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Stato e mafia

Post n°36 pubblicato il 17 Ottobre 2009 da ivanfi

Dietro il criminale traffico di rifiuti tossici su cui ha riacceso i riflettori l'inchiesta del procuratore di Paola, Bruno Giordano, si cela una vera e propria associazione a delinquere di stampo mafioso che coinvolge i massimi vertici politici e istituzionali dello Stato e dei servizi segreti, il sancta sanctorum della 'ndrangheta calabrese, massoni e faccendieri senza scrupoli che, a partire dalla seconda metà degli '80, in cambio di un vorticoso giro di tangenti hanno pianificato l'affondamento di "almeno una trentina di navi" cariche di veleni provenienti dagli scarti di lavorazione delle grandi fabbriche del Nord Italia smaltiti lungo le coste del Mediterraneo e della Somalia con conseguenze catastrofiche per le popolazioni e di tutto l'ambiente circostante.
Non solo. Tra le carte dell'inchiesta ci sono anche collegamenti con l'assassinio di Ilaria Alpi, la giornalista del Tg3 uccisa insieme al suo operatore Miran Hrovatin il 20 marzo del 1994 in Somalia, forse proprio perché aveva scoperto qualche inconfessabile verità sul colossale traffico di armi e rifiuti tossici intercorso fra l'Italia e la Somalia durante l'occupazione militare imperialista denominata "operazione ibis".

Le dichiarazioni del "pentito'' Fonti
A ribadirlo è stato l'ex boss della 'ndrangheta Francesco Fonti che tra l'altro con le sue rivelazioni ha consentito di scoprire il 12 settembre scorso il relitto del "Cunski", nave affondata dallo stesso Fonti e da altri 'ndranghetisti con una salva di dinamite nel 1992 a 11,8 miglia nautiche al largo di Cetraro (Cosenza) esattamente nel punto indicato dal pentito. Fonti, infatti, parlando dello smaltimento di rifiuti tossici in Somalia ha detto che ciò avveniva anche attraverso l'utilizzo delle navi della compagnia Shifco. Un nome, questo, strettamente legato all'omicidio di Alpi e Hrovatin. Soprattutto perché nel suo ultimo viaggio a Bosaso la giornalista del Tg3 aveva intervistato il sultano del posto, Abdullahy Mussa Bogor, chiedendogli con insistenza notizie dettagliate proprio sulla flotta di pescherecci e di navi che si celava dietro la Shifco.
Ma non è tutto: Fonti, che attualmente non è sottoposto ad alcun regime di protezione e si trova agli arresti domiciliari, ha riferito di avere partecipato direttamente all'affondamento di tre navi nei mari calabresi, la Cunsky, che potrebbe essere quella individuata a Cetraro, la Yvonne A e la Voriais, ma di avere saputo che complessivamente le imbarcazioni fatte affondare dalla 'ndrangheta con i loro carichi di rifiuti "sono oltre una trentina".
"Era una procedura facile e abituale. Ho detto e ribadisco in totale tranquillità che sui fondali della Calabria ci sono circa 30 navi. Io ne ho affondate tre, ma ogni anno al santuario di Polsi (provincia di Reggio Calabria) si svolgeva la riunione plenaria della 'ndrangheta, dove i capi bastone riassumevano le attività svolte nei territori di loro competenza. Proprio in queste occasioni, ho sentito descrivere l'affondamento di almeno tre navi nell'area tra Scilla e Cariddi, di altre presso Tropea, di altre ancora vicino a Crotone. E non mi spingo oltre per non essere impreciso".

