massimopiero

zingaro


Domani andrò a fare lo zingaro. Non lo faccio spesso, ma lo faccio sempre. Tutti gli anni, almeno per una volta. Si tratta semplicemente di alzarsi al mattino, prendere la macchina, fare il pieno, cinquanta euro in tasca dei pantaloni e partenza. I cinquanta euro servono per dare un limite alla cosa, altrimenti esiste il  rischio che ritorni dopo settimane o mesi. Il percorso di inizio è oramai obbligato. Autostrada fino a Firenze Certosa, Superstrada Firenze-Siena, uscita Colle Val D’elsa. Da li iniziano tutte le possibili varianti, a seconda dell’umore o dell’ispirazione, unica certezza la direzione verso il mare.Colle Val D’Elsa è in realtà il vero inizio del viaggio. Tutta la strada percorsa fino a li è giusto il giro di riscaldamento, per portare in temperatura il motore. Non quello della macchina, il mio. E nel momento di questa partenza, ovvero davanti al primo bivio, mi fermo, esco dall’auto, respiro, guardo in su. Se ci sono delle rondini le seguo (in genere “zingareggio” a Giugno, vicino al giorno del mio compleanno). Se, come domani, questa presenza è piuttosto improbabile, aspetterò, respirerò ancora, fino a che succederà qualcosa. Non c’è fretta, nessuna lancetta gira, nessuna sveglia suona, se ho fame mangio, se ho sete bevo, per altre eventuali necessità mi arrangio. Questo faccio davanti alla prima biforcazione. Quelle successive già vengono più di conseguenza. Sono venticinque anni che ho la patente. Sono venticinque anni che un giorno mi sveglio e sento che devo partire. Non ho mai fatto lo stesso percorso. Ho scelto appunto di partire da Colle Val D’Elsa perché si tratta del comune d’Italia con il maggior numero di biforcazioni, trivi, incroci, confluenze di piccole strade. A volte può essere simile la prima parte del viaggio, ma succede sempre che ad un certo punto arriva la variabile nuova, la strada mai percorsa. Nella prima parte dell’abitato c’è una schiera di casette rosa. Le persone che ci vivono, tutte le volte che passo, si affacciano alle finestre ed escono sui balconi per salutarmi. Il primo che mi vede arrivare da lontano comincia a chiamare a gran voce tutti gli altri, ne segue un suonare di campanelli e un trillo di cellulari che in pochi istanti fa si che tutti quanti siano li nel momento in cui passo. Io, certo, rallento un po’, faccio lo sguardo concentrato, un minimo cenno col capo, come per ringraziare e salutare, ma senza cambiare l’espressione seria in volto. Una grande sgommata al termine del caseggiato e sparisco in una nuvola di polvere tra gli applausi. In tutte gli altri quartieri che attraverso raramente incontro manifestazioni di questo tipo. I più, anche se mi riconoscono, guardano avanti e tirano per la loro strada. Fino ad arrivare al confine tra la città e le colline. In quella zona ci sono alcune casette sparse, rade, colorate tipo Tartan Scozzese, ognuna diversa, come se la colorazione fosse con i colori di un proprio Clan. E’ molto difficile colorare la propria casa in questo modo. Io lo so, perché ho studiato queste cose a scuola e addirittura per un certo periodo della mia vita l’ho fatto di lavoro. Disegnavo e progettavo tessuti scozzesi, di quelli che si usano per fare la fodera interna ai giacconi. Si elabora una serie di fili di colori diversi per l’ordito. Dieci fili rossi, quattro azzurri, dieci blu, poi due gialli, quattro blu e due bianchi,  ripetuto  per un totale di circa mille e cinquecento fili. Lo stesso si fa con la trama, in modo che l’intreccio generi un gioco di quadri colorati. Ma pitturare una casa deve essere ben più faticoso. Parti dal tetto  con una riga sottilissima di un colore e arrivi fino a terra. E tutto questo lo ripeti per circa mille e cinquecento volte, seguendo la serie di colori prestabilita. Quando hai finito, fai la stessa cosa, usando la stessa serie, in senso orizzontale. Ho sentito dire che in queste case abitano gli zingari che si sono fermati li. Quelli che non si sono, chissà per quale motivo, spinti oltre.Qui comunque finisce il mondo noto, quello conosciuto. Da li in poi si procede seguendo a questo punto una  propria guida o le proprie convinzioni e ispirazioni. In direzione del mare. Le prime volte, quando ancora non capivo, questo fatto di non esserci mai arrivato in realtà al mare, mi faceva piuttosto incazzare. O addirittura incontravo per la strada un bel posto, con una bottega di paese dove tagliano ancora a mano, con il coltello, il prosciutto per i panini, che appena partito mi lasciavano il sapore in bocca, come voglia di ritornarci. E allora mi sforzavo di ricordare una strada, un albero al bivio precedente, una signora seduta sulla panchina che faceva la calza. Tutto inutile. Non sono mai riuscito a ritrovarne uno. Sono arrivato persino a pensare che subito dopo il mio passaggio qualcuno lavorasse tutto un anno per cambiare il corso delle strade, il paesaggio, in modo che la volta successiva non l’avrei ritrovato.Ma figuriamoci, non è possibile…..non è così. E’ solo che Colle Val D’Elsa è, come tutti sanno,  il comune d’Italia con il maggior numero di biforcazioni, trivi, incroci, confluenze, eccetera eccetera. E, come tutti sanno, tutte queste strade portano, arrampicandosi dolcemente tra le colline, al mare.