Marvelius

La Madre delle fate


   L'orizzonte era un trionfo di fiamme,sparsi qua e la ciuffi di nembi bianchicon pennellate rosa e lame di sangueche pugnalavano il cielo.Le rondini volteggiavano basse sulle rivelimacciose come in una danza estenuanteche le riportava indietro nel tempo ,su quelle rive dove si erano date commiato.Lei se ne stava irta su un sasso bianco, sul cigliodel fiume nel silenzio rotto solo dal vento cheagitava le fronde di betulle ondeggianti, mentrel'erba filuta come onda di mare si flettevaripetutamente tra riflessi di un verde cangiante.Era vestita con un peplo di canapa colormelograno stretto da un laccio d'organza appenasotto i seni che già rigogliosi scolpivano unavertigine tra le loro anse. 
 I capelli ritorti in piccole trecce sulla testaingentiliti da sottili nastri di ginestra ...due riccioli ai lati della fronte ricadevano sulletempie come colonne intarsiate di onice.Il crine nero come la notte e le labbra tumidee rosse su bianche guance rendevano i suoilineamenti schegge di una bellezza antica,finanche l'acqua del fiume sembrava attardarsisull'immagine di lei per rapirne la luce e i trattisplendidi e trasportarli via con sé.Quell'immagine di dea, come una statua gloriosa,la consegnava ad un immortalità precoce,così tutta la natura prese a ruotare intorno a lei.Come una lancia infissa nel cuore della terra persegnare lo scorrere del tempo lei era assisa su quelcippo di pietra, ossa di terra e sangue pulsante inmezzo al respiro dell'aria e al suono del vento.Era stata felice un tempo su quelle candide rive,era stata fiore e farfalla, aveva assaporatol'inebriante polline dei rossi papaveris'era librata nello zefiro caldo del tramontofino a mutare in lucciola e vagare nel teporedi notti insonni. 
Era stata colibrì e falco, ape e muschio grigioabbarbicato ai greppi lungo le anse di quelfiume gorgogliante.Ricordava ancora quando vestita di rugiadascivolava sulle lucide e tumide foglie, quandosi scioglieva come neve sui prati puntellati dibucaneve.Era stata vento tra i rami nodosi degliulivi, e coccinella sui bianchi petali di achilleeimpettite.Quando il sole d'agosto riposava sullerosse spighe di grano ella si incuneavatra di loro simile al soffio vespertino, poicome pesci agili d'argento guizzava trale anse del fiume e si inabissava fino algreto per mormorare tenere parole allepietre del fondo.Saliva fino a vertiginose altezze con lesue ali cangianti, disegnava colonne diametista nel cielo radioso e con le nubidal bianco manto tesseva zucchero filato.Ora era li, ferma sul suo cippo a guardareil mondo mutare ancora una volta. 
 Una lacrima le scorreva sul viso e subitoun'altra era pronta a seguirne il flusso.Gocce di rugiada sui greppi delle cigliailluminavano gli occhi di un azzurro cinereo.Quando cadevano a terra,sposando il suoloscuro, foglie di acanto germogliavano d'incanto.Da lontano si udiva l'eco di tuoni giungere dila dai monti, su antiche vette innevate ilvento si inerpicava e ne scendevagelido come il fiato di un fantasma.I suoi piedi presero a mutare forma esostanza, prima tralci di siepe come radicimultiformi abbracciarono la pietra doveera assisa da tempo, poi i virgulti nati dallasua carne divennero legno .Ampie striature verdastre si coloraronodi linfa e sangue , poi la corteccia durainaridì e alla fine pietrificò nel lucidoscintillare del quarzo .Le sue lacrime ora erano perle d'elettro,le sue labbra un tempo come un fico spezzatoscurirono come morse dal gelo e financhela sua pelle sbiadì come se alla nevedell'incarnato fosse sottratta l'intima celladella sua vita. (clicca sul video e continua )Le braccia lungo i fianchi sembraronoflettersi come giunchi per arrivare allaterra, per sentire ancora il calore che adessa la legava, per ascoltare il cuore dellaforesta parlargli teneramente, carezzarle icapelli accompagnandola nelle triste stanzedel suo eremo.Nelle orecchie il suono di mille violini,negli occhi miriadi di farfalle azzurrecome le stelle del firmamento latraghettarono alla fine del suo tempo.Un brezza secca si levò da tergo e unmulinello di foglie gialle e rosse le danzòintorno poi lentamente anche il ventocessò e le foglie caddero a terrarinsecchite. Un leggero drappo dineve iniziò a cadere come coriandolinel silenzio di una natura che le dicevaaddio. 
