Marvelius

DORIAN


 Se ne stava seduto su una poltronadi cuoio  verde scarabeo,una gamba accavallata sul bracciolo el'altra lasciata scivolare a terra,la camicia inamidata con un papillondi un blu acceso e la giacca sbottonata.Era l'immagine di un rapace che finito di banchettare sulle sue predeassaporava con gusto e una pace ritrovata il momento del vuotodopo aver buttato a terra la sua maschera. 
 Tra le dita unsigaro acceso e nelle volute del fumodenso e bianco pensieri evanescenti. Nell'altra mano un bicchiere di vetromartellato con dentro i resti di quello che poco tempo prima era il succo velenoso che gli stavabruciando il ventre. Lo sguardo assortosul nulla , occhi puntati tra le ombredi una camera barocca, in cui la sua figura troneggiava come un quadro allegorico di cinica e furiosa bellezza, accecando gli angoli di quel cubicolomagnifico e sontuoso.Prese un'altra tirata dal sigaro mentre poggiava con calma misurata il bicchiere ormai vuoto sul piccolotavolino di mogano posto li accanto,come un altare di vizi dove riporre gli oli speziali della sua arrogantececità. 
 Un impettito e superbo suono siespandeva nell'aria quando pronunciavail suo nome ... Dorian.Aveva trascorso gli anni della sua primagiovinezza ad affinare l'arte del comando, la rigida e spietata eliminazione di ogni concorrente neisuoi affari, nei suoi amori, nellascalata di ogni sua avventura.Il falco , la tigre , il cannibaleerano i nomignoli che loaccompagnavano precedendolo in ogniluogo lui andasse, ma erano appena sussurrati dai suoi nemici , gli unici esseri del suo stesso sessoche poteva vantare di avere e di conoscere. Era un uomo solo dopotutto,ma di questa solitudine si compiacevae non sentiva il bisogno di modificarenulla di questa unicità, come si beava della vicinanza delle sue donneche ne ammiravano il carattere indomito,la risolutezza dei modi, la passionee la lussuria tra le lenzuola, odiando l'impenetrabile muro eretto a difesa della sua anima e della sua intimità.Consumava avidamente ed egoisticamentei suoi amori come i sigari e l'alcool che mai sarebbero mancati nelle sue alcove, tra lenzuola di seta nera ele tende di tulle e organza.Divorava la carne nella libido dei sensi ubriacandosi di voglie e di piaceri fino a sciogliersi in essicome gocce di fiume nell'immensità del mare.Lo cercavano come un angelo maledetto , ne amavano i difetti prima ancora dei pregi e ognuna nel farlo aveva dentro di sé la speranza che ne avrebbe mutato il destino, divelto le porte corazzate del cuore, penetrato la sensibilità perfarne il suo re. 
Invano avrebbero percorso quelle saleper trarne una signoria, invano avrebbero solcato le sue terre perdivenirne regine, invano avrebberonuotato in quegli abissi per trovarela luce che le avrebbe portate sulleacque in superficie.La sua luce era quella di una stellasolitaria , avrebbe brillato all'infinito nel cosmo siderale di una galassia opaca.Si alzò ricomponendosi con modi affettati ma non artefatti, la suaraffinatezza era l'alone chelo permeava di fascino anche nella solitudine di una stanza disadorna elo magnificava ancor più in quella piena di broccati e legnipregiati, tra essenze orientali e quadri di una rarità assoluta. 
 Si cambiò di abito quasi volesse mutar pelle, sistemò la cravatta e la nuova camicia ,indossò la giacca assaporando quell'incedere dentro la sua nuova armatura di gambardinee , per una attimo, assunse la posa naturale di un guerrierosul carro del sole .Poi ,con passi misurati e silenziosi, si avvicinò alletto dove Pasife e Salmace si eranoabbandonate al sonno ristoratore dopouna notte di tormentate battaglieI capelli sciolti, i visi tirati affondanti nei cuscini di piume, i corpi tumidi nella nudità di formediscinte, l'incarnato latteopennellato appena da lievi rossorila dove più cruenta era stata la presa, più selvaggia la battaglia e la resa . Restò a guardarle con impassibile voluttà, ne ricamò le anse e i rilievi, avvertendo distintamente tutti gli odori chela notte aveva generato. 
 Si morse un labbro per tornare alla realtà daisuoi viaggi in un vuoto denso di meraviglie, sentì il sanguepervadergli le tempie mentre osservava le bocche delle due ninfe come fichi spezzati nel rosso turgoredelle labbra. Gli accarezzò la pelleseguendo percorsi che solo lui conosceva, raggiunse luoghi appena di svelati alle meraviglie del cosmo.Così sul baratro di un ponte sospesoai confini del mondo si fermò, si inginocchiò sulle sponde di terresconosciute ai più, e si attardò sui greppi celanti bordure profumate di sogni.Lampi di ricordi tintinnarono tra le vene aumentando il corso delle linfe di un torrente tornato vorticoso, mentre l'incedere dei palpiti del suo cuore risuonava nel folto della foresta antica. Quando l'alba si risvegliò nell'intreccio di carni pulsanti ,i tendini si intrecciarono come ofidi in preda di una ritrovata frenesia di piaceri ,in quel precisomomento egli si alzò dal talamo per gustare la perfezione di un ritmo che scuciva gli orli del tempo. Quel rimestio di acque e linfa lorapiva non per trascinarlo nel fondoed annegarlo nella voluttà dei sensi, ma per traghettarlo tra le acque furiose come Nettuno trainatosu un barroccio da bianche schieredi lucci , tra le caverne di undesiderio infranto .MARVELIUS