Marvelius

IL FAUNO II ...


  Immerse la mano nelle acque gelide del fiume e fu come sentire il sussurro dell’inverno tra le pieghe della pelle e giù in ogni canto della carne ad attraversare le falesie delle arterie e farsi tocco raggelando linfa e il rosso sangue. In alto le nubi correvano come brenne su scuri lastroni di basalto, mentre all’orizzonte una lama di fuoco saettava tra le punte dei monti come a dividerne i profili e la sorte. Chinò il capo lentamente e bevve a fondo calmando l’arsura del petto … si dissetò fino a gelarsi le labbra e a far tremare i sensi e quando si scollò dal quel suo rivivere si specchiò nei cerchi d’acqua. Il crine, nei riccioli d’onda, profuse come una cascata d’impeto corso, sulla fronte ricaddero e oltre si sospese quella massa informe. Si guardò nel silenzio di acque placide e in quello specchio liquiforme andava ritrovando se stesso. Come un errante pellegrino ripercorreva le linee della sua esistenza, tra le rughe profonde o i lievi solchi ricordò i suoi passi. Leste movenze tra l’erba delle valli  o i  lenti cammini  tra gli ombrosi varchi .
Chiuse gli occhi, serrando le pupille nel buio cerchio della vita andata, nella penombra di ciò che era ormai un ricordo. E sostò tra quei giacigli come lepre stanca e fiera indomita che non s’arrende al ciclo dell’eterno. Sentì il bisbiglìo del vento, lo stormire tenue delle fronde, l’argentino scorrere del fiume e il rotolare discreto delle pietre smosse, il soffice cadere delle foglie  sul candido mantello della terra. Quando offri lo sguardo ai colori del tempo il volto suo s’era già sciolto in mille grinze. Non c’erano più ciocche a merlettarne il flusso, ne il giusto profilo del suo viso a rendere pungenti e vivi i fiotti inquieti delle acque, non v’era il bianco rilucire della pelle, il marmo pulsare di muscoli tesi come sartie d’un vascello, ne il vitreo corso delle sue vene a scavare  solchi di rubino nel taglio della carne. Solo il cupo gorgogliare delle linfe del torrente turbato dal molesto guizzare di un pesce esangue. Si scosse da quel letargo come da un lungo sonno volgendo lo  sguardo tutt’intorno. Ora il cielo era sgombro di carri e la luna già proiettava lamine d’azzurro sulle cime aguzze dei rilievi. Si erse verso di lei come a farsene parte, ogni muscolo,  ogni lembo di pelle ne assorbì luce e forza e la maestosità della sua figura si stagliò sull’erba della radura come un gigante nel ferreo dominio del suo scanno. Poi una voce lo distolse ancora … Prima flebile come un refolo tra vele d’organza, poi giunse dolce nei profumi di mandorlo fiorito, e il Fauno fu felice di udirne il timbro, la musica di quelle note alpestri “Fatuus … “ E la bellezza di quel sigillo si fece aria rarefatta vibrando sulle acque stanche come il mormorio d’ali di farfalla e giunse trasportata dal vento. Il Fauno si volse come rapito dal torpore e guardò incantato  la ninfa … Gli occhi di un verde baleno scintillavano come sorgenti  di smeraldo, sulla pelle di latte nell’ incerto pallore della notte. Era bella come una gemma  tenuta al riparo dallo sfacelo del tempo e brillava di un fuoco che incessante si’originava dal fondo  dall’anima. “Arhel … “ Le rispose accennando un sorriso il Fauno . Nei suoi occhi vi era il colmo di una gioia vibrante e quell’essere un tempo  percosso dal fato era ora grato al destino che lo aveva ripagato di un dono inaspettato. “Arhel  … “ mormorò tra le labbra … e la voce gli si mozzò in gola. Era felice il Fauno di quella presenza e Nell’ apice della sua felicità avvertiva la fragilità di quel momento, temendo potesse infrangersi di colpo sugli scogli del destino beffardo. La donna gli si sedette accanto con frusciar di vesti  sulle filute camme e le verdi zolle. Poi chinò il biondo capo cinto di fiori sul petto del fauno. Mentre lui le accarezzava le trecce e il crine sciolto intonò un canto che tinse l’aria d’incenso sciogliendo il cuore del Fauno fino e farlo  sanguinare in quella veglia di rimpianto e solitudine. Così nella quiete della selva il suo pensiero volse alla fanciulla che d’umana stirpe s’ era creduta e ora era mutata in altre forme era crisalide al colmo del suo corso." Padre ..." Disse Arhel fissandol Fatuus negli occhi “Raccontami di mia madre … dimmi di Eco, perché ho nostalgia di lei … di Lei tutto mi manca,  persino il volto e il suono del suo canto mi sono ignoti , eppure sento dentro di me un vuoto che va riempiendosi, come il pozzo dei tuoi occhi al ricordo di Lei … ”. Il Fauno chiuse le palpebre per un istante e ripensò alla sua ninfa, la rivide tra i veli di seta e i canapi di giunco cinti al seno rigoglioso, vide le sue rosse labbra fiorire nel canto. Si immerse nei i suoi occhi di mare colmi d’onde e fiere tempeste ma dolci come nettare di fico all’ombra delle lunghe ciglia. Aveva amato Eco più della sua vita e ancora l’amava come il primo giorno, Perduta e  violata nel sangue mai l’avrebbe dimenticata, trascinata dal fiume oltre il guado del suo abbraccio Ma quando ogni torre era crollata e ogni fondamenta rotolata nella rovina, quando ogni cosa era volta al declino e la rabbia precipitata nella furia della vendetta aveva ritrovato Lei … Arhel … dal segno che lega il filo d’ogni minuto punto e muove i passi su questo mite  regno . Lo scosse nuovamente Arhel “Parlami di Lei ti prego, fa che il suo ricordo  non viva solo dentro di te  ” Il Fauno fu colto da una strana emozione serrò gli occhi lucidi e con voce rotta dall’emozione aprì lo scrigno della memoria e iniziò a raccontare … mentre intorno a loro si raccoglievano gli animali del bosco nel silenzio della radura illuminata dal cerchio diafano di una luna splendente, tra lo sciabordio delle acque del fiume nel suo letto ciottoloso e lo stormire delle foglie mosse dal vento … MARVELIUS