto del proprio petto,sepolti tra le sabbie del suo mare popolato di onde e alichini.Avrebbe sciolto le catene della rabbia e tratto dalle pietreanticheil mormorio di una magia dimenticata per farsi acqua e penetrare recessi e anfratti insondati,rinserrandosinei cubicoli inaccessibili di Lei … Lei soltanto.  Il Fauno piegò il capo vinto dai ricordi e sopraffattodalla mancanza della Ninfa.ECO … sussurrò tra le labbra … Eco …Una lacrima si fermò sui greppi delle ciglia come un diamantesospeso sul baratro di un monte.Il vento gli carezzava la schiena illuminata da unraggio di luna, mentre i profumi del bosco gli penetravanodentro come suffumigi di mago.Strinse i pugni con forza e accigliò lo sguardo ferino,un onda di odio montò dentro di Lui come le acqueinarrestabili di una diga infranta e ricordò …Il ricordo di Lei divenne chiaro come le stelle nel buio dellanotte, si levò dalle acque prendendo forma e sostanza epian piano si ammantò di rimpianto  e disperazione.Una furia cieca prese a scorrere nelle sue vene avvelenandoil suo sangue e l’immagine di Lei sanguinante  lo reseservo della sua collera .Rivide gli uomini braccare la sua Ninfa e si rivide impotentesulla riva avversa di un fiume turbolento.Chiuse gli occhi per cancellare quel ricordo, ma il ricordoormai  viveva dentro di Lui e si impresse con più forza nella suatesta come le grida di Eco che gli martellavano le tempie.Scosse il capo e grugnì con fastidio e sprezzo mal’immagine delle vesti di Eco strappate e abbandonatealla corrente delle acque gli scivolavano davanti agli occhi.Poi il fiume divenne rosso del suo sangue, i suoi occhiche prima coloravano le acque si erano spenti nel vitreo pallore della morte  e Lui…Lui era rimasto sullasponda opposta prigioniero dell’invalicabile limite delle acque.Loro avevano saziato i loro istinti e colmato con la violenza ciò che gli era stato rifiutato con grazia.Sentiva tutto il peso della sua diversità trasformarlonell’emblema di una creatura da abbattere o confinareai limiti del mondo mentre la vera mostruositàera quell’umanità  imbevuta di bizzarriee di eccessi , che si nutriva violentadi insoddisfazioni e putridume di sensi.Raccolse le sue forze allargando le braccia al cielo urlandola sua rabbia alla luna poi volse oltre i suoi passi lungo il sentiero che lo avrebbe portato da loro,verso i cumuli di case e le torri di pietra, tra murisvettanti e porte infisse nei cardini ferrati.Nulla lo avrebbe fermato, nulla avrebbe rettoalla sua violenza, nulla sarebbe più stato come prima perché nulla era più come un tempo.Devastò, uccise , dilaniò qualunque cosa si opponesse al suo passo, violò case e palazzi e non vi fu torreche non riuscì a scalare, muro che fosse invalicabileper le sue braccia e la sua rabbia divenne un turbinedi ferocia e di sangue.Quando giunse alle porte dell’ultimo borgo vi trovòuna fanciulla ad aspettarlo.Una creatura stretta nelle spalle e tremante, esile come ungiunco tenero mosso dal vento.I capelli cerulei raccolti in una lunga treccia, la pelle di luna,il viso emaciato e delicato, le braccia pendule e le dita sottiliintrecciate, nocca a nocca , sul ventre appena proteso.Una lunga veste rattoppata e lisa le copriva il corpo acerbofin quasi le caviglie , snelle, diafane e  chiuse in scarpe consunte.Lui non si era accorto di aver frenato la sua marcia, di avercalmato la sua ferocia , era restato fermo a un paiodi braccia da quella figura smilza e indifesa.Ansimava ancora, come una bestia dopo una lunga corsa,sudato e coperto di sangue la guardava indeciso sul da farsie sorpreso  e dubbioso di trovarsi davanti un umanafuori dal grande cancello di ferro del suo borgo di pietra.“Spostati donna”disse con fastidio allungando il suo braccio armato di spada, ma si accorse che aveva ben poco sensoquella minaccia e le passò accanto per dirigersi verso laporta sbarrata. 