Il coinvolgimento dei servizi segreti
Molta precisione invece Fonti la usa quando ricostruisce il sistema che regolava la sparizione delle navi in fondo al Mediterraneo e il colossale affare dei rifiuti tossici chiamando in causa i vertici politici e istituzionali dell'epoca e i servizi segreti. "Il mio filtro con il mondo della politica è stato, fin dal 1978, un agente del Sismi che si presentava con il nome Pino. Un trentenne atletico, alto circa un metro e ottanta con i capelli castani ben pettinati all'indietro, presentatomi nella Capitale da Guido Giannettini, (l'agente del Sid coinvolto nel Golpe Borghese e nella strage di Piazza Fontana ndr) che alla fine degli anni Sessanta aveva cercato di blandirmi per strapparmi informazioni sulla gerarchia della 'ndrangheta. Funzionava così: l'agente Pino contattava a Reggio Calabria la cosca De Stefano, la quale informava il mio capo Romeo, che a sua volta mi faceva andare all'hotel Palace di Roma, in via Nazionale. Da lì telefonavo alla segreteria del Sismi dicendo: 'Sono Ciccio e devo parlare con Pino'. Poi venivo chiamato al numero dell'albergo, e avveniva l'incontro... L'agente Pino mi indicava la quantità di scorie che dovevamo far sparire e mi chiedeva se avessimo la possibilità immediata di agire... Era un ottimo affare, si partiva da 4 miliardi di vecchie lire per un carico, e si arrivava fino a un massimo di 30. Soldi che venivano puntualmente versati a Lugano, presso il conto Whisky all'agenzia Aeroporto della banca Ubs, o in alcune banche di Cipro, Malta, Vaduz e Singapore. Tutte operazioni che svolgevamo grazie alla consulenza segreta del banchiere Valentino Foti, con cui avevamo un cinico rapporto di reciproca convenienza".

Il ruolo del governo
Quanto ai politici che stavano alle spalle dell'agente, Pino Fonti rivela: "Mi incontrai più volte per gestire il traffico e la sparizione delle scorie pericolose con Riccardo Misasi, l'uomo forte calabrese della Democrazia cristiana, il quale ci indicava se i carichi dovessero essere affondati o seppelliti in territorio italiano o straniero. La 'ndrangheta, infatti, ha fatto colare a picco carrette del mare davanti al Kenya, alla Somalia e allo Zaire (ex Congo belga), usando capitani di nazionalità italiana o comunque europea, ed equipaggi misti con tunisini, marocchini e albanesi... la maggior parte delle navi è stata fatta sparire sui fondali dei nostri mari e non soltanto attorno alla Calabria, ma anche nel tratto davanti a La Spezia e al largo di Livorno, dove Natale Iamonte mi disse che aveva 'sistemato' un carico di scorie tossiche di un'industria farmaceutica del Nord". Non solo. Secondo Fonti, un altro politico di primo piano avrebbe avuto un ruolo nel grande affare dei rifiuti pericolosi. "Si tratta dell'ex segretario della Dc Ciriaco De Mita, indicatomi a metà Ottanta da Misasi per trattare in prima persona il prezzo degli smaltimenti richiesti dallo Stato. Con De Mita ci siamo incontrati tre o quattro volte nel suo appartamento a Roma e concordammo i compensi per più smaltimenti". A lavoro finito "l'agente Pino ci segnalava la banca dove potevamo andare a riscuotere i soldi che venivano accreditati su conti del signor Michele Sità, un nome di fantasia riportato sui miei documenti falsi. Anche le auto che utilizzavo per andare a recuperare i soldi me le dava direttamente il Sismi con la mediazione dell'agente Pino. Per salvarmi la vita, in caso di minacce o aggressioni, mi sono segnato il tipo di macchine e le matricole diplomatiche che c'erano sui documenti... In un caso ho usato una Fiat Croma blindata con matricola VL 7214 A, CD-11-01; in un altro ho guidato un'Audi con matricola BG 146-791; e in un altro ancora, ho viaggiato su una Mercedes con matricola BG 454-602. Va da sé, che ci venivano assegnate auto diplomatiche perché non subivano controlli alle frontiere... Andavo, recuperavo i contanti e li consegnavo alla famiglia Romeo di San Luca, dove ricevevo la mia parte: circa il 20 per cento del totale".

I rapporti con Putin, i servizi russi e il Psi di Craxi
A tal proposito Fonti ha rivelato che: "Avevo rapporti personali" anche "con Ibno Hartomo, alto funzionario dei servizi segreti indonesiani, il quale contattava me e la 'ndrangheta per smaltire le tonnellate di rifiuti tossici a base di alluminio prodotte dall'industriale russo Oleg Kovalyov, vicino all'allora agente del Kgb Vladimir Putin". Il lavoro veniva gestito in due fasi: "Nella prima caricavamo le navi in Ucraina, a Kiev, le facevamo passare per Gibuti e le dirigevamo a Mogadiscio oppure a Bosaso. Nella seconda fase, invece, le scorie venivano affondate a poche miglia dalla costa somala o scaricate e seppellite nell'entroterra".
Le navi superavano senza problemi la sorveglianza dei militari italiani - riferisce ancora Forti - "Semplicemente perché essi si giravano dall'altra parte", in quanto "il ministro socialista Gianni De Michelis, che come ho già raccontato all'Antimafia gestiva assieme a noi le operazioni, era solito riferirci questa frase di Bettino Craxi: 'La spazzatura dev'essere buttata in Somalia, soltanto in Somalia'. Naturale che i militari, in quel clima, obbedissero senza fiatare".

