massimopiero

enigma......in 399 parole


Questa mattina mi sono svegliato che ero vecchio. E’ successo più o meno verso le sei. Ho aperto gli occhi perché avevo bisogno di andare in bagno. Alle sei del mattino è ancora buio.Un bambino cammina per una strada di campagna, una strada stretta, con l’asfalto chiaro e consumato dagli anni. Una strada all’ombra di due file di vecchi alberi, di quelle che non passa mai nessuno e che si snoda come un serpente tra le colline. In cima ad ogni collina una casa, in cima ad ogni albero tra un mese, forse addirittura due o tre settimane, a quest’ora inizieranno a cantare le cicale della tarda mattinata. Un bambino cammina per la strada tenendo tra le mani un sasso. Un sasso piatto di fiume.Questa mattina mi sono svegliato che ero un bambino. Era già da un po’ di tempo che il mio nome veniva pronunciato dalle stanze vicine, senza ottenere altro effetto di quello di farmi girare dall’altra parte. Alla fine mi ero alzato, il tempo di indossare un paio di pantaloni e una maglietta trovati sul pavimento alla base del letto ed ero uscito di casa.Un vecchio si veste lentamente, prendendo uno alla volta i vestiti appoggiati con cura su una poltrona di velluto verde la sera prima. Esce dalla camera da letto e si siede su un sofà nuovo, ancora vvolto nel cellophane. Si alza quando sono passate alcune ore, esce di casa chiudendo con cura la porta dietro di se e si incammina per un sentiero in discesa che inizia proprio dove finisce il cortile in terra battuta. Il suo passo è lento e sicuro. Nella tasca destra dei pantaloni un sasso. Un sasso piatto di fiume.Un vecchio e un bambino giocano a tirare sassi in un laghetto. Anzi, ne tirano uno solo a testa. Un sasso piatto, di quelli che tiri cercando di far rimbalzare sullo specchio dell’acqua per il maggior numero di volte possibile. I due si guardano senza parlare, il vecchio sorride. Non sono riuscito a vedere chi ha fatto compiere il numero maggiore di balzi al suo sasso.  Rimaniamo tutti e tre un istante immobili, con le lancette di tutti gli orologi del mondo che si fermano, fino a quando il bambino sente pronunciare tra le colline il suo nome e si incammina verso casa. E rimango assorto, ad osservare il tramonto che scende sull’acqua del lago.