 La luce del giorno fu solo un ricordo ela notte scese ad ammantare ogni cosa.Gli alberi smisero di ondeggiare, glianimali si rinserrarono spaventati nelleloro tane, le acque fermarono il loro corso,tutto cessò di vivere per un istante mentrela statua di lei imbiancava sotto unmantello di neve, rilucendo sotto labianca folgore di luna .Quando tutto si arrestò un tuono sifece strada tra le colonne del tempoe un fulmine squarciò le tenebrerischiarando il bosco di una luce vermiglia.Le acque del fiume che erano rimasteferme come uno stagno d'argento si incendiòdi riflessi turchesi e presero a scorrere comese solo adesso sorgesse dal loro fondo lasorgente e la fonte svanita , poi l'abbriviodivenne corsa e infine rullìo di cascata. 
 Turbini fragorosi tra le linfe e i sassismorti e un biancheggiare gorgoglianteche tutto trascinò via. Gli animali uscironodalle loro tane, i lupi si radunarono sullealture e le rocce affioranti i pendii perululare alla luna il loro ritrovato coraggio.Anche il vento rinacque da ostro fino agarbino per cantare lode alla Signora delleacque, alla ninfa del bosco, alla deacandida delle rocce .Sui rami delle querce si ritrovaronostormi di capinere e fringuelli dal beccorosa, tra gli ilici ombrosi il canto degliusignoli resero più gentile il fischio delvento che come uno sciacallo urlava trai buchi e i nodi delle ceratonie con i fruttiche scampanellavano ad ogni sussulto.Quando tutto sembrò prendere vita, la coltredi ghiaccio che ricopriva la statua scricchiolò,il bianco ghiaccio prese vita colorandosidi un oltremare che sfumava in mille riflessiluminosi.Poi accadde ... un fulmine balenò nel cielocome una sottile arteria pulsante e dopoaver attraversato tutta la volta celeste siinfisse ai piedi della statua avvolgendoladi un rosso fulgore di fiamme.Ancora una volta tutto si arrestò, financhele biglie della memoria congelaronol'attimo e le sabbie del tempo sfumaronole gialle terre di un ricordo andato.L'alba giunse su un carro trainatoda bianchi leoni dalle nere criniere,fosche pennellate pervinca striarono ilcielo agonizzante, le cime degli alberifurono irradiate dalla sua luce e preseroa vibrare come scosse da un fremitod'ansia. 
 La stessa terra si ritrasse percorsa da unenergia invisibile e le acque del fiume sicondensarono in miliardi di gocce checome pioggia si librò nell'aria risalendoal cielo.Quando tutto passò il giorno era rinatoe il sole si affacciò timido sulle cimedei monti carezzando i verdi prati e legrandi distese di mangrovie, i cannetitornarono ad ondeggiare dolcementetra le acque placide e i pesci a guizzaretra i corsi del fiume, timidi pettirossizampettavano curiosi tra il fogliamee gli stecchi dei peschi in fiore e itordi picchiettavano sulle pietre comea romperne il guscio . Il ronzio delleapi si fece rombo di tuono e lecascate tintinnarono nello spumeggiaredelle acque , gli gnomi si destaronodai loro giacigli e tornarono aicampi mentre folletti dispettosipresero a rincorrersi e giocare tra lefronde di alberi millenari.Nel cuore della foresta restava ungrande masso di pietra bianca, lì sulciglio del fiume come un altare nel cuoredi un tempio, un piedistallo orfanodella sua colonna infisso nella terra aricordare che la Fata del Bosco era rinata,che l'alito della sua anima era ancorasopra le creature della foresta, che lo spiritodelle sue grazie avrebbe ancora infusogioia e speranza in tutti i loro cuorifino a quando l'ultimo di loro l'avrebbetenuta viva nel ricordo. 
 Marvelius