 Nello sfilarle vicino vide gli occhi pieni di lacrime dellafanciulla fissare il vuoto, bellissimi occhi verdicome il fiume immerso nel foltofogliame di alberi secolari , dove Eco amava specchiarei suoi occhi così simili a quelli dell’umana.La luce di una stella vibrò in quell’istante nelle pupille di Leima il Fauno capì che la luce  l’aveva attraversata senzache Lei ne potesse avvertire il calore ne il freddo incederedel suo brillìo. 
 Le agitò lievemente  una mano davanti agli occhi ma Leinon si mosse ne chiuse le sue palpebre,  aveva avvertitola presenza e forse il gesto ma era rimasta immobilecome avrebbe fatto con chiunque.“Perché sei fuori dal cancello in una notte disangue e vendetta?”.Disse cercando di apparire più terribile di quanto non fosse.La curiosità lo molestava come un esca per troppo tempo lasciata sciogliere nelle acque del fiume, mentre pesci voraci einfidi sbattevano le loro pinne in cerca di coraggio .“Aspettavo il Fauno …” rispose incerta la fanciulla“Attendevo Colui a cui è stato fatto oltraggio ..inferta la ferita nel cuore che tutte superanel dolore”“ TU ASPETTAVI Me ? ”Urlò con rabbia, mista ad un incredula rivelazione, il Fauno“Si …”rispose abbassando il capo la ragazza tra i singultimozzati in gola.“ Sono l’offerta che il borgo ti porge affinché tu nonvada oltre, sono il sacrificio che ripaga del torto subito”IL Fauno stette in silenzio per un po guardando la ragazzacieca, ma dentro di Lui già sentiva la rabbia bruciargli il ventre.Avrebbe voluto uccidere la fanciulla e spargere le sue membralungo le mura a protezione del borgo, sapeva che i suoi abitantierano tutti lì nascosti al riparo delle pietre e degli sbecchidei camminamenti, tremuli e codardi, ma non provavaodio per Lei , anzi la tenerezza informe che si sprigionavadalla voce della ragazza lo irretiva.L’esile membra strette nelle sue vesti ne faceva una reginadi coraggio e un icona di invulnerabile fragilità,di fronte al pavido celarsi dei suoi consanguinei.Così le pose una mano sulla spalla e fu come una copertanel gelo dell’inverno.Lei sussultò un po sotto il peso di braccia così poderose erespirò forte sotto i palpiti del suo cuore.Era bella … di una bellezza senza inganno, pura comel’acqua cristallina di una fonte d’altura .“Non c’è compensazione per la mia perdita, la mia Ninfa ora è un soffio che avvolge la mia pellecome il figlio che portava in grembo, non c’è offerta che mi ripaghi delle loro vite perdute”.Disse con un velo di rassegnazione, poi volgendo il suosguardo sul viso della fanciulla esclamò“Vieni”E la sua voce profonda era senza più un briciolo di rabbia“Vieni via da tutto questo sangue e tutta questa miseria”.E volgendo le spalle alle mura del borgo si avviò lungoil sentiero puntellato di platani svanendo oltre la boscaglia.Sono ormai passati cinquant’anni da allora e del Fauno edella Fanciulla nulla più si seppe. Di tanto in tanto qualche viandante smarrito per i nostri boschi giunge al borgo antico giurando che nelle acque delfiume abbia visto una donna cantare con dolcezzaspecchiandosi nuda nelle sue acque, tra le notedi una  musica melanconica provenientedal una riva e dal folto della boscaglia.Gli abitanti del borgo non amano parlare di questoe chiusi nei loro serragli ,abbassando lo sguardo, serrano i loro cuoripensando ad un triste passatoe alla loro umanità smarrita nella nottementre una fanciulla, forse da lontano, scruta le case del loro antico borgo. 
 MARVELIUS