Le inchieste insabbiate
Fatti e circostanze che vennero alla luce già 12 anni fa con la prima inchiesta sul traffico dei rifiuti tossici avviata dal sostituto procuratore generale della Corte d'Appello di Reggio Calabria Francesco Neri il quale già allora aveva provato a cercare i relitti, chiedendo cento milioni di lire all'allora ministro della giustizia Mancuso. Bastava poco per verificare quei punti sulla mappa del Mediterraneo, con nomi di navi, date di affondamento, numeri del registro navale. Un lavoro di indagine minuzioso, condotto dal capitano di fregata Natale De Grazia in qualità di consulente della Procura di Reggio Calabria morto misteriosamente il 12 dicembre del 1995 dopo aver bevuto un caffè (come Sindona) in autostrada all'altezza di Nocera Inferiore (Salerno) mentre andava da Reggio a La Spezia a ritirare documenti importanti sul caso delle "navi a perdere". Mentre soldi necessari al prosieguo delle indagini - ha recentemente ricordato il Pm - furono negati e tutta l'inchiesta fu archiviata.

Il ruolo del faccendiere Comerio
De Grazia ricostruiva le rotte seguite delle navi dei veleni. In particolare stava indagando sulla Riegel, affondata nel 1987 nello Ionio e sulla Jolly Rosso, spiaggiata davanti ad Amantea il 14 dicembre 1990. E proprio nella cabina di comando della Jolly Rosso De Grazia scoprì una mappa di siti per l'affondamento, la stessa che sarebbe stata trovata, cinque anni dopo, nell'abitazione di Di Giorgio Comerio: il faccendiere italiano al centro di una serie di vicende legate alla Somalia e alla illecita gestione degli aiuti della direzione generale per la cooperazione e lo sviluppo. Ovvero quell'ingegnere che - secondo diverse inchieste sia parlamentari che delle Procure - sarebbe il trait d'union tra il caso delle navi dei veleni, la Somalia e la cooperazione. Comerio partecipa al progetto "Dodos" ideato dall'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale dell'Euratom) che prevedeva di inabissare sul fondo del mare il materiale radioattivo stivato nelle testate dei siluri. Progetto che, in seguito alla stipula della Convenzione Onu che impedisce lo sversamento di materiale pericoloso sui fondali marini, fu abbandonato dall'Ispra ma non da Comerio. Il faccendiere infatti acquista i diritti delle tecnologia e stipula un accordo col governo somalo di 5 milioni di dollari che prevede di poter inabissare rifiuti radioattivi di fronte alla costa. In cambio paga 10 mila euro di tangente per ogni inabissamento al capo della fazione vincente dell'epoca Ali Mahdi. Innfine Comerio fa il giro dei governi del Globo proponendo di smaltire le scorie pericolose a prezzi scontatissimi e ottiene decine di commesse in nero.
De Grazia probabilmente aveva scoperto tutto, ivi compreso i porti di partenza delle scorie, quasi tutti situati tra Toscana e Liguria dove ci sono due condizioni molto favorevoli: l'area militare di La Spezia e le cave di marmo delle Alpi Apuane: la prima garantisce la riservatezza, mentre la seconda fornisce il granulato di marmo con cui coprire le emissioni delle scorie radioattive. E quel giorno, riferisce un collega di De Grazia: "Stavamo andando a La Spezia per verificare al registro navale i nomi di circa 180 navi affondate in modo sospetto negli ultimi anni e partite da quell'area".
Ecco perché adesso, alla luce di quanto rivelato da Fonti, il comitato civico intitolato Natale De Grazia chiede che vengano riaperte anche le indagini sul suo misterioso decesso e i magistrati di Paola assicurano che adesso "è arrivato il momento di andare fino in fondo e scoprire tutta la verità".

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